(foto www.calcioweb.eu)
Sarà pur vero che su quella battuta è stato montato un caso mediatico, sarà altrettanto vero che si è cercato di sfruttarla per consumare lotte intestine di potere all'interno della federazione, ma l'errore rimane evidente. Che poi, a ben vedere, la concezione degli stranieri come «mangia banane» - tanto per citare testualmente - è anche storicamente anacronistica, oltre che logicamente priva di senso. Si poteva comprendere, ma non giustificare, in un contesto passato, di qualche decennio fa, quando l'Europa dei popoli era ancora un sogno di pochi. Oggi che la mescolanza etnica e culturale è una realtà, certe resistenze ultra-nazionalistiche rimangono residui del passato.
Che Tavecchio non fosse proprio un eccellente comunicatore lo aveva già dimostrato qualche mese addietro, quando in un'intervista concessa alla trasmissione Report disse: «Finora si riteneva che la donna fosse un soggetto handicappato rispetto al maschio sotto l'aspetto della resistenza, del tempo, dell'espressione atletica. Invece abbiamo riscontrato che sono molto simili». Questa la precisazione chiarificatrice, chiesta dalla giornalista, alle parole pronunciate immediatamente prima, che suonavano altrettanto spinte: «Noi siamo protesi a dare una dignità anche sotto l'aspetto estetico alla donna nel calcio». Tavecchio sociologo insomma, antropologo e comunicatore non proprio illuminati.
Una lancia però - magari meglio una freccia - in suo favore bisogna pur spezzarla. Seppure in un modo non proprio elegante e rispettoso e comunque del tutto personale, Tavecchio solleva un problema esistente nel mondo del calcio: la scomparsa del talento nostrano. La cosa si è resa molto evidente durante questi mondiali. La nazionale italiana è stata, tra le altre cose, carente dal punto di vista dei giocatori di qualità, di eccellenze tutte italiane. Scelte tecniche certamente, ma anche forse esiguità nei vivai giovanili, derivante da scelte manageriali dei club, spostate molto verso il mercato ed il risultato immediato. In questo modo però non si permette ai calciatori di essere valorizzati nei propri paesi di nascita e il calcio nazionale inevitabilmente si isterilisce.
Spente le polemiche, i lavori per la nomina del presidente dovranno pur ripartire. Logicamente il clima che si respira nel mondo calcistico non è dei migliori e non sappiamo quanto questa situazione possa effettivamente giovare al nostro paese e a quello sport che da pulito, divertente e depositario di sani valori si è sempre di più trasformato in un mero strumento di business e di conflitto ai vertici. Sarà forse ingenuo, utopistico e perfino puerile pensarlo e dirlo, ma un calcio meno sporco e più trasparente tornerebbe ad essere, se non proprio lo sport più bello del mondo, qualcosa che gli si avvicina molto.