Sabato in Poesia: "Vendemmia" di Marino Moretti

Vendemmia di Marino Moretti è una poesia tratta dalla raccolta Sentimento: pensieri, poesie...

Roma capitale d'Italia

Chissà quanti studenti ed ex studenti liceali si sono trovati a tradurre la famosissima frase del De Oratore...

L'origine della crisi finanziaria statunitense

La crisi che ha interessato i mercati finanziari dei paesi maggiormente sviluppati, e che gli esperti...

Così cinque anni fa cominciava la crisi...

"Era una notte buia e tempestosa...", questo è l'incipit dell'interminabile romanzo che Snoopy...

Sabato in Poesia: Estratto di "Beppo, racconto veneziano" (George Gordon Lord Byron)

Beppo è un poemetto satirico in ottave ariostesche (secondo lo schema metrico ABABABCC), attraverso il quale Byron affronta...

27 luglio 2013

Sabato in Poesia: "Squadra Paesana" (Umberto Saba)



Anch'io tra i molti vi saluto, rosso-
alabardati,
sputati
dalla terra natia, da tutto un popolo
amati.
Trepido seguo il vostro gioco.
Ignari
esprimete con quello antiche cose
meravigliose
sopra il verde tappeto, all'aria, ai chiari
soli d'inverno.

Le angoscie
che imbiancano i capelli all'improvviso,
sono da voi così lontane! La gloria
vi dà un sorriso
fugace: il meglio onde disponga. Abbracci
corrono tra di voi, gesti giulivi.

Giovani siete, per la madre vivi;
vi porta il vento a sua difesa. V'ama
anche per questo il poeta, dagli altri
diversamente - ugualmente commosso.

Umberto Saba

20 luglio 2013

Sabato in Poesia: "Annunciazione (Le parole dell'Angelo)" (Rainer Maria Rilke)



Tu non sei più vicina a Dio di noi;
siamo lontani tutti. Ma tu hai stupende
benedette le mani.
Nascono chiare a te dal manto,
luminoso contorno:
Io sono la rugiada, il giorno,
ma tu, tu sei la pianta.

Sono stanco ora, la strada è lunga,
perdonami, ho scordato
quello che il Grande alto sul sole
e sul trono gemmato,
manda a te, meditante
(mi ha vinto la vertigine).
Vedi: io sono l'origine,
ma tu, tu sei la pianta.

Ho steso ora le ali, sono
nella casa modesta immenso;
quasi manca lo spazio
alla mia grande veste.
Pur non mai fosti tanto sola,
vedi: appena mi senti;
nel bosco io sono un mite vento,
ma tu, tu sei la pianta.

Gli angeli tutti sono presi
da un nuovo turbamento:
certo non fu mai così intenso
e vago il desiderio.
Forse qualcosa ora s'annunzia
che in sogno tu comprendi.
Salute a te, l'anima vede:
ora sei pronta e attendi.
Tu sei la grande, eccelsa porta,
verranno a aprirti presto.
Tu che il mio canto intendi sola:
in te si perde la mia parola
come nella foresta.

Sono venuto a compiere
la visione santa.
Dio mi guarda, mi abbacina...
Ma tu, tu sei la pianta.

Rainer Maria Rilke

17 luglio 2013

La vergogna di essere italiani

di Roberto Marino

Mi vergogno di essere italiano. Non ho mai provato questa sensazione, ma dopo le dichiarazioni ingiuriose fatte dall'ex ministro e oggi vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, nei confronti del Ministro delle Pari opportunità, Cecile Kyenge, è quasi inevitabile. E' inevitabile vergognarsi di appartenere alla stessa nazione cui appartiene un rappresentante delle istituzioni, dell'Italia in patria e nel mondo, che si permette di insultare una propria collega in modo così oltraggioso, con un anacronismo degno del peggio del secolo da poco concluso. 

Ma questa non è l'unica cosa di cui vergognarsi. C'è di peggio. Per esempio, c'è la motivazione che ha spinto Calderoli ad usare quella irripetibile similitudine razzista - facilmente riconducibile all'utilizzo strumentale dell'arma del razzismo - per rivitalizzare le frange più estreme del popolo militante leghista, zoccolo duro del partito, dopo la caduta di stile, di immagine, verificatasi dall'ultima gestione Bossi-big family. Un partito politico che si serve del razzismo, dell'insulto, dell'offesa non può essere compatibile con la vita democratica (e i suoi valori) di un Paese che ha scelto proprio la via democratica per governare, amministrare, gestire se stesso. 

