23 giugno 2013

Wimbledon, l'erba sacra, i suoi eroi

di Tommaso Andreoli


L’avevamo lasciato così: vestito di bianco dalla testa ai piedi con l’orologio al polso (come sponsor caldamente consiglia) coccolarsela, baciarsela, alzarla al cielo, farla girare come fosse una bambola quella settima figlia dorata alta quarantacinque centimetri, mentre dagli spalti del centrale scendevano giù scroscianti gli applausi, roboanti, quasi venisse a piovere di nuovo, più intensamente e prepotentemente di quanto già avvenuto qualche ora prima, nel bel mezzo del secondo set, quando, da torneo all’aperto, Wimbledon si era trasformato, per la prima volta nella sua ultrasecolare storia, in sfida finale indoor. E si sa, a tetto coperto – shhh, do not disturb, genius at work! – il Re non vuol sentire storie: “Avete chiuso tutto? Be’, allora qui a casa mia, a casa FedeREr non voglio discussioni: comando io!”. 

E insomma, da dieci anni a questa parte la litania è la solita; la domanda di rito che tutti – addetti ai lavori e non – si fanno è sempre la stessa: riuscirà Roger a ripetersi per l’n-esima volta (con n uguale 8)?

Certo, alla veneranda età di quasi 32 anni (un arzillo vecchietto si direbbe!) e con quei cyborg tutto muscoli sprigionanti una potenza tale che ad ogni colpo la pallina, viaggiando a velocità prossime al quelle della luce, cambia massa (E=mc2) – e, aggiungo io, cambia pure forma, tendendo vistosamente ad appiattirsi (saranno mica Holly e Benjii?) – non è proprio un giochetto da ragazzi. Tieni poi pure presente che loro (i cyborg) sono all’apice della carriera e lui (il Maestro) quella (la carriera) la sta chiudendo; senza dimenticare ancora il solito mal di schiena che ti affligge proprio quando non deve, che se non ti ricordi di essere il dio del tennis sceso tra noi per mostrarci cosa significhi tenere una racchetta in mano e danzare con le punte sull’erba, sferrando diritti e rovesci che fermano le leggi della fisica e ne riscrivono di nuove e più eleganti, quasi rischi di essere buttato fuori al terzo turno da un Benneteau qualsiasi, e insomma, voilà, ti accorgi di quale impresa ha fatto lo svizzero, eguagliando due mostri sacri come Renshaw e Sampras. 

Ad ogni modo, quest’anno è quest’anno, un altro anno, un altro torneo, che tuttavia, a meno di grossissime sorprese, sembra perlomeno somigliare ancora al 2012 o al 2011 o al 2010…, perché i favoriti rimangono sempre loro, i Fab Four: Novak Djokovic (numero 1 del mondo), Andy Murray (il cocco di casa), Rafa Nadal (fresco vincitore e recordman di vittorie al Roland Garros) e, appunto, King Roger. Dietro, ovviamente, il vuoto. 
Però occhio: al meglio dei cinque, con un momento che ti sciogli come un gelato sotto un sole spacca pietre, e il secondo dopo che devi coprirti, aprire l’ombrello e prepararti a salire con Noè sull’arca, se non sei con la testa fissa dentro il match, ci vuol poco a vedersi di rientro sulla via di casa, valigie in mano, che imprechi perché non sai più dove hai messo le chiavi.

Nel tempio del tennis possono metter piede solo i migliori; solo i migliori dei migliori, i più valorosi, temerari possono alzarla, baciarla, strapazzarsela e andarci a letto, sapendo che i posteri li ricorderanno grandi, immensi eroi di un’epoca che sui prati di inglesi di Wimbledon sembra essersi fermata all’età classica in cui gli abiti avevano un solo colore: il bianco.

Perciò, in bocca al lupo ai contendenti, e buon divertimento invece a voi, a noi, che ci godremo, in barba a tutti gli impegni terreni che potranno attendere, queste due settimane di sacro sport.

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