di Roberto Marino
Che cos'è la democrazia? La domanda non è affatto banale, perché la risposta non è unica né nello spazio né tanto meno nel tempo. Così come tutte le cose su questa terra anche questa istituzione subisce una serie di trasformazioni legate ai cambiamenti culturali.
Come tutti sanno, il viaggio della democrazia nella storia dei popoli nasce nell'Atene di 2500 anni fa con le riforme del legislatore Clistene, che consentirono anche ai non benestanti e possessori di rendite o proprietà (ma liberi, uomini e non stranieri) di partecipare attivamente all'amministrazione della cosa pubblica attraverso l'introduzione del compenso per i rappresentanti della popolazione. Da allora la democrazia ha fatto molta strada e si è arricchita nel tempo di elementi sempre nuovi.
I principi fondanti della democrazia sono pochi ma buoni, almeno in teoria. Il valore dell'uguaglianza, del rispetto e ultimamente della tutela delle diversità e delle minoranze; quello della libertà di tutti gli individui; l'idea della partecipazione complessiva, senza distinzioni né restrizioni, dell'intero corpo cittadino alla chiamata elettorale per eleggere i legislatori dello stato; il concetto di rappresentanza degli eletti, che permette ai detentori della fiducia popolare l'esercizio del potere su delega del corpo elettorale; il criterio della divisione dei poteri, per evitarne la concentrazione nelle mani di un solo uomo o un solo gruppo di uomini, inizio della dittatura. E l'Europa, ma non solo, da questo punto di vista ha già dato nel secolo scorso.
Se la democrazia ha dovuto affrontare migliaia di avventure e disavventure prima di affermarsi in buona parte del mondo in modo più o meno condivisibile, non è detto che il processo sia terminato anche in quei paesi che ormai hanno fatto della democrazia il loro vessillo. Nulla di non perfettibile esiste nel mondo e ancor più nella storia degli uomini e dei loro prodotti.
La democrazia in senso moderno deve la vita a tre o quattro eventi particolari verificatisi nel corso della storia degli ultimi tre secoli. La Rivoluzione Francese, che ha portato la borghesia - allora parte alta del popolo - all'interno dei gangli del potere, facendole acquisire prestigio politico a fronte di un cresciuto potere economico; il processo di formazione ed egemonia di questa classe sociale rivoluzionaria, in particolare nella versione inglese; la Rivoluzione Americana e la costruzione della democrazia della maggioranza (con tutte le controindicazioni e gli antidoti di cui parlava Tocqueville); l'avvento dei fascismi e la lotta dei paesi liberali contro la loro affermazione.
In Italia e negli altri paesi occidentali la forma di democrazia è di tipo rappresentativo. Esistono libere elezioni a cui può candidarsi qualunque cittadino (il Movimento Cinque Stelle nel nostro paese ha dimostrato alle ultime elezioni che ciò accade realmente), alla conclusione delle quali si decretano i nuovi (non sempre) membri del parlamento, detentori del potere legislativo e rappresentanti del potere popolare.
La domanda sorge spontanea: i rappresentanti dei cittadini sono "esecutori" della volontà popolare o interpreti secondo coscienza? Cosa significano l'una cosa e l'altra e c'è un modo per misurare i confini della libertà di espressione? L'articolo 67 della nostra costituzione dice: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Questo principio garantisce il fondamento della democrazia rappresentativa, perché sottolinea il valore indiscutibile della "libertà di e da" dei delegati, ma pone serie possibilità di un cortocircuito tra la volontà popolare, il rispecchiarsi degli elettori in un partito politico con dei programmi e più o meno alcuni valori e l'assicurazione che i parlamentari non cambino maggioranze, determinando stravolgimenti dell'esito delle elezioni. Un principio di cui non si può non tener conto. A maggior ragione con l'attuale legge elettorale, che non consente l'elezione di individui ma di partiti, e con una grande instabilità che attanaglia il nostro sistema politico.
Eppure c'è chi fa del rapporto stretto tra elettori ed eletti una propria bandiera. Il Movimento Cinque Stelle insiste molto sulla questione, al punto da vincolare i propri parlamentari all'impegno preso durante le elezioni e da chiedere la revisione dell'articolo 67. Quanto attualmente si muova all'interno delle regole stabilite dalla costituzione è difficile dirlo, ma rimane pur sempre dentro al gioco democratico.
La recente polemica sul voto segreto o palese sulla decadenza del senatore Berlusconi, dopo la sentenza definitiva di condanna penale, ha riaperto in qualche modo la questione, in quanto ha evidenziato la delicatezza del rapporto triangolare tra partito d'appartenenza, singolo parlamentare e cittadino/elettore. I Cinquestelle hanno chiesto con forza il voto palese, mettendo in discussione una prassi più o meno consolidata quale il voto segreto, paragonato dai più a quello delle urne. Ma siamo sicuri che sia proprio la stessa cosa?
La domanda sorge spontanea: i rappresentanti dei cittadini sono "esecutori" della volontà popolare o interpreti secondo coscienza? Cosa significano l'una cosa e l'altra e c'è un modo per misurare i confini della libertà di espressione? L'articolo 67 della nostra costituzione dice: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Questo principio garantisce il fondamento della democrazia rappresentativa, perché sottolinea il valore indiscutibile della "libertà di e da" dei delegati, ma pone serie possibilità di un cortocircuito tra la volontà popolare, il rispecchiarsi degli elettori in un partito politico con dei programmi e più o meno alcuni valori e l'assicurazione che i parlamentari non cambino maggioranze, determinando stravolgimenti dell'esito delle elezioni. Un principio di cui non si può non tener conto. A maggior ragione con l'attuale legge elettorale, che non consente l'elezione di individui ma di partiti, e con una grande instabilità che attanaglia il nostro sistema politico.
Eppure c'è chi fa del rapporto stretto tra elettori ed eletti una propria bandiera. Il Movimento Cinque Stelle insiste molto sulla questione, al punto da vincolare i propri parlamentari all'impegno preso durante le elezioni e da chiedere la revisione dell'articolo 67. Quanto attualmente si muova all'interno delle regole stabilite dalla costituzione è difficile dirlo, ma rimane pur sempre dentro al gioco democratico.
La recente polemica sul voto segreto o palese sulla decadenza del senatore Berlusconi, dopo la sentenza definitiva di condanna penale, ha riaperto in qualche modo la questione, in quanto ha evidenziato la delicatezza del rapporto triangolare tra partito d'appartenenza, singolo parlamentare e cittadino/elettore. I Cinquestelle hanno chiesto con forza il voto palese, mettendo in discussione una prassi più o meno consolidata quale il voto segreto, paragonato dai più a quello delle urne. Ma siamo sicuri che sia proprio la stessa cosa?
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