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11 gennaio 2014

Sabato in Poesia: "Amico fragile" di Fabrizio De André

Il testo riportato è tratto dall'album Volume VIII, scritto a due mani con Francesco De Gregori e pubblicato nel 1975. Il brano è invece del solo De André, che lo scrisse in una sola notte, ubriaco, dopo aver litigato con alcuni amici e conoscenti con cui avrebbe voluto discutere una sera a cena di questioni religiose, come l'esorcismo, e che invece lo obbligarono a suonare per loro. Da questo episodio si scatena l'ironia dell'autore, sottile ma aggressiva, nei confronti del formalismo, dell'ipocrisia, della superficialità, dell'insensibilità di alcuni personaggi colti, appartenenti alla classe medio-alta, interessati al proprio personale divertimento, al ripetersi del rito, all'epifania del fenomeno da baraccone in azione. E' un testo amaro, che illumina una condizione esistenziale fragile ma quantomeno più consapevole della presunta sanità dei sicuri di sé.


Evaporato in una nuvola rossa 
in una delle molte feritoie della notte 
con un bisogno d'attenzione e d'amore 
troppo, "Se mi vuoi bene piangi " 
per essere corrisposti, 
valeva la pena divertirvi le serate estive 
con un semplicissimo "Mi ricordo": 
per osservarvi affittare un chilo d'erba 
ai contadini in pensione e alle loro donne 
e regalare a piene mani oceani 
ed altre ed altre onde ai marinai in servizio, 
fino a scoprire ad uno ad uno i vostri nascondigli 
senza rimpiangere la mia credulità: 
perché già dalla prima trincea 
ero più curioso di voi, 
ero molto più curioso di voi. 

E poi sorpreso dai vostri "Come sta" 
meravigliato da luoghi meno comuni e più feroci, 
tipo "Come ti senti amico, amico fragile, 
se vuoi potrò occuparmi un'ora al mese di te" 
"Lo sa che io ho perduto due figli" 
"Signora lei è una donna piuttosto distratta." 
E ancora ucciso dalla vostra cortesia 
nell'ora in cui un mio sogno 
ballerina di seconda fila, 
agitava per chissà quale avvenire 
il suo presente di seni enormi 
e il suo cesareo fresco, 
pensavo è bello che dove finiscono le mie dita 
debba in qualche modo incominciare una chitarra. 

E poi seduto in mezzo ai vostri arrivederci, 
mi sentivo meno stanco di voi 
ero molto meno stanco di voi. 

Potevo stuzzicare i pantaloni della sconosciuta 
fino a farle spalancarsi la bocca. 
Potevo chiedere ad uno qualunque dei miei figli 
di parlare ancora male e ad alta voce di me. 
Potevo barattare la mia chitarra e il suo elmo 
con una scatola di legno che dicesse perderemo. 
Potevo chiedere come si chiama il vostro cane 
il mio è un po' di tempo che si chiama Libero. 
Potevo assumere un cannibale al giorno 
per farmi insegnare la mia distanza dalle stelle. 
Potevo attraversare litri e litri di corallo 
per raggiungere un posto che si chiamasse arrivederci. 

E mai che mi sia venuto in mente, 
di essere più ubriaco di voi 
di essere molto più ubriaco di voi.

