21 giugno 2014

L'Italia che arranca

di Roberto Marino                            
                                                                                                (foto Corriere della Sera)
Come una di quelle giornate storte che, nonostante si provi con tutto se stesso a far girare per il verso giusto, proprio non va. Può essere questa la metafora che meglio raffigura l'incontro di calcio disputato ieri dalla nostra nazionale, che ha insistito, provato e riprovato a pareggiare una partita non entusiasmante, ma che certo non doveva finire 1 a 0 per la Costa Rica. D'altra parte, se proprio non va, non va. Come quando appunto ci si sveglia male, con l'umore nero, e si intuisce al volo che la giornata da poco iniziata sarà uno di quei disastri colossali da cui, se si esce vivi, significa che ci sono diversi santi in paradiso che, tutto sommato, lavorano per noi.

Simbolo di questa nazionale che proprio non gira è, a mio modesto e profano avviso calcistico, Mario Balotelli. Il "SuperMario" nazionale, troppo super ma anche tanto italiano (soprattutto nei vizi più che nelle virtù), sta dimostrando di essere forse un buon "prodotto mediatico", ma non un giocatore talentuoso e di successo, né un campione. La sua incostanza, la sua inaffidabilità si misurano con il metro della mancanza di concretezza, che caratterizza le prestazioni di questo giocatore. Certo, non tutte le colpe di una sconfitta possono ricadere su un solo giocatore, e infatti la squadra di ieri non ha per nulla brillato, tuttavia un accattante che non segna o che lo fa ad intermittenza o che spreca le due o tre palle gol che gli capitano a tiro dimostra di non essere forse adeguato al clamore che gli piomba sulle spalle e di cui forse non riesce a sostenere adeguatamente il peso e la responsabilità. Sintesi: Balotelli sopravvalutato e non è forse un caso che il Milan vorrebbe cederlo in cambio di Mandzukic o Falcao.

Balotelli a parte, forse qualche errore tecnico è stato commesso da Prandelli, che sicuramente in passato ha mostrato molte virtù, ora sembra averci preso gusto ed essere diventato un po' troppo sperimentatore. Già nella partita d'esordio avevamo visto un Paletta lanciato lì in difesa come un gladiatore piuttosto magrolino e male armato contro i leoni inferociti di un Colosseo moderno, e un Chiellini in un ruolo anomalo; tutto sommato però è andata bene. Questa volta però, complice il caldo equatoriale a cui non siamo assolutamente abituati (nonostante gli allenamenti ad hoc per lenirne gli effetti, fatti nei giorni precedenti), un orario decisamente sconcio in cui giocare - ma il fuso orario è quello che è - e alcune scelte tecniche non proprio azzeccate - sempre a mio modestissimo e profano parere - hanno portato alla sconfitta.

E' vero che sia quando si vince che quando si perde (ma quando si perde in misura molto maggiore) tutti gli italiani si trasformano in commissari tecnici, al punto che il vero sport nazionale non smette di essere il calcio e diventa quello di "sentirsi allenatori per un giorno". E probabilmente anche io sto risentendo ora di questo costume molto nostrano, a cui aggiungo un atteggiamento andante verso la "forbice d'oro" - per usare un detto popolare, che allude al criticismo (non certo quello kantiano) esasperato - tuttavia avrei preferito avere fin dall'inizio Cassano, fantasista dietro le punte che, seppure non ha brillato ieri, ha comunque avuto qualche spunto interessante, e Immobile, ora in stato di grazia, al posto di uno spento Balotelli. E ancora, non avrei voluto vedere in campo Thiago Motta, che ieri ha registrato la sola presenza.

Gli avversari stanno invece dimostrando di essere una squadretta allegra, vivace, concreta e pragmatica, magari priva di grandi nomi ma in grado di fare risultato e soprattutto di crederci. Due caratteristiche che in fondo a noi sono mancate. Non tutto però è perduto. Siamo ancora in corsa per la fase finale di questi mondiali, ma logicamente bisognerà dare il massimo e sperare (noi tifosi), farlo (i giocatori), di vincere la prossima partita contro l'Uruguay di Cavani e Suarez, anche se in realtà basterebbe pure un pareggio per proseguire.

Forse questa Italia calcistica che arranca mostra di essere lo specchio di una nazione che, più globalmente parlando, fatica a riprendersi da una situazione di difficoltà culturale, politica, economica. Forse è un'Italia che non riesce a fare veramente gruppo, poco affiatata, stimolata e che ha smarrito la strada del bene collettivo. Forse. Per ritornare a vincere, dentro e fuori dal campo, servono coraggio, fiducia, grinta e voglia di fare. Ed è per questo che, nonostante tutto, dobbiamo continuare a sperare e ad impegnarci. Solo uniti si va avanti. 

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