Sabato in Poesia: "Vendemmia" di Marino Moretti

Vendemmia di Marino Moretti è una poesia tratta dalla raccolta Sentimento: pensieri, poesie...

Roma capitale d'Italia

Chissà quanti studenti ed ex studenti liceali si sono trovati a tradurre la famosissima frase del De Oratore...

L'origine della crisi finanziaria statunitense

La crisi che ha interessato i mercati finanziari dei paesi maggiormente sviluppati, e che gli esperti...

Così cinque anni fa cominciava la crisi...

"Era una notte buia e tempestosa...", questo è l'incipit dell'interminabile romanzo che Snoopy...

Sabato in Poesia: Estratto di "Beppo, racconto veneziano" (George Gordon Lord Byron)

Beppo è un poemetto satirico in ottave ariostesche (secondo lo schema metrico ABABABCC), attraverso il quale Byron affronta...

28 giugno 2014

28/06/1914 - 28/06/2014: uno sguardo a volo d'uccello.

di Roberto Marino
                                                                                           (foto www.magicoveneto.it)
E' passato un secolo, l'intera vita di un uomo, il distendersi nel tempo di tre, anche quattro generazioni. Esattamente il 28 giugno di cento anni fa, l'Europa saltava in aria. O meglio veniva accesa la miccia - l'uccisione, a Sarajevo, dell'erede al trono dell'impero austro-ungarico, l'Arciduca Francesco Ferdinando, ad opera del giovane studente irredentista bosniaco Gavrilo Princip - , che nel giro di un mese avrebbe mostrato il suo effetto detonante e fatto esplodere il Vecchio Continente.

Esplodere non tanto e non solo perché proprio in quell'anno scoppiò la Prima Guerra Mondiale, ma perché quell'evento segnò la fine di un mondo e l'inizio di un altro. Finiva la belle époque; finiva il secolo dei grandi ideali liberali, che avevano portato a rivoluzioni sociali e politiche importantissime (leggi l'unità d'Italia, l'unificazione tedesca, la fine dei regimi assoluti con tutto il corredo culturale, politico e giuridico che questi eventi hanno portato con loro); finivano i tre grandi imperi europei (austro-ungarico, tedesco e ottomano), Finiva un periodo secolare di eurocentrismo politico, economico e culturale; finiva la fiducia (quasi) religiosa nelle potenzialità infinite di dominio dell'uomo sul mondo della natura (il Titanic era affondato solo due anni prima, proprio lui, l'inaffondabile) e finiva la concezione della Storia come eterno ed infinito progresso per l'uomo.

Finiva tutto questo ed iniziava, meglio si rivelava, un mondo nuovo; non migliore o peggiore, semplicemente diverso. Cominciava infatti il mondo delle grandi ideologie politico-razziali, il mondo delle masse protagoniste della Storia, rappresentate, supportate ed aizzate dai grandi partiti politici, di massa appunto. Cominciava il mondo dell'imperialismo economico- finanziario, ma anche di un nuovo tipo di imperialismo politico. E ancora, cominciava il mondo delle grandi crisi finanziarie, della connessione e del collegamento globali, dell'"io ho ragione e tu hai torto, perché sei diverso da me" e delle armi di distruzione, anch'esse di massa.

Non solo morte e vita di vecchio e nuovo mondo però, ci fu anche ciò che si mantenne nel tempo. Ad esempio, rimasero intatti (o quasi) i principi della nazione e della nazionalità, ovvero della sovranità nazionale e del senso di appartenenza dei popoli ad una comunità di questo genere. Principi che vennero poi condensati e coniugati, a fine conflitto, nei Quattordici punti del presidente Wilson come autodeterminazione dei popoli - libertà riconosciuta a tutti i popoli di costituirsi come stati indipendenti - e che sancirono la pace. Almeno per il momento.

