Sabato in Poesia: "Vendemmia" di Marino Moretti

Vendemmia di Marino Moretti è una poesia tratta dalla raccolta Sentimento: pensieri, poesie...

Roma capitale d'Italia

Chissà quanti studenti ed ex studenti liceali si sono trovati a tradurre la famosissima frase del De Oratore...

L'origine della crisi finanziaria statunitense

La crisi che ha interessato i mercati finanziari dei paesi maggiormente sviluppati, e che gli esperti...

Così cinque anni fa cominciava la crisi...

"Era una notte buia e tempestosa...", questo è l'incipit dell'interminabile romanzo che Snoopy...

Sabato in Poesia: Estratto di "Beppo, racconto veneziano" (George Gordon Lord Byron)

Beppo è un poemetto satirico in ottave ariostesche (secondo lo schema metrico ABABABCC), attraverso il quale Byron affronta...

29 ottobre 2013

Martedì 29 ottobre 1929: cominciava la Grande Crisi

di Roberto Marino

Il 29 ottobre 1929 era martedì e quella data segnò un momento tragico per gli Stati Uniti d'America, l'economia mondiale, il capitalismo, la tenuta dei regimi liberal-democratici. Quel giorno è passato alla storia come il martedì nero, preceduto dal giovedì nero, 24 ottobre, e il giorno prima, 28 ottobre, il lunedì nero. 

Una settimana a dir poco pesante l'ultima di quell'ottobre di 84 anni fa, nella quale si arrivò a stabilire record negativi difficilmente superabili in termini di denaro perso (30 miliardi di dollari in una settimana, di cui 14 nella sola giornata di martedì), di azioni scambiate (quasi 13 milioni il giovedì per arrivare a 16,4 milioni del martedì 29) e di percentuale di valore perso dell'indice Dow Jones (-17% ai primi di ottobre, -13% il lunedì 28 e un altro -12% del martedì). 

A poco valse la riunione fiume di venerdì 25 ottobre tenuta dai grandi banchieri Lamont, Wiggin e Mitchell, i quali provarono a gettare sul mercato, attraverso la direzione di Richard Whitney - vice presidente del maggiore mercato finanziario americano per volume di affari, l'Exchange - una enorme quantità di liquidi, acquistando ben sopra il valore di mercato grandi pacchetti azionari della U.S. Steel e di altre società. L'operazione stabilì una tregua, ma non la fine della tragedia. L'andamento dell'indice di borsa si mantenne altalenante, mostrando grande volatilità per il resto dell'anno e per l'anno successivo. Iniziò così la Grande Depressione, che costò agli Stati Uniti gran parte della crescita che avevano sviluppato nel corso dei decenni precedenti e all'Europa, la Germania in particolare, l'estremizzarsi del panorama politico fino alla vittoria dei fascismi con le tutte le conseguenze che sappiamo. 

Il sistema democratico liberale ottocentesco dimostrò con la crisi di non essere in grado di saper affrontare forti criticità e di riformarsi. Il liberismo economico classico, con il sistema del laissez-faire, aveva creato forti guadagni speculativi negli anni successivi alla Grande Guerra. Gli Stati Uniti beneficiarono fortemente della grande crescita legata al treno degli investimenti per la ricostruzione in Europa, mentre questa aveva perso enormemente la leadership internazionale e le sue potenze (Gran Bretagna, Francia, Germania), sia dal punto di vista politico che economico, erano ormai state declassate o addirittura enormemente impoverite. Basti pensare che il tasso medio di disoccupazione nei paesi europei tra il 1924 e il 1929 (periodo in cui la ricostruzione andava a pieno regime) si aggirava intorno al 14%, mentre oltreoceano era al 4. 

La crescita post guerra era in realtà un fenomeno aleatorio. Dai dati di cui si dispone (W. W. Rostow, The World Economy: History and prospect p. 669) risulta che il commercio mondiale alla fine degli anni Venti era tornato ad un livello pressoché simile a quello del 1913 prima di capitombolare negli anni Trenta. Tra il 1927 e il 1933 il prestito internazionale si ridusse del 90%. Questi dati fanno capire che era in atto in realtà un fenomeno di stagnazione dell'economia mondiale, che non riusciva ad elevarsi oltre i limiti toccati prima della guerra. Causa principale: l'isolazionismo americano e la politica protezionistica sui propri prodotti, attraverso l'imposizioni di dazi sulle importazioni, che innescò un effetto domino. 

Tappa importante per proseguire il viaggio all'interno della realtà che portò alla crisi è il crollo del sistema monetario in Germania. Il paese era stato fortemente penalizzato dalle riparazioni di guerra imposte dalle potenze vincitrici, in particolare la Francia che voleva un ridimensionamento drastico e duraturo del potente e insidioso vicino e che impose il risarcimento in denaro anziché in beni. Ciò comportò la necessità di un ingente flusso di capitali provenienti dal solo paese che poteva permettersi una vasta elargizione creditizia, gli Stati Uniti. Il flusso ci fu, tanto che l'America accrebbe la propria potenza finanziaria, mentre la Germania si indebitò fortemente e fu esposta ad una grande vulnerabilità che sfociò nel crollo del valore della moneta. 

