di Roberto Marino
E’
proprio vero che le grandi menti della storia hanno una lungimiranza
sorprendente. Platone, filosofo greco vissuto 2500 anni fa, aveva individuato
già allora – in tempi non sospetti si dice oggi – le due caratteristiche
fondamentali per poter guidare bene uno stato: competenza e moralità. La storia
dell’umanità ha fatto molta strada dai tempi d’oro dell’età classica, eppure
sembra che questa lezione politico-filosofica di alto profilo morale in Italia
sia stata proprio dimenticata.
Volendo divertirsi a scorrazzare tra le pagine di quello che è il capolavoro delle fatiche speculative e letterarie di Platone, La Repubblica, ci si imbatte nella descrizione della classe sociale che per il filosofo può e deve avere quelle caratteristiche fondamentali per reggere bene uno stato. Platone sostiene che i filosofi siano gli unici in grado di svolgere questo difficile compito – una responsabilità ed un onore, come si capisce dal discorso, non una opportunità personale – perché dotati di quelle caratteristiche naturali innate e di quei valori e competenze acquisite con una adeguata educazione ed una consona formazione. Il filosofo insiste molto su questi due aspetti, tanto da arrivare a sostenere che i reggitori debbano avere una approfondita conoscenza della disciplina scientifica, giuridica, amministrativa e del Bene e che non si lascino traviare dalla seduzione della ricchezza. In particolare, sull’ultimo punto dice che i reggitori non dovranno possedere ricchezze private; una blasfemia gravissima per la politica odierna!
Ebbene, dove sono finite queste idee così suggestive? – ci si potrebbe chiedere guardando la politica italiana. Ci troviamo di fronte ad una situazione veramente drammatica per la vita e la salute del nostro Paese: corruzione dilagante (pochi giorni fa la Corte dei Conti ha lanciato l’allarme sulla dimensione sistemica che questa piaga ha assunto in Italia); scarsissimo senso morale e di responsabilità nei confronti del proprio delicato ruolo, individualismo sfrenato; incapacità diffusa di pianificare un progetto coerente, armonico e lungimirante, che consenta lo sviluppo e la crescita dell’Italia. Queste le caratteristiche del ceto politico dirigente italiano.
Essendo la politica un fatto umano che affonda le radici nella dimensione culturale e sociale di un paese, ne diventa espressione più manifesta. Eppure dovrebbe e potrebbe essere guida di una società sbandata, presentandosi punto di riferimento. Se una comunità non può puntare infatti su quella categoria dirigenziale che si pone ad esserne testa, su chi altri dovrebbe fare affidamento?
Questa nuova tornata elettorale ci presenta invece una classe politica vecchia – a parte qualche eccezione che si spera possa determinare un reale cambiamento – con logiche populiste, demagogiche, incapace di interpretare ed esprimere il bisogno di novità chiesto, o forse solo auspicato dai cittadini e preteso dalle istituzioni internazionali.
Esempi di vecchiezza delle logiche, del senso di impunità dietro cui si trincerano i partiti tradizionali e i suoi leader ce ne sono tanti. Il mancato accordo bi-multi-partisan sulla riforma della legge elettorale, tanto vituperata da tutti ma ripudiata da nessuno, come una moglie ingombrante per tutti ma comoda in fondo per ciascuno. Le candidature parlamentari smacchiate con i detergenti delle “rigorose selezioni” delle segreterie dei partiti e imbellettate, che nascondono tessuti logori e rughe profonde e che portano i media ad attendere con ansia i totonomine (pur non essendo noi inglesi scommettitori incalliti, ma si sa la globalizzazione esiste anche sotto l’aspetto culturale) tanto per ridere o piangere un po’. Gli scandali continui di coinvolgimenti materiali e morali – anche questi multi-partisan, perché l’Italia in questo è molto democratica – di esponenti politici o di interi partiti su cui indaga o meno la magistratura. Insomma, il calderone è decisamente pieno e la minestra si preannuncia succulenta.
Dall’altra sponda del fiume lento della società italiana, si presentano forze politiche poco strutturate, organizzate per lo più in movimenti, che si pongono come scuotitrici delle acque stagnanti. Presentano programmi decisamente concreti (quello di cui l’Italia ha estremamente bisogno) con soluzioni più o meno valide e con analisi dei problemi sicuramente condivisibili.