E ancor più vergognosa è la mancanza di senso di quella responsabilità, rispetto al delicato ruolo individuale che si ricopre, che dovrebbe invece impedire di fare della retorica starnazzante, buona soltanto ad eccitare gli animi, ma non ad affrontare problemi. L'idea secondo la quale esisterebbero spazi franchi completamente deregolarizzati - come i comizi elettorali ad esempio - in cui chiunque può dire e fare ciò che vuole, è contraria ad uno dei principi fondanti della democrazia. La politica basata sulla massima - non proprio ricca di saggezza - "a casa mia faccio ciò che mi pare" sta portando alla deriva questo Paese, perché autorizza il diritto d'esistenza all'individualismo sfrenato, privo di controllo e assassino della vera libertà. Quest'ultima esiste soltanto se confina con il rispetto dei diritti dell'altro, altrimenti è anarchia.

Ciò che spinge ulteriormente in avanti la macchina della vergogna è poi la minimizzazione, la difesa e spesso l'emulazione di dichiarazioni e comportamenti simili. L'autore della porcata (l'ultima, non la legge che porta il suo nome) minimizza e quasi difende il proprio operato. Chiede pubblicamente scusa, è vero, ma che valore possono avere le sue scuse di fronte ad una tale violazione? Troppo facile gettare il sasso e poi ritirare la mano. Inoltre, rivendicare l'idoneità necessaria a mantenere l'attuale (doppio) incarico di senatore e vicepresidente, in nome della propria imparzialità, significa fare retorica altisonante, scomodando ipocritamente a chiacchiere alti principi per violarli con sadico piacere nei fatti. 

E la minimizzazione o la difesa di alcuni colleghi di partito come la si può definire se non più gravemente vergognosa? Questo perché dimostra come un intero pezzo della classe dirigente italiana avalli l'utilizzo di razzismi e pensi di poter poi prendere in giro chi ascolta, segue l'evolversi della vita politica italiana, rattoppando con banali lenitivi o distogliendo l'attenzione parlando d'altro. Ridurre l'episodio ad un semplice scivolone, ad una battuta di pessimo gusto significa insultare l'intelligenza dei cittadini! 

L'intera, pessima vicenda evidenzia chiaramente come una certa classe politica italiana sia estenuata, priva di forza vitale, di idee, di soluzioni, di visione d'insieme e per questo sia obbligata a ricorrere ad una propaganda vecchia, spicciola e violenta per dimostrare di avere ancora qualcosa da dire e da fare. Infatti, dopo aver divorato il futuro, dopo che avrà distrutto il presente, dopo aver lasciato nel degrado e nell'abbandono l'arte e la cultura, dove ancora l'attuale classe dirigente vorrà condurre il Paese, al diavolo forse? Con massimo rispetto per il diavolo, s'intende.  

13 luglio 2013

Sabato in Poesia: "Due amanti felici" (Pablo Neruda)



Due amanti felici fanno un solo pane,
una sola goccia di luna nell'erba,
lascian camminando due ombre che s'unisco,
lasciano un solo sole vuoto in un letto.

Di tutte le verità scelsero il giorno:
non s'uccisero con fili, ma con un aroma
e non spezzarono la pace né le parole.
E' la felicità una torre trasparente.

L'aria, il vino vanno coi due amanti,
gli regala la notte i suoi petali felici,
hanno diritto a tutti i garofani.

Due amanti felici non hanno fine né morte,
nascono e muoiono più volte vivendo,
hanno l'eternità della natura.

Pablo Neruda

11 luglio 2013

Classici da (A)mare: "La morte a Venezia" di Thomas Mann

di Roberto Marino


Provate ad immaginare la bellezza surreale di una Venezia dei primi anni del Novecento. Fate un altro sforzo di fantasia e pensate alla suggestione e al fascino tutto decadente, che una città - avvolta in una decadenza ammantata di mistero - come questa può esercitare su uno scrittore dell'epoca. Aggiungeteci un improvviso risveglio della passionalità, dell'emotività che riappare nello scrittore di mezza età, Gustav Aschenbach, austero, morigerato, che ha arginato la sua vita artistica ed emotiva nella più rigida disciplina artistica e morale. Che cosa ne potrà venire fuori, se non un capolavoro?