Intanto nel resto d'Europa, con una disoccupazione cresciuta a livelli record e una capacità produttiva enormemente cresciuta, soprattutto ad opera degli Stati Uniti che nel 1929 producevano circa il 42% del totale mondiale contro il 28 di Gran Bretagna, Francia e Germania insieme, il mercato non poteva assorbire la produzione, generando un tragico crollo dei prezzi. Crollo dei prezzi, impossibilità di assorbire la produzione accentuarono maggiormente la disoccupazione, che nel periodo peggiore della crisi (1932-1933) raggiunse il 22-23% in Inghilterra e Belgio, il 24% in Svezia, il 27% in America, il 29% in Austria, il 31% in Norvegia e il 44% in Germania (fonte dati Hobsbawm, Il secolo breve). 

Non si può capire però la grande crisi e il malfunzionamento del sistema economico mondiale senza analizzare il funzionamento del sistema economico americano e il suo modello di consumo interno. Abbiamo già detto che gli Stati Uniti uscirono fortemente arricchiti dalla guerra. Essi non avevano subito distruzioni sul proprio territorio, avevano aumentato la propria produzione e il volume di affari dei crediti prestati alle nazioni europee sia durante la guerra ma soprattutto dopo. Anche la prosperità americana però aveva radici deboli. I salari non crescevano e l'agricoltura era in difficoltà. La crescita rapida generò così effetti distorsivi. La domanda, essendo bassi i salari, era molto lenta rispetto alla produttività galoppante del sistema industriale e si generarono fenomeni di sovrapproduzione e speculazione finanziaria, che a loro volta alimentarono il crollo. 

Negli Stati Uniti poi il collasso del sistema fu ancora più duro, perché per alimentare una domanda fiacca rispetto alla crescita le banche concessero iniezioni di credito ai consumatori, portando avanti pericolose politiche speculative. I consumatori, entusiasti del credito concesso a buon mercato, lo usarono in maniera sregolata, acquistando beni di consumo durevoli propri di una moderna e compiuta società di consumi come automobili, immobili, senza avere redditi tali da sopportarne il carico e soprattutto bloccando ben presto il mercato. I beni durevoli sono tali proprio perché hanno una durata lunga nel tempo e una volta acquistati non si esauriscono nel breve periodo. I beni di consumo immediati (cibo, vestiario, etc.) sono invece di continuo ricambio, perché finiscono velocemente. Costruire una crescita su beni considerati elastici, la cui domanda si contrae con l'imperversare di una crisi, invece che su consumi anelastici significa rendere il sistema fortemente vulnerabile. Infatti tra il 1929 e il 1931 la produzione di automobili dimezzò.

Con la fine della crisi, che arrivò dal 1933 in poi, e con il varo del New Deal da parte del presidente Roosevelt qualcosa cambiò, le gravi difficoltà per le fasce sociali più deboli furono parzialmente attenuate, ma il decollo non ci fu. Soltanto con la nuova e terribile guerra mondiale l'economia si riprese. 

Il sistema economico mondiale e i governi dei paesi occidentali impararono dai propri errori. Un sistema di crescita senza controllo era illusorio; erano necessarie regole, accordi ed interventi di natura economica e politica, seppure non turbativi del libero gioco economico, per indirizzare l'economia verso una crescita sostenibile. Che cosa invece stiamo imparando noi dalla crisi attuale?

26 ottobre 2013

Sabato in Poesia: "Quando traverso la città la notte" di Camillo Sbarbaro

Quando traverso la città la notte fa parte della seconda raccolta poetica di Sbarbaro, Pianissimo. Balza immediatamente agli occhi il piglio realistico del poeta, che descrive l'esperienza di un vagabondare notturno come mezzo per cogliere la parte più profonda della propria vita. Attraverso varie scene di vita degradata, che ritraggono presenze misere, l'odierno e piccolo Dante compie un modesto viaggio in un inferno moderno e ha l'occasione di confrontarsi con la propria solitudine e il proprio vuoto interiore. Uscendo dalla propria individualità e dichiarando di essere attratto dalla bassezza sociale e morale che soltanto una esperienza tanto "estrema" quanto quotidiana può rivelare, il poeta scopre i dettagli e le complete profondità della vita dell'uomo. Ed è proprio una tale esperienza a rappresentare, pur nella continuazione del cammino che va oltre, l'occasione per cogliere la diversità con la propria vita, che genera smarrimento, timore, ansia. Se da un lato tutto questo genera follia, dall'altra parte è anche strumento di liberazione.

METRO: endecasillabo con le eccezioni di un settenario al v. 16 e di un bisillabo al v. 25. Sono anche presenti delle irregolarità come alcune dieresi inconsuete (ai versi 5 e 22) e una serie di dialefe al v. 7.


Quando traverso la città la notte
io vivo la mia vita più profonda.

Persiane silenziose illuminate!
Finestra buia aperta nella notte!
Negli atrii di pietra voce d'acqua!
Tra le bestie squartate lumicino
alla madonna! Ombre umane informi
dietro i vetri nebbiosi dei caffè!

Mi trasformo nel cieco crocicchio
che suona ritto gli occhi vaghi al cielo.
Voluttà d'esser solo ad ascoltarmi!
Udire nella mia notte per ore
avvicinarsi e dileguare i passi!
Essere la puttana che sussurra
la parola al passante che va oltre!
la vecchia della porta
che s'attacca pel soldo della grappa
al militare ch'esce nauseato!
E voluttà di scendere più basso!

Rasentando le case cautamente
io sento dietro le pareti sorde
le generazioni respirare.
E so l'ostilità di certe vie
tozze,
la paura di certe piazze vuote...
E forse ignaro m'incammino verso
- oh mia liberazione! - la Follìa.