Poi ci furono il primo dopoguerra, i grandi totalitarismi, la Grande Crisi del '29, il Secondo Conflitto Mondiale, eventi che lo storico inglese Hobsbawm racchiude in un unico blocco temporale, che definisce, non a torto, "Età della catastrofe". E con la nascita dell'Onu e dopo l'esperienza traumatica della divisione del mondo in due blocchi, durante la Guerra Fredda, esperienza che schiacciò la vecchia Europa come fosse un cuscinetto, si cominciò a costruire, mattoncino dopo mattoncino, un progetto a vasto raggio. Un progetto che avrebbe dovuto portare, e che ancora viene rimandato nel tempo, ad un'Europa unita. Ciò che abbiamo adesso è soltanto un'Europa meno divisa, tuttavia l'obiettivo di Adenauer, Schuman, Monnet, De Gasperi era decisamente molto più prestigioso di quello fino ad ora raggiunto. Sottinteso, c'è ancora tanto da fare. 

C'è da superare la logica della sovranità nazionale senza rinunciare al proprio passato, alle proprie diversità culturali ed economiche, controbilanciando il tutto con la tutela reale dei diversi interessi in gioco ed evitando di nascondere la soddisfazione dei propri sotto il vessillo della tenuta del progetto. Il pericolo è reale ed è sempre in agguato. Se intendiamo però dimostrare a noi stessi ed alle generazioni future di aver imparato la lezione della Storia e non vogliamo che errori già fatti si ripetano, pur sotto altre forme e in diverse modalità, non basta solo l'impegno; è necessaria la riuscita. Certo, il primo è condizione necessaria ma non sufficiente, la seconda è un obbligo morale, civile, storico.

21 giugno 2014

L'Italia che arranca

di Roberto Marino                            
                                                                                                (foto Corriere della Sera)
Come una di quelle giornate storte che, nonostante si provi con tutto se stesso a far girare per il verso giusto, proprio non va. Può essere questa la metafora che meglio raffigura l'incontro di calcio disputato ieri dalla nostra nazionale, che ha insistito, provato e riprovato a pareggiare una partita non entusiasmante, ma che certo non doveva finire 1 a 0 per la Costa Rica. D'altra parte, se proprio non va, non va. Come quando appunto ci si sveglia male, con l'umore nero, e si intuisce al volo che la giornata da poco iniziata sarà uno di quei disastri colossali da cui, se si esce vivi, significa che ci sono diversi santi in paradiso che, tutto sommato, lavorano per noi.

Simbolo di questa nazionale che proprio non gira è, a mio modesto e profano avviso calcistico, Mario Balotelli. Il "SuperMario" nazionale, troppo super ma anche tanto italiano (soprattutto nei vizi più che nelle virtù), sta dimostrando di essere forse un buon "prodotto mediatico", ma non un giocatore talentuoso e di successo, né un campione. La sua incostanza, la sua inaffidabilità si misurano con il metro della mancanza di concretezza, che caratterizza le prestazioni di questo giocatore. Certo, non tutte le colpe di una sconfitta possono ricadere su un solo giocatore, e infatti la squadra di ieri non ha per nulla brillato, tuttavia un accattante che non segna o che lo fa ad intermittenza o che spreca le due o tre palle gol che gli capitano a tiro dimostra di non essere forse adeguato al clamore che gli piomba sulle spalle e di cui forse non riesce a sostenere adeguatamente il peso e la responsabilità. Sintesi: Balotelli sopravvalutato e non è forse un caso che il Milan vorrebbe cederlo in cambio di Mandzukic o Falcao.

Balotelli a parte, forse qualche errore tecnico è stato commesso da Prandelli, che sicuramente in passato ha mostrato molte virtù, ora sembra averci preso gusto ed essere diventato un po' troppo sperimentatore. Già nella partita d'esordio avevamo visto un Paletta lanciato lì in difesa come un gladiatore piuttosto magrolino e male armato contro i leoni inferociti di un Colosseo moderno, e un Chiellini in un ruolo anomalo; tutto sommato però è andata bene. Questa volta però, complice il caldo equatoriale a cui non siamo assolutamente abituati (nonostante gli allenamenti ad hoc per lenirne gli effetti, fatti nei giorni precedenti), un orario decisamente sconcio in cui giocare - ma il fuso orario è quello che è - e alcune scelte tecniche non proprio azzeccate - sempre a mio modestissimo e profano parere - hanno portato alla sconfitta.

