di Roberto Marino
(foto www.magicoveneto.it)
E' passato un secolo, l'intera vita di un uomo, il distendersi nel tempo di tre, anche quattro generazioni. Esattamente il 28 giugno di cento anni fa, l'Europa saltava in aria. O meglio veniva accesa la miccia - l'uccisione, a Sarajevo, dell'erede al trono dell'impero austro-ungarico, l'Arciduca Francesco Ferdinando, ad opera del giovane studente irredentista bosniaco Gavrilo Princip - , che nel giro di un mese avrebbe mostrato il suo effetto detonante e fatto esplodere il Vecchio Continente.
Esplodere non tanto e non solo perché proprio in quell'anno scoppiò la Prima Guerra Mondiale, ma perché quell'evento segnò la fine di un mondo e l'inizio di un altro. Finiva la belle époque; finiva il secolo dei grandi ideali liberali, che avevano portato a rivoluzioni sociali e politiche importantissime (leggi l'unità d'Italia, l'unificazione tedesca, la fine dei regimi assoluti con tutto il corredo culturale, politico e giuridico che questi eventi hanno portato con loro); finivano i tre grandi imperi europei (austro-ungarico, tedesco e ottomano), Finiva un periodo secolare di eurocentrismo politico, economico e culturale; finiva la fiducia (quasi) religiosa nelle potenzialità infinite di dominio dell'uomo sul mondo della natura (il Titanic era affondato solo due anni prima, proprio lui, l'inaffondabile) e finiva la concezione della Storia come eterno ed infinito progresso per l'uomo.
Finiva tutto questo ed iniziava, meglio si rivelava, un mondo nuovo; non migliore o peggiore, semplicemente diverso. Cominciava infatti il mondo delle grandi ideologie politico-razziali, il mondo delle masse protagoniste della Storia, rappresentate, supportate ed aizzate dai grandi partiti politici, di massa appunto. Cominciava il mondo dell'imperialismo economico- finanziario, ma anche di un nuovo tipo di imperialismo politico. E ancora, cominciava il mondo delle grandi crisi finanziarie, della connessione e del collegamento globali, dell'"io ho ragione e tu hai torto, perché sei diverso da me" e delle armi di distruzione, anch'esse di massa.
Non solo morte e vita di vecchio e nuovo mondo però, ci fu anche ciò che si mantenne nel tempo. Ad esempio, rimasero intatti (o quasi) i principi della nazione e della nazionalità, ovvero della sovranità nazionale e del senso di appartenenza dei popoli ad una comunità di questo genere. Principi che vennero poi condensati e coniugati, a fine conflitto, nei Quattordici punti del presidente Wilson come autodeterminazione dei popoli - libertà riconosciuta a tutti i popoli di costituirsi come stati indipendenti - e che sancirono la pace. Almeno per il momento.
Poi ci furono il primo dopoguerra, i grandi totalitarismi, la Grande Crisi del '29, il Secondo Conflitto Mondiale, eventi che lo storico inglese Hobsbawm racchiude in un unico blocco temporale, che definisce, non a torto, "Età della catastrofe". E con la nascita dell'Onu e dopo l'esperienza traumatica della divisione del mondo in due blocchi, durante la Guerra Fredda, esperienza che schiacciò la vecchia Europa come fosse un cuscinetto, si cominciò a costruire, mattoncino dopo mattoncino, un progetto a vasto raggio. Un progetto che avrebbe dovuto portare, e che ancora viene rimandato nel tempo, ad un'Europa unita. Ciò che abbiamo adesso è soltanto un'Europa meno divisa, tuttavia l'obiettivo di Adenauer, Schuman, Monnet, De Gasperi era decisamente molto più prestigioso di quello fino ad ora raggiunto. Sottinteso, c'è ancora tanto da fare.
C'è da superare la logica della sovranità nazionale senza rinunciare al proprio passato, alle proprie diversità culturali ed economiche, controbilanciando il tutto con la tutela reale dei diversi interessi in gioco ed evitando di nascondere la soddisfazione dei propri sotto il vessillo della tenuta del progetto. Il pericolo è reale ed è sempre in agguato. Se intendiamo però dimostrare a noi stessi ed alle generazioni future di aver imparato la lezione della Storia e non vogliamo che errori già fatti si ripetano, pur sotto altre forme e in diverse modalità, non basta solo l'impegno; è necessaria la riuscita. Certo, il primo è condizione necessaria ma non sufficiente, la seconda è un obbligo morale, civile, storico.