Camillo Sbarbaro

Camillo Sbarbaro, poeta e scrittore, (1888-1967) nacque a Santa Margherita Ligure il 12 gennaio. Molto legato al padre Carlo, a cui dedicherà due poesie nella raccolta Pianissimo, perse la madre all'età di soli 5 anni. Nel 1910 cominciò a lavorare presso l'industria siderurgica di Savona. Il suo esordio letterario si ebbe nel 1911 con la pubblicazione della raccolta Resine. Nel '14, conobbe a Firenze Ardengo Soffici, Giovanni Papini, Dino Campana, Ottone Rosai e altri artisti e letterati raccolti attorno alla rivista La Voce. In occasione dello scoppio della Grande Guerra, abbandonò il lavoro per arruolarsi come volontario nella Croce Rossa Italiana e nel luglio del 1917, richiamato alle armi, partì per il fronte. A guerra terminata, rientrò a Genova e cominciò ad impartire lezioni di greco e latino per vivere, appassionandosi allo studio della botanica e alla raccolta dei licheni. Dal '21 iniziò la sua collaborazione con la Gazzetta di Genova e 6 anni più tardi ottenne l'incarico di insegnante di greco e latino presso l'Istituto Arlecco di Genova dei padri Gesuiti, che fu costretto a lasciare perché riufiutatosi di tesserarsi al Partito Fascista. Nel 1933 cominciò a collaborare con la Gazzetta del Popolo di Torino e, in seguito al bombardamento navale di Genova del 9 febbraio '41, si trasferì a Spotorno, dove rimase fino al 1945, dando inizio ad un intenso lavoro di traduzione di classici greci e francesi. Le sue fatiche letterarie gli valsero nel '49 il premio letterario Saint-Vincent e il premio Etna-Taormina nel 1955. Nel 1961 conobbe Arrigo Bugiani e iniziò con lui una collaborazione ai Libretti di Mal'aria. Morì il 31 ottobre 1967 all'Ospedale S. Paolo di Savona. 
Tra le opere di Sbarbaro ricordiamo: Resine (poesie 1911), Pianissimo (poesie 1914), Trucioli (prosa 1920), Liquidazione (prosa 1928), seconda serie di Trucioli (prosa 1948), Rimanenze (poesie 1955), Fuochi fatui (prosa 1956), Primizie (poesie 1958), Scampoli (prosa 1960),  Gocce (prosa 1963), Autoritratto (involontario) di Elena De Bosis Vivante da sue lettere (prosa 1963), Il "nostro" e nuove Gocce (prosa 1964), Contagocce (prosa 1965), Cartoline in franchigia (prosa 1966), Quisquilie (prosa 1967). Sono stati pubblicati postumi: Una goccia rimasta fuori dal contagocce (prosa 1977), La trama delle lucciole: lettere ad Angelo Barile (1919-1937) (prosa 1979), Poesia e prosa (prosa 1979), Carlo Barile, ho letto Primasera (prosa 1981), Il primo vagito (prosa 1981), Dediche a Barile (prosa 1983), L'opera in versi e in prosa (prosa 1985), «Trucioli» dispersi (prosa 1986), Il paradiso dei licheni: lettere a Elio Fiore (1960-1966) (prosa 1991), Camillo Sbarbaro: la Liguria, il mondo (prosa 1997), Senza rumor di parole (antologia di versi e prosa 1997), trucioli di Liguria (antologia di scritti 2002), Il bisavolo: lettere a Tilde Carbone Rossi (1940-1967) (prosa 2003), Cara Giovanna: lettere di Camillo Sbarbaro a Giovanna Bemporad (1952-1964) (prosa 2004), Lettere ad Adriano Guerrini (1954-1967) (prosa 2009). Si ricorda inoltre una grande quantità di traduzioni di classici, che va da Euripide ad Eschilo e Sofocle, da Stendhal a Balzac, da Flaudert a Maupassant e Huysmans fino a Zola e il Pascoli latino. 

19 ottobre 2013

Sabato in Poesia: "Poesia per una cicala" di Leonardo Sinisgalli

Poesia per una cicala è tratta dalla raccolta Vidi le muse. E' una lirica che raffigura - come già altre nella produzione di Sinisgalli, ad esempio Poesia per una mosca - un essere insignificante quale la cicala. Riprendendo la famosa favola di Esopo della cicala e la formica, recuperata a sua volta da La Fontaine, il poeta rivaluta la figura del piccolo animaletto ozioso e canterino, accostando se stesso a quella immagine. In realtà, ad un primo sguardo, la raffigurazione sembra stridere con l'operosità intellettuale del poeta. Se si analizza infatti la sua biografia, si nota un dinamismo decisamente produttivo sia in ambito artistico-letterario che aziendale. Osservando con più attenzione, si può scorgere però l'allusione del poeta alla poesia, alla letteratura, queste sì degne di essere rappresentate con la metafora della cicala, come del resto avveniva nell'antichità quando gli studi umanistici venivano denominati otium letterarium. Dal canto della cicala sorge allora il ricordo di un tempo felice, in cui il poeta si lasciava andare a quel suono furiosamente insistente, che riusciva a conciliargli il sonno. Dal ricordo si ritorna immediatamente al presente, dove, per effetto del tempo trascorso, restano soltanto macerie e distruzione. Ma sono proprio questi resti ad esercitare un fascino indescrivibile, riaccendendo nuovamente il motore del ricordo, che si perde in atmosfere da favola, divertenti, naturali. 

