San Martino è la lirica LVIII della raccolta Rime nuove. Il pezzo fu scritto l'8 dicembre 1883 in un'ora circa e, nonostante la velocità di stesura, fu corretto e modificato varie volte; tra le variazioni più importanti si ricorda quella del titolo che avrebbe dovuto essere Autunno. I riferimenti letterari che hanno ispirato Carducci nella composizione sono piuttosto evidenti: Gabriello Chiabrera di Canzonette morali («e sotto i fulmini / rimugghia il mar») e Ippolito Nievo del canzoniere Le lucciole («L'ombra per colli e monti / inerpicando sale»). Non mancano poi le allusioni più classiche alle descrizioni invernali, che Orazio fa nel primo libro dei Carmina, dove sottolinea il contrasto tra il mare agitato, la neve che ricopre i boschi e il fiume e gli interni della casa riscaldati dal focolare e dal vino. A parte i riferimenti alla tradizione, il quadretto che emerge dalle descrizioni carducciane è piuttosto semplice, quotidiano, equilibrato, quasi rassicurante pur nella dimensione malinconica autunnale, sospesa per un attimo dalla presenza allegra e odorosa del vino in fermento. La poesia si chiude con una riflessione, o meglio un accenno, ai pensieri raminghi e vagabondi del cacciatore, paragonati ad uccelli esuli che vagano verso un indefinito non-luogo, in cui si intravede un riferimento, seppure pacifico, al senso dello smarrimento causato dallo svanire, dalla morte.
METRO: Strofette anacreontiche di quartine formate da settenari con rima ABBC; l'ultimo verso di ogni quartina è sempre tronco e ha la stessa rima.
La nebbia a gl'irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo
dal ribollir de' tini
va l'aspro odor dei vini
l'anime a rallegrar.
Gira su' ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l'uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.
Giosuè Carducci
Giosuè Carducci (1835-1907) fu un poeta e scrittore italiano. Cresciuto nella campagna della Maremma toscana, si trasferì successivamente a Firenze e a Pisa, dove si laureò nel 1856 in filosofia e filologia, con una tesi dal titolo Della poesia cavalleresca o trovadorica. Naturalmente portato per l'insegnamento, dall'anno successivo intraprese la professione di docente di retorica al Ginnasio di San Miniato al Tedesco. Nel 1857 lasciò la cattedra a causa della ristrettezza morale dell'ambiente e nel '59 sposò Elvira Menicucci. L'anno dopo ottenne dal ministro dell'istruzione Terenzio Mamiani la cattedra di Letteratura Italiana all'Università di Bologna. Qui ebbe modo di dimostrare tutta la sua cultura, il suo zelo, le sue grandi doti di insegnante. Nel 1870, il dolore per l'improvvisa morte del figlio fu talmente acuto e devastante che il poeta cadde nello scoramento più totale, al punto da scrivere in una lettera: «Non voglio far più nulla. Voglio inabissarmi, annichilirmi». Riuscì poi a superare il momento, dedicando al figlio la poesia Pianto antico. Nel 1871 conobbe Carolina Cristofori Piva, con cui intrattenne una dolce relazione extraconiugale, terminata dopo un anno. Esperienza non unica per Carducci, che nel '90 ebbe un'altra amante, la scrittrice Annie Vivanti. Dal 1881 iniziò una collaborazione di tre anni con il giornale Cronaca bizantina, fondato dall'imprenditore Angelo Sommaruga. Il 12 maggio 1881, Carducci fu nominato membro del Consiglio Superiore dell'Istruzione, carica che gli consentiva di far parte della commissione giudicante gli aspiranti docenti universitari. Anche in questo caso mostrò tutta la sua integrità morale, ricoprendo il ruolo con correttezza e rifiutando pressioni e favoritismi. Nel 1890 venne nominato senatore e durante il suo mandato sostenne il governo Crispi di stampo conservatore. Colpito da una paralisi alla mano destra nel 1899 trovò difficoltà a scrivere, tanto da dover ricorrere spesso alla dettatura. Nel 1901 incontrò D'Annunzio alla redazione di Il Resto del Carlino con cui pranzò; l'evento fu immortalato dal celebre pittore locale Nasica, che rappresentava spesso nei propri bozzetti i momenti più significativi della vita cittadina. A causa di seri problemi di salute, nel 1904 fu costretto a lasciare l'insegnamento e due anni dopo ricevette il premio Nobel, che non potrà ritirare direttamente. Morì di cirrosi epatica nel 1907.
Le opere di Carducci sono: Rime (1857), Levia gravia (poesie 1868), Poesie (1871), Primavere elleniche (poesie 1871), Nuove poesie (1873), Studi letterari (saggi 1874), Delle poesie latine edite e inedite di Ludovico Ariosto: studi e ricerche (saggi 1875), Intorno ad alcune rime dei secoli XIII e XIV ritrovate nei Memoriali dell'Archivio notarile di Bologna (saggi 1876), Bozzetti critici e discorsi letterari (saggi 1876), Odi barbare (poesie 1877), Juvenilia (poesie 1881), Confessioni e battaglie (prosa 1882), Giambi ed Epodi (poesie 1882), Nuove odi barbare (poesie 1882), Ça ira (poesia 1883), Conversazioni critiche (saggi 1884), Rime nuove (poesie 1887), Il libro delle prefazioni (saggi 1888), Terze odi barbare (poesie 1889), Storia del Giorno di Giuseppe Parini (saggi 1892), Su l'Aminta di T. Tasso, saggi tre, con una pastorale inedita di G.B. Giraldi Cinthio (saggi 1896), Degli spiriti e delle forme nella poesia di Giacomo Leopardi (saggi 1898), Rime e ritmi (poesie 1899), Poesie (MDCCCL-MCM) (1901).
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