E' vero che sia quando si vince che quando si perde (ma quando si perde in misura molto maggiore) tutti gli italiani si trasformano in commissari tecnici, al punto che il vero sport nazionale non smette di essere il calcio e diventa quello di "sentirsi allenatori per un giorno". E probabilmente anche io sto risentendo ora di questo costume molto nostrano, a cui aggiungo un atteggiamento andante verso la "forbice d'oro" - per usare un detto popolare, che allude al criticismo (non certo quello kantiano) esasperato - tuttavia avrei preferito avere fin dall'inizio Cassano, fantasista dietro le punte che, seppure non ha brillato ieri, ha comunque avuto qualche spunto interessante, e Immobile, ora in stato di grazia, al posto di uno spento Balotelli. E ancora, non avrei voluto vedere in campo Thiago Motta, che ieri ha registrato la sola presenza.

Gli avversari stanno invece dimostrando di essere una squadretta allegra, vivace, concreta e pragmatica, magari priva di grandi nomi ma in grado di fare risultato e soprattutto di crederci. Due caratteristiche che in fondo a noi sono mancate. Non tutto però è perduto. Siamo ancora in corsa per la fase finale di questi mondiali, ma logicamente bisognerà dare il massimo e sperare (noi tifosi), farlo (i giocatori), di vincere la prossima partita contro l'Uruguay di Cavani e Suarez, anche se in realtà basterebbe pure un pareggio per proseguire.

Forse questa Italia calcistica che arranca mostra di essere lo specchio di una nazione che, più globalmente parlando, fatica a riprendersi da una situazione di difficoltà culturale, politica, economica. Forse è un'Italia che non riesce a fare veramente gruppo, poco affiatata, stimolata e che ha smarrito la strada del bene collettivo. Forse. Per ritornare a vincere, dentro e fuori dal campo, servono coraggio, fiducia, grinta e voglia di fare. Ed è per questo che, nonostante tutto, dobbiamo continuare a sperare e ad impegnarci. Solo uniti si va avanti. 

18 giugno 2014

Elogio della bellezza

di Roberto Marino

"Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace", è la frase che riassume - magari molto sinteticamente, ma non certo male - il concetto moderno di bellezza. Non così dovevano pensarla ad esempio i Greci, in particolare gli artisti, per cui la bellezza aveva canoni piuttosto definiti oggettivamente. Bello era ciò che rispecchiava le proporzioni geometriche tra le parti e quando si tratta di geometria, si sa, c'è poco da interpretare. Poi arriva Platone e ci mette il suo carico metafisico da novanta con la concezione della bellezza come veicolo dell'idea del Bene e allora non si sfugge più.

Nel tempo l'idea di bellezza ha subito centinaia e centinaia di modifiche, perché in molti si sono chiesti cosa fosse e come andasse interpretata. Gli artisti rinascimentali hanno fatto scuola in questo ambito e allora ecco che ancora oggi chiunque non può che restare estasiato di fronte alla bellezza del David o del Mosè di Michelangelo, che si esplica nella precisione dei dettagli, nella muscolatura definita, simboli indiscussi di potenza. E ancora, il cammino dell'idea di bellezza si è arricchito non solo dei contributi di chi la bellezza l'ha "costruita" pragmaticamente (gli artisti) ma anche di chi l'ha teorizzata, come lo storico dell'arte Winckelmann, i filosofi Baumgarten e Kant, il quale la soggettivizza enormemente, filosoficamente parlando. 

Ma la bellezza ha mille declinazioni e il neoclassicismo ad esempio mostra come bello è tutto ciò che ha forme gentili, arcuate, dolci, raffinate. Esempi? Le Grazie, Amore e Psiche, La venere Italica, Paolina Borghese, Perseo, Venere e Adone di Canova, La fiducia in Dio di Lorenzo Bartolini, etc. 