METRO: versi di lunghezza varia, con alcune irregolarità. Fitto intreccio di rime secondo lo schema ABCBCDEEDAFGHAGFH.


Io non so cantare lo zelo
Della formica immortale.
Più vicino alla mia sorte
E' lo stridore della cicala
Che trema fino alla morte.
Nel tempo mio diletto
Mi confidavo a quell'ira
Insistente che mi assopiva
Con la cicala nel petto.
Ora nello sfacelo
Della mia giornata mi resta
Un po' di polvere in pungo,
Ma tanto vale la tua spoglia
Che ancora risento di quel melo
Stormire e nell'aria di giugno
La tua allegria funesta
Nascere dentro una foglia.

Leonardo Sinisgalli

Leonardo Sinisgalli (1908-1981) nacque a Montemurro, in Basilicata, il 9 marzo. Definito Il poeta ingegnere, per aver saputo fondere la cultura umanistica e scientifica, fu poeta, ingegnere e pubblicitario. Conseguita la maturità scientifica al Liceo Rummo di Benevento nell'anno scolastico 1924-25, si laureò in ingegneria all'università di Roma. Lavorò come ingegnere e pubblicitario per le più grandi aziende italiane quali Pirelli, Finmeccanica, Olivetti, Alitalia e fu Direttore Generale dell'Eni, società per la quale inventò il famosissimo e divertente simbolo del cane a sei zampe. Diviso tra Roma e Milano per via del suo lavoro e della sua passione - la letteratura - si avvicinò al movimento artistico della Scuola romana. Scoperto come poeta da Giuseppe Ungaretti, fu richiesto da Enrico Fermi per diventare suo allievo, tuttavia Sinisgalli, più sensibile al richiamo delle Muse che a quello della techné, declinò l'invito. Di chiare idee antifasciste, aderì alla Resistenza e per questo venne arrestato il 13 maggio '44 e condotto nella prigione di via Tasso. Liberato dagli Alleati, dopo la fine della guerra tornò nel suo paese natale. Nel 1953 fondò e diresse fino al '58 la rivista culturale della Finmeccanica, Civiltà delle Macchine, pubblicata fino al 1979. Morì a Roma il 31 gennaio e fu sepolto nel cimitero di Montemurro nella cappella da lui stesso progettata. 
La sua sterminata produzione comprende: Cuore (poesie 1927), Ritratti di macchine (disegni 1935), Quaderni di geometria (saggio 1935), 18 poesie (poesie 1936), Poesie II (poesie 1938), Campi Elisi (poesie 1939), Vidi le muse (poesie 1943), Furor mathematicus (saggio 1944), Horror vacui, O.E.T. (saggio 1945), Fiori pari, fiori dispari (prosa 1945), Un fac-simile (prosa 1945), L'indovino - dieci dialoghetti (prosa 1946), I nuovi Campi Elisi (poesia 1946), Belliboschi (prosa 1948), Quadernetto alla polvere (prosa e poesia 1948), Pittori che scrivono (antologia di scritti e disegni 1954), Banchetti (prose e poesie 1956), La vigna vecchia (poesia 1956), Tu sarai poeta (poesia 1957), La musa decrepita (poesie e prose 1959), L'immobilità dello scriba (saggio, 1960), Cineraccio (poesie 1961), L'età della luna (prose e poesie 1962), Le finestre di via Rubens (disegni 1962), Vanterie dell'arrotino (poesie e disegni 1962), I miei inchiostri (disegni e manoscritti 1962), Ode a Lucio Fontana (disegno 1962), Un pugno di mosche (disegni 1963), Prose di memoria e d'invenzione (prosa 1964), Poesie di ieri (poesia 1966), L'albero di rose (traduzioni poesie lucane 1966), I martedì colorati (prosa 1966), Paese lucano (poesie, canti popolari lucani e disegni 1968), Archimede (I tuoi lumi, i tuoi lemmi!) (prosa 1968), Calcoli e fandonie (saggio 1969), Il passero e il lebbroso (poesie 1970), Il tempietto (disegni e prosa 1971) Fiumi come specchi (poesie e disegni 1973), Lavagne (disegni 1974), L'ellisse (poesie 1974), Mosche in bottiglia (poesie 1975), Un disegno di Scipione e altri racconti (disegno e prose 1975), Dimenticatoio (poesie e disegni 1978), Come un ladro (poesie e disegni 1979), Più vicino ai morti (poesie e disegni 1980), Tre pietre trovare. Quaderni di Piazza Navona (prose e disegni 1980), De Liberiana (prose e disegni), Imitazioni dall'Antologia Palatina (prose, poesie e disegni, 1980), Passione del disegno (prosa e disegni 1981), Imitazioni (prosa e disegni 1981).

14 ottobre 2013

Storie di ordinaria follia calabrese

di Roberto Marino

La vita è davvero strana e imprevedibile. E’ una frase fatta, di circostanza, un abito buono per ogni occasione, ma in alcuni casi è l’unico commento possibile per eventi che accadono inaspettati, nel senso di non voluti. Come quello capitato lo scorso anno ad alcuni - da qualche anno ormai ex - studenti dell’Università della Calabria, tra cui il sottoscritto. 