E non a caso questo lungo racconto è riuscito, volente o nolente, a raccogliere in sé passato, presente e futuro. Le teorie nietzscheane, il fascino per la morte, il confronto con la letteratura decadente, la psicologia, l'anticipazione della tragedia che avrebbe colpito l'Europa nei decenni successivi e, perché no, l'ispirazione che avrebbe suscitato, qualche decennio dopo, nei confronti del cinema, come ci ricorda un certo Luchino Visconti. 

La morte a Venezia racconta la storia della scoperta della Bellezza, quale può esserci nel viso di un fanciullo efebico, Tadzio, incontrato per caso o per destino. Racconta la storia di un amore platonico - che resta tale - ma che, nonostante tutto, viene consumato fino in fondo, fino alla fine, nonostante l'apparente paradosso di una tale situazione. Racconta la storia di un cambiamento, di una trasformazione in ciò che non si è o non si è mai voluto essere, che avviene soltanto a seguito di una dura lotta tra forze intrapsichiche. Tutto questo con un sottofondo d'eccezione, quasi onirico: una sensuale Venezia in rovina, che sta per essere conquistata da un'epidemia di colera, tenuta nascosta dalle autorità per non danneggiarne l'economia. 

Venezia attraente dunque, Venezia venditrice e ruffiana nasconde insidie di carattere fisico e morale, che porteranno Gustav non solo ad abbandonarsi al fascino dell'evasione, ma a rincorrere, ridicolmente ai suoi "vecchi" occhi, il mito dell'eterna giovinezza e infine a crogiolarsi nel disfacimento, nella morte (liberatrice? Punitrice? Donatrice di ebbrezza e dunque di vita?). 

La contrapposizione tra forze opposte non si esaurisce però né sul solo piano psichico né su quello cosmico-filosofico, ma si esprime anche su quello geografico-culturale, come si intuisce molto bene dal ruolo che giocano le due diverse città in cui è ambientata la storia: Monaco e Venezia. La prima è città simbolo del rigorismo, della precisione e austerità prussiane, concretizzate in ambito politico, culturale, burocratico e rispecchiantisi - in quest'opera - nel moralismo e nel razionalismo quadrati di Gustav. Della seconda si è detto abbastanza. Eppure, proprio nella stessa città di Vienna accade improvvisamente qualcosa di inaspettato e lo stesso schema appena delineato subisce una rottura, anticipando così, seppure in forma embrionale, l'andamento della storia e quindi della vita del protagonista.  

La morte a Venezia è un libro da leggere tutto d'un fiato, per la brevità del racconto (meno di 80 pagine in tutto), ma soprattutto per l'intensità della storia, contraddistinta dall'articolazione e dalla complessità del carattere di Aschenbach. La lettura di questo libro dunque, oltre che un piacere intellettuale, può essere anche un buon modo per illuminare, comprendere, vivere e gestire con maggiore consapevolezza le proprie emozioni estive - magari nate sotto l'ombrellone - cogliendo la sintonia climatica e meteorologica con la stagione in corso. 

06 luglio 2013

Sabato in Poesia: "I fiumi" (Giuseppe Ungaretti)



Mi tengo a quest’albero mutilato
abbandonato in questa dolina
che ha il languore
di un circo
prima o dopo lo spettacolo
e guardo
il passaggio quieto
delle nuvole sulla luna

Stamani mi sono disteso
in un’urna d’acqua
e come una reliquia
ho riposato

L’Isonzo scorrendo
mi levigava
come un suo sasso
ho tirato su
le mie quattro ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull’acqua

Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino
mi sono chinato a ricevere
il sole

Questo è l’Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell’universo

Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia

Ma quelle occulte
mani
che m’intridono
mi regalano
la rara
felicità

Ho ripassato
le epoche
della mia vita

Questi sono
i miei fiumi

Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil’anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre.

Questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d’inconsapevolezza
nelle distese pianure

Questa è la Senna
e in quel suo torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto

Questi sono i miei fiumi
contati nell’Isonzo

Questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi traspare
ora ch’è notte
che la mia vita mi pare
una corolla
di tenebre

Giuseppe Ungaretti