Fabrizio De André

Fabrizio De André (1940 - 1999) è stato un cantautore italiano. Nacque a Genova nel quartiere Pegli da Giuseppe De André e Luisa Amerio. Trascorse i primi anni di vita nella campagna astigiana per sfuggire ai bombardamenti e perché il padre era ricercato dai fascisti. Dopo la guerra, la famiglia ritornò nella città di Genova con sommo rammarico del piccolo Fabrizio, amante della vita in campagna. Dopo i primi anni turbolenti delle scuole elementari e medie, si iscrisse al liceo Colombo e successivamente frequentò alcuni corsi delle facoltà di Medicina e Lettere. Si iscrisse poi alla facoltà di Giurisprudenza, ispirato dal fratello Mauro, ma a 6 esami dalla fine si ritirò, intraprendendo la carriera di musicista e cantautore. Già dal 1961 cominciò a pubblicare i suoi primi lavori con la casa discografica Karim, a cui resterò legato fino al 1969. Influenzato dalla canzone d'autore francese, soprattutto da George Brassens, cominciò ad affermarsi nell'ambiente musicale, inaugurando in Italia il genere della canzone d'autore colta. Durante il periodo di attività ebbe molte collaborazioni importanti, soprattutto per quanto riguarda la stesura dei testi: Riccardo Mannerini, poeta anarchico e libertario, con cui scrisse il testo della canzone Cantico dei drogati, inserita nell'album Tutti morimmo a stento, Giuseppe Bentivoglio con cui scrisse i testi dell'album Storia di un impiegato, Francesco De Gregori, con cui scrisse alcuni testi dell'album Volume 8, Ivano Fossati con il quale collaborò per la stesura di Anime salve. Nel 1962 nacque il figlio Cristiano, avuto con Enrica Rignon detta Puny, una ragazza di famiglia borghese che Fabrizio sposò nello stesso anno e dalla quale si separò poco più di dieci anni dopo. Al 1974 risale l'incontro con una bella ragazza bionda, Dori Ghezzi, conosciuta in sala di registrazione durante l'incisione del disco intitolato Canzoni, pubblicato nel 1974, che diventerà ben presto la sua nuova definitiva compagna e moglie nel 1989 dopo quindici anni di convivenza. Un evento traumatico verificatosi, alla fine di agosto del 1979, scosse in maniera indelebile l'esistenza di Fabrizio e Dori: il rapimento e il sequestro della coppia, avvenuto nella Sardegna tanto amata da Fabrizio, ad opera di una banda facente parte dell'anonima sequestri sarda, durato 4 mesi. La liberazione avvenne soltanto dietro il pagamento di un riscatto. Dall'esperienza nacque un nuovo disco dal titolo Fabrizio De André, pubblicato nel 1981. Nell'82 fondò insieme a Dori un'etichetta discografica dal nome Fado, che pubblicò i dischi di Massimo Bubbola, dei Tempi Duri e della stessa Dori Ghezzi. Nel 1997 ricevette da Fernanda Pivano il Premio Lunezia e definito dalla stessa traduttrice e scrittrice come «il più grande poeta in assoluto degli ultimi cinquant'anni in Italia». Morì l'11 gennaio 1999 a causa di un carcinoma polmonare, diagnosticato nell'estate precedente. Venne sepolto nella tomba di famiglia nel cimitero di Staglieno.  
Tra le opere di De André troviamo: Volume I (1967), Tutti morimmo a stento (1968), La buona novella (1970),  Non al denaro, non all'amore né al cielo (1971), Storia di un impiegato (1973), Canzoni (1974), Volume 8 (1975), Rimini (1978), Fabrizio De André (L'indiano) (1981), Crêuza de mä (1984), Nuvole (1990), Anime salve (1996), Testimonianza in Gianni Borgna, Luca Serianni (a cura di), La lingua cantata. L'italiano nella canzone dagli anni Trenta ad oggi (saggio 1994), Un destino ridicolo scritto in collaborazione con Alessandro Gennari (1996), Prefazione a François Villon Poesie (1996). 
     

Un poeta con la chitarra

di Roberto Marino

Carattere schivo, una cultura vastissima, come testimonia chi ha avuto modo di parlare con lui, spirito arguto, grande sensibilità per la realtà nascosta, marginale, e un senso di libertà appagante, soddisfacente quanto pericoloso. Questo e molto altro ancora è stato Fabrizio De André, il primo poeta in Italia ad aver preso in mano una chitarra, il primo musicista e cantante e paroliere aver dimostrato di saper usare la penna come un poeta.

Poeta è infatti colui che riesce a rappresentare la realtà sotto una luce inconsueta attraverso la parola, dimostrando di padroneggiarla perfettamente, di conoscerne pienamente i significati intimi, le implicanze che possiede, le evocazioni e allusioni che suscita, i mondi che svela a chi legge o ascolta, di combinarla efficacemente e creativamente con altre.

Eppure De André ironizzava argutamente sulla definizione di poeta che gli veniva attribuita. Prendendo in prestito le parole di Benedetto Croce, che nell'Estetica scriveva che da ragazzini tutti provano a scrivere poesie, ma che poi continuano solo i veri poeti o i cretini, Fabrizio proseguiva aggiungendo che lui, per non sbagliare, si era rifugiato nella canzone.

Poeta però lo è stato veramente, nonostante le critiche, spesso dure, nonostante l'atteggiamento elitario degli storici della letteratura, i quali, non potendo ignorarlo, degradano i suoi testi a poesia popolare e fenomeno della cultura di massa del secondo Novecento, nonostante le apologie troppo a buon mercato.

Come nella buona tradizione poetica e letteraria anticonformista, in particolare quella francese da cui fu molto influenzato, De André fu genio ribelle e "maledetto", bohèmien nella vita come nell'arte. Frequentava i bassifondi di Genova pur appartenendo ad una famiglia di estrazione alto-borghese (il padre, Giuseppe, era professore, direttore di una scuola privata da lui fondata, manager e vicesindaco); era un nottambulo che passava le serate a fare scherzi, ridere, fare casino con gli amici della giovinezza - Paolo Villaggio su tutti - molto spesso tra le braccia crudeli dell'alcol; era attratto dal mondo reale nella sua crudezza e rifiutava con altrettanta forza e passione quello ipocrita e ovattato della cultura e della società di livello elevato della Genova degli anni '50-'60, specchio eloquente dell'Italia del boom economico.