Era esattamente il 17 settembre 2012, quando poco prima di mezzogiorno, nella calda mattinata di quel giorno di scampolo d’estate in cui veniva voglia di fare un tuffo in mare, mi vedo recapitare un avviso di conclusione indagini preliminari, per una questione riguardante il presunto – rivelatosi poi infondatissimo – superamento illecito di alcuni esami, risalente a 7 anni prima. Lo sgomento fu indicibile da parte di chi ha sempre studiato con dedizione, ritenendo lo studio non soltanto un impegno nei confronti di se stesso per costruirsi il proprio futuro – piuttosto carente in Italia - o della propria famiglia come ricompensa morale per i sacrifici sostenuti, quanto più che altro una passione, un vero e proprio modo di vivere: uno stile di vita. 

Come ormai è noto, perché riferito da molte testate giornalistiche locali, il presunto illecito aveva riguardato e riguarda ancora molti laureati e laureandi, alcuni impiegati di segreteria, nonché una tutor didattica, della facoltà di Lettere e Filosofia all’Unical di Arcavacata. Scoperta, nel lontano 2010, una irregolarità, da parte di un docente titolare dell’insegnamento di Storia del pensiero scientifico, sul cursus studii di una laureanda a qualche giorno dal raggiungimento del traguardo – sostanzialmente il professore non riconosceva come propria la firma apposta sullo statino, che avrebbe dovuto comprovare il regolare superamento di dell’esame – il caso è passato nelle mani della magistrature di Cosenza e Catanzaro in seguito alla denuncia da parte dello stesso docente, del preside della facoltà, Raffaele Perrelli, dell’allora rettore dell’ateneo, Giovanni Latorre. 

La magistratura ha fatto giustamente il proprio lavoro, coinvolgendo nelle sue indagini, durate ben due anni e mezzo, oltre settanta utenti ed ex utenti dell’Unical. Il problema è che nelle indagini sono state coinvolte persone completamente estranee, nonché inconsapevoli dei fatti. Ma tant’è; non ci si scandalizza per situazioni simili, possono anche accadere. Ciò che non può accadere e per cui invece ci si deve scandalizzare è il motivo per cui si può venire investiti da simili vortici giudiziari: lo smarrimento della documentazione ufficiale attestante l’intera carriera di studenti ed ex studenti (statini) e la successiva - ancora presunta visto che ci sono state circa 60 richieste di rinvio a giudizio - ricompilazione illecita inter nos, ad insaputa delle persone coinvolte, da parte di chi svolge lavoro pubblico. 

Le responsabilità penali sono ancora tutte da accertare e la magistratura, meglio la giustizia, – perché di questo c’è bisogno in Italia – farà il proprio corso, attribuendo ad ognuno il suo. C’è un però. Se il reato è stato commesso e nelle modalità che si ritengono, la responsabilità materiale spetta sicuramente a chi lo ha concretamente compiuto, con o senza la eventuale complicità dei beneficiari dell’atto. La responsabilità morale tocca però a tutto un sistema di disfunzione amministrativa, cattiva gestione, disorganizzazione burocratica, che fa capo alla rete Unical e che chi ha frequentato l'ateneo conosce bene. 

Quello che tutte le testate giornalistiche, che si sono occupate del caso, hanno riportato è infatti la notizia della tempestività con cui l'Università, nelle figure competenti, ha immediatamente messo a disposizione degli inquirenti il proprio materiale per l’accertamento della verità. Vero in parte. Ciò che non si è detto è che dopo la ricezione della notifica di conclusioni indagini preliminari, laureati e laureandi coinvolti hanno insistentemente richiesto alla Università copie di una quantità di atti, sempre ufficiali, dimostranti la propria estraneità alla vicenda e non consegnati in prima istanza – per dimenticanza, difficile reperimento si può supporre – a chi aveva indagato fino ad allora. Successivamente, la solerzia del personale amministrativo ha fatto sì che altro materiale, originale e di prima mano, giungesse nelle mani della magistratura, facendo ottenere a 13 ex indagati - tra cui chi scrive - prima, la richiesta di archiviazione da parte dei pubblici ministeri al giudice per le indagini preliminari e, successivamente, la firma del decreto, di meno di un mese fa, da parte dello stesso magistrato con la motivazione di estraneità al reato. 

Certo, il rapporto scientifico causa-conseguenza dei due fatti – la richiesta insistente di documentazione da parte delle persone coinvolte e il successivo, in ordine temporale, riaffiorare di quella parte fondamentale dei documenti originali per la conclusione della vicenda – non è scientificamente dimostrabile, tuttavia proprio la scienza, da Galilei a Popper, insegna che le ipotesi sono il punto d'avvio del processo conoscitivo. 

La storia appena raccontata non vuole essere uno sfogo personale. Non è questa la sede opportuna per operazioni del genere. Molto più appropriate sarebbero infatti le conversazioni con familiari e amici. L’obiettivo che invece ho voluto raggiungere è innanzitutto l’analisi più o meno approfondita di una triste vicenda, ma soprattutto la rappresentazione di una dimensione culturale degradata come quella calabrese, a cui serve un cambio di passo, uno scatto di reni individuale e sociale per allinearsi agli standard più evoluti di quell’Europa che sempre più cerca di richiamarci a sé. 