C’è da fidarsi? – ci si chiede. Non c’è alternativa – si può rispondere. L’unico mezzo che abbiamo per cambiare è quello di cambiare sul serio, scegliendo consapevolmente, e dopo un’attenta analisi dei programmi, delle idee, delle soluzioni ai problemi, lo schieramento che incarna realmente quei due elementi posti in campo da Platone: competenza e moralità. A volte, anche se non sempre, guardare al passato è l’unico modo per realizzare il futuro.
Volendo divertirsi a scorrazzare tra le pagine di quello che è il capolavoro delle fatiche speculative e letterarie di Platone, La Repubblica, ci si imbatte nella descrizione della classe sociale che per il filosofo può e deve avere quelle caratteristiche fondamentali per reggere bene uno stato. Platone sostiene che i filosofi siano gli unici in grado di svolgere questo difficile compito – una responsabilità ed un onore, come si capisce dal discorso, non una opportunità personale – perché dotati di quelle caratteristiche naturali innate e di quei valori e competenze acquisite con una adeguata educazione ed una consona formazione. Il filosofo insiste molto su questi due aspetti, tanto da arrivare a sostenere che i reggitori debbano avere una approfondita conoscenza della disciplina scientifica, giuridica, amministrativa e del Bene e che non si lascino traviare dalla seduzione della ricchezza. In particolare, sull’ultimo punto dice che i reggitori non dovranno possedere ricchezze private; una blasfemia gravissima per la politica odierna!
Ebbene, dove sono finite queste idee così suggestive? – ci si potrebbe chiedere guardando la politica italiana. Ci troviamo di fronte ad una situazione veramente drammatica per la vita e la salute del nostro Paese: corruzione dilagante (pochi giorni fa la Corte dei Conti ha lanciato l’allarme sulla dimensione sistemica che questa piaga ha assunto in Italia); scarsissimo senso morale e di responsabilità nei confronti del proprio delicato ruolo, individualismo sfrenato; incapacità diffusa di pianificare un progetto coerente, armonico e lungimirante, che consenta lo sviluppo e la crescita dell’Italia. Queste le caratteristiche del ceto politico dirigente italiano.
Essendo la politica un fatto umano che affonda le radici nella dimensione culturale e sociale di un paese, ne diventa espressione più manifesta. Eppure dovrebbe e potrebbe essere guida di una società sbandata, presentandosi punto di riferimento. Se una comunità non può puntare infatti su quella categoria dirigenziale che si pone ad esserne testa, su chi altri dovrebbe fare affidamento?
Questa nuova tornata elettorale ci presenta invece una classe politica vecchia – a parte qualche eccezione che si spera possa determinare un reale cambiamento – con logiche populiste, demagogiche, incapace di interpretare ed esprimere il bisogno di novità chiesto, o forse solo auspicato dai cittadini e preteso dalle istituzioni internazionali.
Esempi di vecchiezza delle logiche, del senso di impunità dietro cui si trincerano i partiti tradizionali e i suoi leader ce ne sono tanti. Il mancato accordo bi-multi-partisan sulla riforma della legge elettorale, tanto vituperata da tutti ma ripudiata da nessuno, come una moglie ingombrante per tutti ma comoda in fondo per ciascuno. Le candidature parlamentari smacchiate con i detergenti delle “rigorose selezioni” delle segreterie dei partiti e imbellettate, che nascondono tessuti logori e rughe profonde e che portano i media ad attendere con ansia i totonomine (pur non essendo noi inglesi scommettitori incalliti, ma si sa la globalizzazione esiste anche sotto l’aspetto culturale) tanto per ridere o piangere un po’. Gli scandali continui di coinvolgimenti materiali e morali – anche questi multi-partisan, perché l’Italia in questo è molto democratica – di esponenti politici o di interi partiti su cui indaga o meno la magistratura. Insomma, il calderone è decisamente pieno e la minestra si preannuncia succulenta.
Dall’altra sponda del fiume lento della società italiana, si presentano forze politiche poco strutturate, organizzate per lo più in movimenti, che si pongono come scuotitrici delle acque stagnanti. Presentano programmi decisamente concreti (quello di cui l’Italia ha estremamente bisogno) con soluzioni più o meno valide e con analisi dei problemi sicuramente condivisibili.
C’è da fidarsi? – ci si chiede. Non c’è alternativa – si può rispondere. L’unico mezzo che abbiamo per cambiare è quello di cambiare sul serio, scegliendo consapevolmente, e dopo un’attenta analisi dei programmi, delle idee, delle soluzioni ai problemi, lo schieramento che incarna realmente quei due elementi posti in campo da Platone: competenza e moralità. A volte, anche se non sempre, guardare al passato è l’unico modo per realizzare il futuro.
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