Questo rifiuto, questa rabbia, questa attrazione per il brutto ma vero - di contro al bello troppo borghese e conformista - Faber (così chiamato da Villaggio per la sua passione per i pastelli della Faber-Castell) lo scopre ancora ragazzo nelle canzoni di George Brassens, cantautore allora molto famoso in Francia, nelle poesie di François Villon, poeta maledetto francese del XV secolo. Dopo aver assorbito quei contenuti, quell'atteggiamento nei confronti della vita, riesce a riversare tutto nei testi e nelle musiche delle sue canzoni, filtrati dalla sua sensibilità umana ed intellettuale e adattati al contesto in cui vive. Così riesce a superare le barriere dello spazio e del tempo e a restituire un'immagine della realtà scomoda ma reale. In questo modo nascono Il testamento, La Canzone di Marinella, Bocca di rosaLa ballata dell'eroe, La città vecchia, Via del campo, La ballata del MichéSi chiamava GesùPreghiera in gennaio, dedicata a Luigi Tenco morto suicida nel 1967 durante lo svolgimento del Festival di San Remo. 

I protagonisti di questi testi sono tutti antieroi, personaggi sconfitti dalla vita e ripudiati dalla società, ma «pur sempre figli / vittime di questo mondo» e De André è interessato a mostrare come la realtà vera sia proprio quella che vivono le prostitute, i poveri, i diversi, «chi viaggia in direzione ostinata e contraria» come dirà diversi anni dopo nella canzone Smisurata preghiera, il suo testamento spirituale.

Poi arrivano gli anni '70, la contestazione si fa più "politica" e anche De André in qualche modo risente del clima mutato. Album come la Buona novella, Non al denaro, non all'amore né al cielo e soprattutto Storia di un impiegato dimostrano la maturazione del suo pensiero poetico, la capacità di andare più in profondità su certe questioni e di dare organicità alle sue creazioni. Gli attacchi nei confronti del potere, della cultura dominante si fanno più decisi, tanto che De André può essere considerato da questo periodo in avanti un vero maestro del sospetto e un punto di riferimento della controcultura di stampo anarchico e libertario.

Molto si è detto sulle traduzioni, fatte di suo pugno, di canzoni Brassens, Dylan e Cohen e inserite nei suoi album, in particolare durante i periodi di crisi creativa. E' innegabile questo fatto, così come innegabili risultano la necessità di intense collaborazioni importanti con poeti e parolieri come Riccardo Mannerini, Giuseppe Bentivoglio, Massimo Bubola, Francesco De Gregori, Ivano Fossati, il ricorso ad ispirazioni e rifacimenti provenienti dal mondo letterario, rilette come necessità di appoggiarsi a qualcosa o a qualcuno. Per dirla con le parole parole di Enrica Rignon, prima moglie di De André: «Se lavori da solo vuol dire che sei un presuntuoso, se invece hai una persona ti confronti e discuti le tue insicurezze». Insicurezza, mania estrema di perfezionismo, che testimoniano la grande passione di quest'uomo per uno dei mestieri più belli del mondo, scrivere, e che non sminuiscono la capacità di lasciare la propria grande impronta e rielaborare in modo personale certe idee.

Quello che di più bello e quindi di poetico ci ha lasciato De André è il risultato di umanizzazione dei personaggi che si muovono nella realtà delle sue canzoni, sia in una direzione orientata verso l'alto che verso il basso. Nel primo caso, personaggi completamente discriminati e marginalizzati dalla culturale e dalla morale benpensante italiana, e relegati il una dimensione subumana, vengono tratti fuori dal nulla in cui annaspano e resi umani pur con tutti i loro difetti e problemi, che rimangono comunque incollati loro come una seconda pelle. Marinella e Bocca di rosa da prostitute nella realtà diventano personaggi illustri nel racconto: una principessa sfortunata, corteggiata dal suo principe azzurro ancora dopo la morte in circostanze misteriose, la prima; una dispensatrice di gioia, vitalità e piacere ad una comunità consumata dalla noia e dall'abitudine, la seconda. Nel secondo caso, l'umanizzazione compie il percorso inverso, per cui personaggi che nell'immaginario collettivo occupano un grado elevato vengono ridotti ad individui comuni. Ecco quindi Gesù Cristo, sua madre e suo padre diventare uomini e donne di cui si analizzano le debolezze. Stesso discorso vale per i personaggi della dimensione laica come Carlo Martello, celebrato dalla storia come fiero difensore della fede cristiana contro i musulmani miscredenti ed invasori e diventato, sotto l'occhio irriverente di Villaggio e De André che sembra spiare dal buco di una serratura senza tempo, un normale uomo in preda a desideri sessuali insopprimibili dopo un lungo periodo di astinenza.  

Tutte le cose però hanno una fine e quelle belle, come lo stesso De André sapeva bene, per ironia della sorte scompaiono molto prima delle altre. Faber è stato stroncato, all'età ancor giovane di 58 anni, da un tumore ai polmoni, probabilmente causato da quella sigaretta che non si staccava mai dalla sua bocca, al punto da non capire dove finisse l'una e dove iniziasse l'altra. Chissà come la sua penna, le sue note avrebbero raccontato questi anni difficili, lenti e stabili eppure veloci e in continuo cambiamento, incerti, senza punti di riferimento. Si sente proprio la mancanza di una voce scomoda, arguta, graffiante.