L'Ottocento poi è stato un secolo bizzarro, spesso contraddittorio e infatti ci ha presentato come "bello" anche ciò che tradizionalmente era considerato brutto. Infatti, ci sogneremmo mai di non restare affascinati o completamente impassibili di fronte ad una poesia di Baudelaire, che raffigura luoghi maledetti, bordelli, donne lascive, contesti bohémien oppure rifiuteremmo mai un componimento di Leopardi solo perché raffigura una Natura insensibile maligna e cattiva? Si potrà obiettare che se brutto è il contenuto rappresentato in questi componimenti, bello è però il "contenitore", la forma poetica, la poesia in se stessa e questo è vero; tuttavia operare una separazione netta tra forma e contenuto non è un'operazione convincente né conveniente. Un'opera d'arte è il frutto di un insieme inscindibile tra "materia" e "forma", che vivono entrambe nella mente, nella fantasia, nella sensibilità dell'artista. 

E' in questo contesto che si è formato il concetto relativo di bellezza, che di strada ne ha fatta tanta ed è giunto sino alle porte della contemporaneità in tutte le sue sfaccettature. Ad esempio, consideriamo la concezione architettonica, in senso molto ampio (urbanistico, topografico) che si è avuta fino agli anni '50-'60 del XX secolo. Questa ci dà la cifra del senso estetico che si è avuto ad esempio durante tutta l'epoca industriale, che proprio negli anni del boom economico ha avuto il suo punto apicale. Dominio faustiano incontrastato dell'uomo sulla natura; desiderio di possesso e potenza; creazione di un habitat artificiale, nato dalla trasformazione della natura da qualcosa di selvaggio in qualcosa di addomesticato, artificiale; espansione illimitata del contesto abitato in lungo, in largo e in alto; in un solo concetto: idea della bellezza come grandezza, materia, enormità. 

Anche il concetto di bellezza, applicato alla figura umana (in particolare femminile), dello stesso periodo rivela questa stessa attenzione per la materia, la quantità. Le donne simbolo di fascino, sensualità, femminilità fino agli anni '60 sono state formose (Sophia Loren, Claudia Cardinale, per non parlare delle pin-up americane, che facevano bella mostra di sé sulle pagine delle riviste patinate, dedicate ad un pubblico più maturo). Ma tant'è: contesto in cui vai, usanze che trovi. 

Oggi invece, i canoni della bellezza (non solo femminili) sono decisamente cambiati. Le riviste e le agenzie di moda chiedono fisici esili (ma comunque sodi e simboli di salute, con una tendenza leggermente diversa rispetto alla bellezza anoressica anni '90); il dominio sul mondo in termini di espansione materiale si è decisamente attenuato e si è piuttosto orientato verso le menti, le emozioni, le persone. La pubblicità, il marketing, l'editoria, i mass media, internet si rivolgono alle idee delle persone e cercano di manipolarne la natura, diffondendo concetti, immagini, archetipi. E la bellezza è uno strumento fondamentale per farlo, tanto è vero che viene usata in maniera indiscriminata per far passare qualsiasi messaggio, molto spesso completamente avulso dal mezzo utilizzato.

Dopo un discorso su un tema così interessante e bello (si scusi il gioco di parole) come si può concludere se non affidandosi alle parole - un po' rivisitate ma mica poi tanto - dell'Elogio della follia dell'umanista Erasmo da Rotterdam, che descrive l'azione della Natura nel mondo come sana, equilibrata, previdenziale nel diffondere un pizzico di sana follia? Beh, si potrebbe anche aggiungere che la Natura ha infuso nel mondo una quantità infinita di bellezza sotto tutte le forme e per tutti i gusti. E poi cosa ha fatto? Ha dato a ciascuno di noi differenti e personali sensibilità e capacità di riscontrarne l'essenza in cose e aspetti diversi. E se non è Bellezza questa! 

