di Roberto Marino
«Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta.
«Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita».
Non c'è modo migliore per introdurre una qualsiasi riflessione su questo splendido libro, che "servirsi" direttamente delle parole dell'autore. Parole dell'incipit per giunta, che racchiudono magnificamente, con tutte le loro sfumature, l'intero contenuto del romanzo.
Sì, perché Lolita è un romanzo d'amore, di un amore intenso, come solo un amore perverso, ossessivo, malato può esserlo fino in fondo. Storia d'amore e sofferenza quella scritta da Nabokov, in cui - come in tutte le storie d'amore finite male che si rispettino - c'è un dominatore e un dominato, un carnefice ed una vittima, ma con una differenza rispetto alle altre: in questo caso non si capisce chi sia l'uno e chi l'altro.
Ad una prima analisi, il carnefice sembrerebbe il "vecchio" Humbert, professore di letteratura francese alla soglia dei qurant'anni, innamorato (sì, il suo è proprio amore) di una ragazzina di dodici anni, che riesce a possedere, irretire. E non inverto a caso l'ordine logico dei due accadimenti; è solo che a tutt'ora, pensandoci bene, non saprei dire quale azione delle due avvenga effettivamente prima. Strano a dirsi, ma è la magia di questo libro che opera simili modifiche nell'ordine naturale delle cose.
Humbert carnefice dunque, perché adulto, ma anche vittima. Di se stesso, dei propri conflitti, traumi adolescenziali irrisolti, ma anche della stessa Lolita. Nonostante la ragazzina subisca gli abusi, le richieste, le pretese di questo patrigno (Humbert sposa la madre di Lolita, che morirà poco più tardi, allo scopo di stare accanto alla ragazza) un po' troppo ingombrante, si dimostra infatti tutt'altro che ingenua e sprovveduta. Sfrutta sapientemente - pur non uscendo vincitrice né dalla storia, né dalla propria vita - il proprio forte ascendente, che intuisce immediatamente di possedere sul povero professor Humbert, per ottenere ciò che vuole, o almeno per tentare di farlo.
Personaggio complesso, sfaccettato e per questo affascinante quello di Lolita, a metà strada tra la scaltrezza adulta e l'ingenuità post infantile di una ragazzina dell'America a cavallo tra la fine degli anni '40 e l'inizio dei '50. Un'America che si avvia verso la strada dell'opulenza economica, della piena realizzazione della società di massa, con i suoi miti cinematografici, le sue stelle della televisione, la creazione di modelli culturali decisamente attraenti per un'adolescente che vive i propri anni e che si trova immersa in un mondo di luci scintillanti. Luci che illuminano il "sogno americano".
Se c'è una cosa però che rende questo libro un vero capolavoro è il linguaggio. Preciso, articolato, ricco, appassionato, potente. Le note descrittive sono veramente affascinanti e permettono al lettore di rivivere i pensieri, le emozioni, le esperienze, i turbamenti del professor Humbert, in preda ad un lucido delirio lungo circa cinque anni.
Un libro veramente bello quindi quello di Lolita - con il colpo di scena finale per gli amanti delle sorprese - che non si legge, bensì si divora, con quell'avidità, quella smania, quel desiderio di possesso, che colpisce tutti i lettori voraci e che instaura quasi una "corrispondenza d'amorosi sensi", un sentimento d'empatia nei confronti del povero Humbert, che porta ad essere indulgenti con lui.
Humbert carnefice dunque, perché adulto, ma anche vittima. Di se stesso, dei propri conflitti, traumi adolescenziali irrisolti, ma anche della stessa Lolita. Nonostante la ragazzina subisca gli abusi, le richieste, le pretese di questo patrigno (Humbert sposa la madre di Lolita, che morirà poco più tardi, allo scopo di stare accanto alla ragazza) un po' troppo ingombrante, si dimostra infatti tutt'altro che ingenua e sprovveduta. Sfrutta sapientemente - pur non uscendo vincitrice né dalla storia, né dalla propria vita - il proprio forte ascendente, che intuisce immediatamente di possedere sul povero professor Humbert, per ottenere ciò che vuole, o almeno per tentare di farlo.
Personaggio complesso, sfaccettato e per questo affascinante quello di Lolita, a metà strada tra la scaltrezza adulta e l'ingenuità post infantile di una ragazzina dell'America a cavallo tra la fine degli anni '40 e l'inizio dei '50. Un'America che si avvia verso la strada dell'opulenza economica, della piena realizzazione della società di massa, con i suoi miti cinematografici, le sue stelle della televisione, la creazione di modelli culturali decisamente attraenti per un'adolescente che vive i propri anni e che si trova immersa in un mondo di luci scintillanti. Luci che illuminano il "sogno americano".
Se c'è una cosa però che rende questo libro un vero capolavoro è il linguaggio. Preciso, articolato, ricco, appassionato, potente. Le note descrittive sono veramente affascinanti e permettono al lettore di rivivere i pensieri, le emozioni, le esperienze, i turbamenti del professor Humbert, in preda ad un lucido delirio lungo circa cinque anni.
Un libro veramente bello quindi quello di Lolita - con il colpo di scena finale per gli amanti delle sorprese - che non si legge, bensì si divora, con quell'avidità, quella smania, quel desiderio di possesso, che colpisce tutti i lettori voraci e che instaura quasi una "corrispondenza d'amorosi sensi", un sentimento d'empatia nei confronti del povero Humbert, che porta ad essere indulgenti con lui.
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