08 settembre 2013

8 settembre 1943

di Roberto Marino


Quante cose sono cambiate da quell'8 settembre 1943, eppure quante cose sono rimaste simili! Oggi l'Italia è, sotto molti aspetti, profondamente mutata rispetto a 70 anni fa; ma sarà poi totalmente vero? Cerchiamo di capirlo con una breve analisi. 

Il nostro Paese, fortunatamente, si ritrova ad avere una costituzione democratica solida (anche se a volte interpretata all'occorrenza, a seconda del gruppo di potere o del singolo che deve beneficiare di uno dei suoi principi o articoli). Possiede un parlamento che è l'espressione della volontà popolare e che legifera sulle materie di interesse per la comunità (nonostante spesso accada che la volontà di una certa parte di elettorato sia più valevole di quella di un'altra). Vive una situazione di benessere economico imparagonabile sicuramente alla condizione di povertà di 70 anni or sono (però la crisi economica ruggisce e morde ancora molto e le aziende che chiudono e gli imprenditori che si suicidano sono sempre troppi). Ancora, fa parte di una unione (per adesso soltanto) monetaria di stati europei, realizzata dopo aver imboccato, proprio a partire da quel 1943 di cui l'8 settembre ne sancì l'ufficialità, la strada di un percorso di collaborazione extra statale con le potenze democratiche di allora; percorso che - si spera - si concluderà un giorno con un superamento delle logiche nazionali (le contraddizioni, i giochi di potere, la mancanza di regole veramente uniformi per tutti i Paesi sono però ancora tanti). Infine, l'Italia è ancora immersa in una dimensione in cui manca una progettualità politico-amministrativa e culturale lungimirante, in grado di traghettarla realmente verso una situazione di sviluppo e che possa mettere a frutto le sue potenzialità ancora troppo quiescenti o abbandonate a se stesse. Certamente, la confusione attuale non è storicamente assimilabile a quella del periodo di confronto, ma lo è culturalmente parlando. 

Veniamo ora a ciò che accadde in quell'8 settembre di 70 anni fa. Cinque giorni prima di quella data, ovvero il 3 settembre, il generale e Maresciallo d'Italia, Pietro Badoglio, nominato poco più di un mese prima capo del governo dal re Vittorio Emanuele III, «riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane». Il documento venne firmato a Cassibile, presso Sicuracusa.

La situazione militare, politica e sociale dell'Italia è disastrosa. Il nostro Paese era stato trascinato in una guerra che non è in grado di sopportare né dal punto di vista degli armamenti, né da quello economico e neppure dal punto di vista dell'organizzazione e del morale. Del resto, le campagne di Grecia e Albania del 1940-'41 e quelle nordafricane del '42 lo avevano dimostrato chiaramente. Ma è nel luglio di quel 1943 che la situazione diventa incandescente per il Regno d'Italia. 

Con l'entrata in guerra degli Stati Uniti (7 dicembre 1941) e lo sbarco in Sicilia (10 luglio 1943) la situazione militare e geo-politica comincia lentamente a cambiare. In particolare, questo secondo evento segna definitivamente la nuova piega degli eventi. L'operazione Husky, più famosa come sbarco in Sicilia - deciso durante la Conferenza di Casablanca da americani e inglesi - porta le truppe angloamericane ad occupare la Sicilia prima e l'Italia meridionale in seguito, sfruttando l'Africa settentrionale come ponte per raggiungere l'Europa. 

Il contraccolpo nel governo italiano è enorme. L'occupazione della Sicilia, che accoglie i neo-arrivati come liberatori attesi da tempo, porta immediatamente alla spaccatura del partito fascista e alla messa in discussione della leadership mussoliniana. Il Gran Consiglio del fascismo, l'organo presieduto dai maggiori dirigenti del partito che svolgeva compiti di vigilanza ed epurazione (deliberava sulla formulazione delle liste dei candidati da proporre al corpo elettorale, sugli statuti, ordinamenti e direttive politiche del Partito, esprimeva pareri su questioni di carattere costituzionale in genere, formava la lista di candidati per la nomina a capo del governo, da presentare al re, in caso di vacanza del posto) durante una riunione fiume, convocata d'urgenza e tenuta nella notte tra il 24 e 25 luglio, con la mozione Grandi, votata da 19 favorevoli e 7 contrari, considera decaduto Benito Mussolini. 

Il Gran Consiglio non ha però il potere di estromette Mussolini dalla sua carica di capo del governo, potere, almeno formale, che ancora spetta al re Vittorio Emanuele III. Nella mattinata del 25 luglio infatti, il sovrano convoca il duce e, dopo averlo destituito dell'incarico dichiarando di aver già mosso i primi passi per sostituirlo con il maresciallo Badoglio, lo fa arrestare mentre scende gli scalini di Villa Savoia. 

Il periodo che segue quella data e che arriva fino all'8 settembre è passato alla storia come «i quarantacinque giorni». Sono giorni duri, durissimi. L'Italia passa da un momento all'altro a perdere le proprie figure di riferimento, un quadro politico, ideologico e culturale - seppure inadeguato - che prima aveva. I soldati non sanno da che parte schierarsi e cosa fare, con i fascisti che fanno propaganda di tradimento e che, sostenuti dai tedeschi, organizzano cruente rappresaglie da una parte, gli Alleati che risalgono la penisola dall'altra e il desiderio di tornare a casa, dopo anni di dure campagne militari, da un'altra ancora. 

Alla fine, arriva la data dell'armistizio. L'Italia passa ufficialmente dalla parte degli Alleati, anche se a condizioni piuttosto dure: deve arrendersi senza condizioni, non viene accolta tra gli Alleati e le viene riconosciuto lo status, poco chiaro, di cobelligerante. Questo però è solo l'inizio della dura risalita italiana. Gli anni che seguiranno fino alla conclusione della guerra e alla ricostruzione saranno altrettanto violenti, confusi e difficili da sopportare.

Certo, dire oggi che nulla è cambiato e che, fondamentalmente, ci ritroviamo in condizioni simili a quelli del periodo bellico sarebbe storicamente assurdo e infantile. La Storia cammina avanti e non rimette mai i piedi all'interno delle proprie orme. Altrettanto certo però è che ci aspettano sfide similmente difficili da superare - non soltanto nel futuro, ma anche nell'immediato presente - e che dobbiamo essere all'altezza di chi ci ha preceduto, per riuscire a superarle con la stessa forza d'animo, determinazione e ostinazione, che da sempre caratterizzano il popolo italiano.

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