Questa storia passerà come passano tutte le storie umane; i protagonisti stessi passeranno, come è normale che sia, come accade a tutti, ma ciò che resterà sarà il senso di giustizia, la voglia di cambiamento da parte dei giovani che si sentono frustrati in una regione sterile - perché in questo modo ridotta - il bisogno di riscatto, l'impegno attivo di tutti coloro che quotidianamente si adoperano, con lavoro instancabile e senso di abnegazione, per cercare di migliorare le cose. In una parola: ideali. Del resto, qualcuno di decisamente più saggio, intelligente, profondo, illustre di me disse, in tempi non sospetti, che gli uomini passo, ma le idee restano. Se è vero che lui come uomo è passato quel 23 maggio 1992, è altrettanto vero che le sue idee stanno ancora, fortunatamente, circolando sulle gambe delle donne e degli uomini coraggiosi ed onesti. 

12 ottobre 2013

Sabato in Poesia: Estratti di "La scoperta dell'America" di Cesare Pascarella

Ognuno racconta gli avvenimenti accaduti nel tempo a modo proprio e dal proprio particolare punto di vista. E' anche questo il bello della storia, nonostante l'oggettività che sembra contraddistinguerla. In questi versi, tratti dal poemetto in sonetti La scoperta dell'America (1894), Pascarella narra con ironia popolaresca e briosa l'avvenimento più rivoluzionario e grandioso dell'età moderna. Da qualcuno (Carducci) considerata lirica epica, da qualcun altro (Pietro Mastri) semplice cronaca in romanesco, la sua poesia ha la caratteristica di riuscire ad attualizzare i fatti lontani nel tempo, rendendoli vicini e quotidiani, e a levare loro quell'aura di idealità che si portano dietro. I sonetti scelti, attraverso un ritmo decisamente incalzante - tipico del dialetto romanesco e favorito dallo schema metrico a rima incrociata - ritraggono il particolare momento del viaggio di Colombo e dei suoi marinai, lo scoramento provato dall'equipaggio dopo mesi di navigazione in mezzo ai pericoli del mare senza vedere nient'altro che distesa d'acqua, l'annuncio dell'avvistamento della terra. 



[...]

XIII
Passa un giorno… due… tre… ‘na settimana…
Passa un mese che già staveno a mollo…
Guarda… riguarda… Hai voja a slungà er collo,
l’America era sempre più lontana. 

E ‘gni tanto veniva ‘na buriana:
Lampi, furmini, giù a rotta de collo,
da dì: qui se va tutti a scapicollo.
E dopo? Dopo ‘na giornata sana

De tempesta, schiariva a poco a poco,
l’aria scottava che pareva un forno,
a respirà se respirava er foco,

E come che riarzaveno la testa,
quelli, avanti! Passava un antro giorno,
patapùnfete! giù, n’antra tempesta.

XIV

E l’hai da sentì dì da chi c’è stato
si ched’è la tempesta! So’ momenti,
che, caro amico, quanno che li senti,
rimani a bocca aperta senza fiato.

Ché lì, quanno che er mare s’è infuriato,

tramezzo a la battaja de li venti,
si lui te pò agguantà li bastimenti
te li spacca accusì, com’un granato.

Eh!, cor mare ce s’ha da rugà poco…
Già, poi, dico, non serve a dubitallo,
ma l'aqua è peggio, assai peggio der foco.

Perché cor foco tu, si te ce sforzi
co’ le pompe, ce ‘rivi tu a smorzallo;
ma l’acqua, dimme un po’, co’ che la smorzi?


[...]

XVIII
- Eh… je fecero, dice, ce dispiace;
ce dispiace de dijelo davanti,
ma qui, chi più chi meno, a tutti quanti
‘sta buggiarata qui poco ce piace.

Così lei pure, fatevi capace,
qui nun ce so’ né angeli né santi,
qui ‘gni giorno de più che se va avanti
se va da la padella ne la brace.

«Avanti, avanti!» So’ parole belle;
ma qui, non ce so’ tanti sagramenti,
caro lei, qui se tratta de la pelle!

Già, speramo che lei sia persuasa;
si no, dice, nun facci complimenti,
vadi pure… Ma noi tornamo a casa.

[...]

XXII
Ma lui che, quanto sia, già c’era avvezzo
a parlà pe convince le persone,
je fece, dice: – Annamo co’ le bone,
venite qua, spaccamo er male in mezzo. 

È vero, si, se tribola da un pezzo;

percui, per arisorve sta quistione
non c’è antro che fà ‘na convenzione
che a me me pare sia l’unico mezzo;

che noi p’antri du’ giorni annamo avanti,
e poi si proprio proprio nun c’è gnente
se ritrocede indietro tutti quanti.

Ve capacita? Quelli ce pensorno;
be’, dice, sò du’ giorni solamente…
Be’, je fecero: annamo! e seguitorno.
XXIII
Ma lui, capischi, lui la pensò fina!
Lui s’era fatto già l’esperimenti,
e dar modo ch’agiveno li venti,
lui capì che la terra era vicina;

Percui, lui fece: intanto se cammina,
be’, dunque, dice, fàmoli contenti,
ché tanto qui se tratta de momenti…
Defatti, come venne la matina,

Terra… Terra…! Percristo!… E tutti quanti
ridevano, piagneveno, zompaveno…
Terra… Terra…! Percristo!… Avanti… Avanti!

E lì, a li gran pericoli passati
chi ce pensava più? S’abbraccicaveno,
se baciaveno… E c’ereno arrivati!
[...]