10 giugno 2014

Totopolitica

di Roberto Marino 

1 X 2. I nostalgici e vecchi appassionati di calcio ricorderanno perfettamente il significato ed il valore di questi simboli. Segni che hanno fatto sognare generazioni di italiani fino all'avvento delle scommesse istantanee, perché significavano la possibilità di diventare ricchi, di essere ripagati tangibilmente dell'affetto costante, immortale provato e mostrato nei confronti dello sport più bello del mondo. E poi vuoi mettere la soddisfazione di poter dire a se stessi: «Ho vinto al totocalcio! La dea bendata si è ricordata anche di me!»?

Adesso l'azzardo dei pronostici e il controllo del proprio risultato di previsione sono rimasti soltanto al mondo della politica, tant'è che prima e dopo ogni consultazione elettorale - del resto è inevitabile - partiti, istituti di ricerca, sondaggisti, giornalisti, commentatori, e chi più ne ha più ne metta, si cimentano in previsioni, anticipazioni, analisi, bilanci finali.

Nel marasma delle interpretazioni, tutti hanno torto, tutti hanno ragione e la giacchetta della vittoria viene letteralmente strattonata a destra e a manca, perché è la sola a garantire l'ingresso - si sa, in certi posti si entra solo muniti di giacca - nell'immenso, scintillante e ammaliante locale dei bottoni, tanto per parafrasare il Nenni di qualche decennio fa.

Ed ecco allora che la sconfitta in casa (2 secco, non c'è che dire) del Partito Democratico, capitanato dal bomber Matteo Renzi, a Livorno, dove ha vinto il pentastellato Filippo Nogarin, e quella subita a Perugia - le due storiche roccaforti della sinistra - vengono controbilanciate dalla presa di Bergamo, regno altrettanto storicamente governato dalla Lega, e da quella di Pavia, dove il sindaco più amato dagli italiani, Alessandro Cattaneo, - verrebbe da dire quasi un giocatore da primavera, vista la giovane età - non è stato riconfermato, a tutto vantaggio del suo sfidante di centrosinistra, Massimo Depaoli. Bilancio finale: parità.

Un dato significativo di questa lunga sgroppata elettorale, oltre a quello della discrepanza evidente tra l'affluenza elevata della prima tornata del 25 maggio (70%) e quella molto bassa di domenica scorsa (49,5%), è la volatilità del consenso dei cittadini. O meglio, la diversa percezione che hanno avuto in relazione alle differenti competizioni. Se per quanto riguarda le europee, in fatti, il 41% dei partecipanti, che di questi tempi suona quasi come un plebiscito, si è espresso a favore del Pd e di Renzi, in ambito locale le cose non sono andate nello stesso modo. Questo significa che mentre gli elettori italiani preferirebbero avere una Europa a trazione socialdemocratica, quegli stessi elettori - o almeno quella sua parte che si è espressa domenica - non si fida così ciecamente di amministratori locali appartenenti allo stesso schieramento.

I motivi di tale discrepanza sono mille e uno: gli scandali recenti che hanno spento l'entusiasmo per il riformismo da volata di Renzi; l'esaurimento dell'"effetto 80 euro"; la strategia a tenaglia congiunta di Movimento 5 stelle e centrodestra, che ha fruttato qualcosa ad entrambi; la voglia degli italiani di andare al mare, in montagna, al lago, in campagna, ovunque ma non ai seggi.

Al di là di tutto, comunque, una cosa è certa: i cittadini vorrebbero, a prescindere dal colore politico, che i propri amministratori fossero onesti, coerenti con gli impegni presi in campagna elettorale, in grado di dare risposte efficaci ai problemi della comunità che li ha eletti ma anche di quella parte che non si è fidata ed ha preferito non votare oppure orientarsi su altro. Per adesso la politica sembra ancora lontana dal raggiungimento di questo obiettivo, anzi, per restare in tema calcistico, di questa meta, di questo goal. E così a noi non rimane che scommettere non tanto su chi sarà in grado di risolvere i problemi, ma semplicemente su chi riuscirà a far creder di saperlo fare. Una bella differenza!