di Roberto Marino
1 X 2. I nostalgici e vecchi appassionati di calcio ricorderanno perfettamente il significato ed il valore di questi simboli. Segni che hanno fatto sognare generazioni di italiani fino all'avvento delle scommesse istantanee, perché significavano la possibilità di diventare ricchi, di essere ripagati tangibilmente dell'affetto costante, immortale provato e mostrato nei confronti dello sport più bello del mondo. E poi vuoi mettere la soddisfazione di poter dire a se stessi: «Ho vinto al totocalcio! La dea bendata si è ricordata anche di me!»?
Adesso l'azzardo dei pronostici e il controllo del proprio risultato di previsione sono rimasti soltanto al mondo della politica, tant'è che prima e dopo ogni consultazione elettorale - del resto è inevitabile - partiti, istituti di ricerca, sondaggisti, giornalisti, commentatori, e chi più ne ha più ne metta, si cimentano in previsioni, anticipazioni, analisi, bilanci finali.
Nel marasma delle interpretazioni, tutti hanno torto, tutti hanno ragione e la giacchetta della vittoria viene letteralmente strattonata a destra e a manca, perché è la sola a garantire l'ingresso - si sa, in certi posti si entra solo muniti di giacca - nell'immenso, scintillante e ammaliante locale dei bottoni, tanto per parafrasare il Nenni di qualche decennio fa.
Ed ecco allora che la sconfitta in casa (2 secco, non c'è che dire) del Partito Democratico, capitanato dal bomber Matteo Renzi, a Livorno, dove ha vinto il pentastellato Filippo Nogarin, e quella subita a Perugia - le due storiche roccaforti della sinistra - vengono controbilanciate dalla presa di Bergamo, regno altrettanto storicamente governato dalla Lega, e da quella di Pavia, dove il sindaco più amato dagli italiani, Alessandro Cattaneo, - verrebbe da dire quasi un giocatore da primavera, vista la giovane età - non è stato riconfermato, a tutto vantaggio del suo sfidante di centrosinistra, Massimo Depaoli. Bilancio finale: parità.
Un dato significativo di questa lunga sgroppata elettorale, oltre a quello della discrepanza evidente tra l'affluenza elevata della prima tornata del 25 maggio (70%) e quella molto bassa di domenica scorsa (49,5%), è la volatilità del consenso dei cittadini. O meglio, la diversa percezione che hanno avuto in relazione alle differenti competizioni. Se per quanto riguarda le europee, in fatti, il 41% dei partecipanti, che di questi tempi suona quasi come un plebiscito, si è espresso a favore del Pd e di Renzi, in ambito locale le cose non sono andate nello stesso modo. Questo significa che mentre gli elettori italiani preferirebbero avere una Europa a trazione socialdemocratica, quegli stessi elettori - o almeno quella sua parte che si è espressa domenica - non si fida così ciecamente di amministratori locali appartenenti allo stesso schieramento.
I motivi di tale discrepanza sono mille e uno: gli scandali recenti che hanno spento l'entusiasmo per il riformismo da volata di Renzi; l'esaurimento dell'"effetto 80 euro"; la strategia a tenaglia congiunta di Movimento 5 stelle e centrodestra, che ha fruttato qualcosa ad entrambi; la voglia degli italiani di andare al mare, in montagna, al lago, in campagna, ovunque ma non ai seggi.
Al di là di tutto, comunque, una cosa è certa: i cittadini vorrebbero, a prescindere dal colore politico, che i propri amministratori fossero onesti, coerenti con gli impegni presi in campagna elettorale, in grado di dare risposte efficaci ai problemi della comunità che li ha eletti ma anche di quella parte che non si è fidata ed ha preferito non votare oppure orientarsi su altro. Per adesso la politica sembra ancora lontana dal raggiungimento di questo obiettivo, anzi, per restare in tema calcistico, di questa meta, di questo goal. E così a noi non rimane che scommettere non tanto su chi sarà in grado di risolvere i problemi, ma semplicemente su chi riuscirà a far creder di saperlo fare. Una bella differenza!
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