Cesare Pascarella

Cesare Pascarella (1858-1940) nacque a Roma il 28 aprile. Poeta dialettale e pittore italiano, lo contraddistinse un carattere irrequieto e piuttosto avventuroso. Ragazzino, fuggì dal collegio religioso in cui era stato messo a studiare e, pur continuando gli studi all'Istituto delle Belle arti, si sentì molto più attratto dalla vita artistico-mondana, ricca di nuove idee, della Roma di fine secolo che dagli studi accademici. Conobbe gli intellettuali più illustri, mondani e innovatori dell'epoca e intrattenne con loro rapporti stretti di collaborazione e scambio culturale. Al 1882 risale un viaggio in Sardegna con D'Annunzio e Scarfoglio, volto alla ricerca di un mondo misterioso, arcaico e vivo. Terminata questa esperienza, Pascarella continuò a soddisfare la sua sete di conoscenza empirica del mondo (visitò l'India, la Cina, il Giappone, gli Stati Uniti, l'Uruguay, l'Argentina), sempre in compagnia dei suoi taccuini su cui annotava le proprie riflessioni e incideva i propri disegni. Erede artistico di Gioacchino Belli, cominciò a pubblicare i suoi sonetti ironici e pungenti, in vernacolo romanesco, agli inizi degli anni '80 del XIX secolo sulla rivista letteraria Capitan Fracassa, su cui esordirono anche D'Annunzio e Scarfoglio. Nella prefazione alla sua prima opera di rilievo, Villa Gloria, Carducci, che ne fu l'autore, scrisse: «Sonetti in dialetto romanesco, originali, - che dopo il Belli pare impossibile, - ha trovato modo di farne Cesare Pascarella [...] In questi versi di Villa Gloria il Pascarella solleva di botto con pungo fermo il dialetto alle altezze epiche». Il Novecento segnò il tramonto del poeta, colpito da sordità, da una endemica solitudine caratteriale e raggiunto dalla consapevolezza di essere un frutto tardo di un modo ormai troppo cambiato. Nel 1930, fu nominato Accademico d'Italia. Morì in solitudine l'8 di maggio, un mese prima dell'entrata in guerra dell'Italia fascista, e fu sepolto presso il Cimitero del Verano. 
Le sue opere principali sono: Er morto de campagna (poemetto 1881), La serenata (pometto 1883), Er fattaccio (poemetto 1884), Villa gloria (poemetto 1884), Cose der monno (sonetti 1887), La scoperta dell'America (poemetto 1894), I sonetti (raccolta sonetti 1904), Le prose (1920), Viaggio in Ciociaria (prosa 1920), Storia nostra (poema incompiuto pubblicato postumo 1941), Taccuini (resoconti di viaggi pubblicati postumi dall'Accademia dei Lincei 1961).                                                

11 ottobre 2013

L'immigrazione clandestina non è più reato

di Roberto Marino

Ci sono questioni e problemi che vengono fuori o vengono rispolverati soltanto quando accade una tragedia. E' avvenuto qualche giorno fa nei confronti del problema immigrazione. Casus belli: il naufragio nelle acque di Lampedusa del barcone con 500 migranti a bordo, la maggior parte dei quali morti o ancora dispersi in mare.

Nei giorni scorsi sono state versate tante lacrime, provate molte emozioni, fatte diverse riflessioni. Ma anche sprecate tante polemiche e lanciate molte accuse. Protagonisti i cittadini lampedusani, semplici comparse occasionali del dibattito nazionale dell'opinione pubblica, e ovviamente la politica, sempre più simile a prezzemolina televisiva che venderebbe l'anima al diavolo - pardon, già fatto - pur di dire la propria, piuttosto a che organo di uno stato che fornisce strumenti concreti in grado di governare un Paese.

Avantieri mattina, si è anche vista la grande assente di sempre, l'Unione europea, manifestatasi nelle persone del Presidente della Commissione, Barroso, e del Commissario per gli Affari Interni, Cecilia Malmström, duramente contestati proprio dagli abitanti della graziosa ma sfortunata isoletta siciliana.

Ancora più recente è invece la buccia di banana legislativa che ha fatto scivolare nell'agone dello scontro politico-mediatico la decisione della Commissione Giustizia del Senato di depennare, su proposta dei senatori del M5S Maurizio Buccarella e Andrea Cioffi, l'articolo 10 bis della legge Bossi-Fini che riguarda il reato di clandestinità, introdotto dal pacchetto sicurezza del 2009 a firma Alfano-Maroni. Questo significa che, dal momento che il Senato ha deciso di approvare l'emendamento, chiunque si introdurrà nel nostro Paese senza chiedere i dovuti permessi sarà sottoposto soltanto a provvedimenti di carattere amministrativo ed alle eventuali sanzioni previste. Rimarrà comunque immutato l'articolo che regola il riconoscimento e l'espulsione di chi entra abusivamente in Italia.

L'evento ha dato immediatamente adito a scontri e micro scontri. Scontri e polemiche di parte, portati avanti dai diversi schieramenti politici - Lega dichiaratamente e compattamente contraria al provvedimento, Pd favorevole, Pdl diviso -; scontri e polemiche interne, come quella che coinvolto il Movimento 5 Stelle. I vertici del Movimento, Grillo e Casaleggio, hanno smentito i propri parlamentari membri della commissione che hanno proposto e votato favorevolmente la cancellazione del reato. Il comico ha dichiarato: «La loro posizione in Commissione è del tutto personale, non faceva parte del programma. Non siamo d'accordo sia nel metodo che nel merito».

