11 luglio 2013

Classici da (A)mare: "La morte a Venezia" di Thomas Mann

di Roberto Marino


Provate ad immaginare la bellezza surreale di una Venezia dei primi anni del Novecento. Fate un altro sforzo di fantasia e pensate alla suggestione e al fascino tutto decadente, che una città - avvolta in una decadenza ammantata di mistero - come questa può esercitare su uno scrittore dell'epoca. Aggiungeteci un improvviso risveglio della passionalità, dell'emotività che riappare nello scrittore di mezza età, Gustav Aschenbach, austero, morigerato, che ha arginato la sua vita artistica ed emotiva nella più rigida disciplina artistica e morale. Che cosa ne potrà venire fuori, se non un capolavoro?

E non a caso questo lungo racconto è riuscito, volente o nolente, a raccogliere in sé passato, presente e futuro. Le teorie nietzscheane, il fascino per la morte, il confronto con la letteratura decadente, la psicologia, l'anticipazione della tragedia che avrebbe colpito l'Europa nei decenni successivi e, perché no, l'ispirazione che avrebbe suscitato, qualche decennio dopo, nei confronti del cinema, come ci ricorda un certo Luchino Visconti. 

La morte a Venezia racconta la storia della scoperta della Bellezza, quale può esserci nel viso di un fanciullo efebico, Tadzio, incontrato per caso o per destino. Racconta la storia di un amore platonico - che resta tale - ma che, nonostante tutto, viene consumato fino in fondo, fino alla fine, nonostante l'apparente paradosso di una tale situazione. Racconta la storia di un cambiamento, di una trasformazione in ciò che non si è o non si è mai voluto essere, che avviene soltanto a seguito di una dura lotta tra forze intrapsichiche. Tutto questo con un sottofondo d'eccezione, quasi onirico: una sensuale Venezia in rovina, che sta per essere conquistata da un'epidemia di colera, tenuta nascosta dalle autorità per non danneggiarne l'economia. 

Venezia attraente dunque, Venezia venditrice e ruffiana nasconde insidie di carattere fisico e morale, che porteranno Gustav non solo ad abbandonarsi al fascino dell'evasione, ma a rincorrere, ridicolmente ai suoi "vecchi" occhi, il mito dell'eterna giovinezza e infine a crogiolarsi nel disfacimento, nella morte (liberatrice? Punitrice? Donatrice di ebbrezza e dunque di vita?). 

La contrapposizione tra forze opposte non si esaurisce però né sul solo piano psichico né su quello cosmico-filosofico, ma si esprime anche su quello geografico-culturale, come si intuisce molto bene dal ruolo che giocano le due diverse città in cui è ambientata la storia: Monaco e Venezia. La prima è città simbolo del rigorismo, della precisione e austerità prussiane, concretizzate in ambito politico, culturale, burocratico e rispecchiantisi - in quest'opera - nel moralismo e nel razionalismo quadrati di Gustav. Della seconda si è detto abbastanza. Eppure, proprio nella stessa città di Vienna accade improvvisamente qualcosa di inaspettato e lo stesso schema appena delineato subisce una rottura, anticipando così, seppure in forma embrionale, l'andamento della storia e quindi della vita del protagonista.  

La morte a Venezia è un libro da leggere tutto d'un fiato, per la brevità del racconto (meno di 80 pagine in tutto), ma soprattutto per l'intensità della storia, contraddistinta dall'articolazione e dalla complessità del carattere di Aschenbach. La lettura di questo libro dunque, oltre che un piacere intellettuale, può essere anche un buon modo per illuminare, comprendere, vivere e gestire con maggiore consapevolezza le proprie emozioni estive - magari nate sotto l'ombrellone - cogliendo la sintonia climatica e meteorologica con la stagione in corso. 

0 commenti :

Posta un commento