Negli ultimi anni, la politica europea in materia di immigrazione si è interamente raccolta attorno all'Agenzia per l'emigrazione e la gestione delle frontiere, denominata Frontex. Le varie missioni che l'agenzia ha finanziato e sostenuto avevano come obiettivo il monitoraggio delle coste attraverso una grande quantità di mezzi tecnici, militari e risorse umane - il tutto cresciuto nel 2011, in termini di finanziamenti, e arrivato a circa 88 milioni di euro - che ha rivelato però diverse criticità. 

Quando si lega il nome di Europa a quello di immigrazione, si parla generalmente di grande mancanza, proprio perché Frontex, oltre ad un grande sforzo finanziario, non ha fatto poi molto. E' mancata, nel corso degli otto anni in cui è stata in funzione, l'incisività nella risoluzione del problema a monte. I programmi elaborati dall'ente avrebbero dovuto essere indirizzati verso una collaborazione più stretta con i Paesi ponte del Mediterraneo come Libia, Egitto, Marocco, Tunisia, Siria, attraverso l'uso della propria forza contrattuale e diplomatica. Cose che evidentemente l'Europa non possiede ancora. 

Prima però di suonare la campana a morto di Frontex, è bene riportare qualche dato che mostri l'andamento dell'immigrazione prima e dopo la sua nascita. Un rapporto del Centro Studi e Ricerche Idos fa sapere che nel 2010 sono stati registrati 4201 respingimenti alle frontiere e 16086 rimpatri forzati rispetto alle 50717 persone rintracciate in posizione irregolare. Nello stesso 2010 - continua ancora lo studio - gli sbarchi sono diminuiti a 4406 (contro i 36951 del 2008 e 9573 del 2009), ma sono saliti a circa 60 mila nel 2011 a causa degli sconvolgimenti politico-militari verificatisi nel Nord Africa. Per quanto riguarda gli anni precedenti, l'istituto EMN Punto Nazionale di Contatto, in collaborazione con Idos e il Ministero dell'Interno, nel "Rapporto annuale sulle statistiche in materia di immigrazione e asilo" rende noto che, dopo una crescita delle persone rintracciate in posizione irregolare in Italia dal 1997 (circa 57 mila) al 2002 (circa 93 mila), si è passati dalle circa 60 mila unità del 2003 alle 92 mila del 2006, per ridiscendere a quota 54 mila nell'anno successivo. Se si prendono poi in considerazione i dati che riguardano lo storico delle espulsioni a partire dal '97 fino al 2007, si nota che queste hanno raggiunto il picco massimo nel 2002 con ben 33411, per ridiscendere gradualmente fino alle 8771 del 2007, valore praticamente simile a quello di dieci anni prima. Allo stesso modo, i respingimenti alle frontiere sono calati dai quasi 40 mila del 1997 ai soli 9400 del 2007. Per quanto concerne infine le immigrazioni totali, l'Istat dice che nel 2003 sono state 425 mila circa, scese a 254 mila nel 2006, per risalire vertiginosamente a 496 mila nel 2008. 

Tornando alla debolezza europea, la Malmström ha seccamente respinto il problema, dicendo che: «L'Ue è impegnata da anni nella risposta europea ai flussi migratori e alla richieste di asilo» e che: «Piuttosto sono i governi degli Stati membri a non collaborare, «volendo mantenere una propria sovranità in materia di immigrazione». Ciò che risulta però è che manchino accordi internazionali, se si esclude quello con la Turchia, tra l'Europa e gli stati fortemente interessati dal fenomeno dell'emigrazione. Per il resto, esistono soltanto accordi tra i singoli stati, vedi quello Italia-Libia del 2008 confermato poi dal governo dell'era post Gheddafi. E' proprio qui che l'Europa ha fallito, così come Frontex non è riuscita ad operare in contesti che andassero al di là di quelli europei. L'unica politica possibile è stata dunque quella tampone della linea dura, portata avanti dai singoli Paesi europei. Ognuno per sé e Dio per tutti.

C'è chi condanna, e sono tanti, l'asprezza, se non la disumanità, della legge che prevedeva l'illecito di natura penale, rea di aggravare la situazione già fortemente disagiata dei migranti. Certo, la linea dura non li aiuta, tuttavia non è con l'accoglienza indiscriminata che si risolve un problema che sta diventando ingestibile. L'eliminazione di forti deterrenti all'approdo in Italia, spesso testa di ponte per il raggiungimento dei Paesi del nord Europa, rischia di spalancare le frontiere e di accentuare i fenomeni di sfruttamento da parte di criminali senza scrupoli, contribuendo al verificarsi di tragedie del mare. Del resto, le politiche degli altri Paesi d'Europa in materia d'immigrazione, in particolare di quelli più evoluti del Nord, vanno nella stessa direzione rigida sia per quel che riguarda le espulsioni, che per l'acquisizione del diritto di permanenza. 

Il pragmatismo politico insegna almeno due cose: che non bisogna confondere gli Stati con le persone e che fino a quando non ci saranno logiche comuni si potrà soltanto procedere con i mezzi disponibili. Si ritorna così al sempre nuovo sempre vecchio problema del superamento delle logiche nazionali in vista di una Europa vera e una. Per adesso, più sogno che realtà. Sarebbe un peccato però se svanisse al risveglio.