13 settembre 2013

Perché tanta filosofia?

di Roberto Marino 


La filosofia non è né una cosa del passato, né una cosa per vecchi (con buona pace del Platone della Repubblica) e neppure "quella cosa con la quale o senza la quale si rimane tale e quale", come recita la nota battuta tratta dalla "saggezza" popolare. Questo a giudicare dai dati che hanno registrato, negli ultimi anni, la crescita di presenza al Festivalfilosofia in programma ogni anno a Modena, Carpi e Sassuolo e che si terrà quest'anno dal 13 al 15 settembre. L'evento, ormai più che decennale (esiste dal 2001), ha fatto registrare negli ultimi anni una grande crescita di visitatori. Si è passati dai 150 mila dell'edizione del 2009 ai 175 mila dell'edizione del 2011, per arrivare ai 184 mila dello scorso anno. 

Ma gli eventi ufficiali organizzati non sono i soli termometri per misurare la "fame" di filosofia che c'è ovunque e soprattutto tra i giovani. Sono centinaia, se non migliaia i siti internet, le pagine facebook che riportano citazioni dei grandi pensatori del passato, sia appartenenti alla cultura occidentale, che orientale. Tramite poi la diffusione virale della condivisione, della spunta (il famoso "Like" o in italiano "Mi Piace") queste citazioni sono ormai divenute patrimonio comune della grande maggior parte dei giovani, che sono poi i consumatori principali di social network. 

Certo, non è da escludere che questa tendenza sia divenuta ormai anche un trend, una moda appunto - talvolta criticata dagli acerrimi nemici del conformismo mediatico, così come dagli addetti ai lavori - ma ridurre il fenomeno a semplice avvenimento di costume sarebbe limitativo. In realtà, sotto deve esserci altro. E non si è lontani dal vero se si identifica questo "altro" come il bisogno di trovare risposte, sostegno, empatia tra il mondo e il proprio modo di pensare, la propria sensibilità.

E' una caratteristica culturale della modernità quella di proiettare al di fuori la propria interiorità (pensiamo ai quadri di Van Gogh, tanto per citare un esempio illustre) e la filosofia può in questo modo fornire una risposta ben precisa a ciò che si cerca quando si compie questa operazione. Condividere tutto è divenuto il naturale modo di rapportarsi degli uomini del nostro tempo al mondo che li circonda e i nuovi mezzi di comunicazione istantanea e sociale hanno accentuato e dato uno strumento concreto per poterlo fare. 

Se questa caratteristica culturale e sempre più antropologica ha degli aspetti inquietanti (globalizzazione e omologazione dei modi di pensare e di dire, annullamento degli spazi emotivi privati, banalità della comunicazione), da un'altra prospettiva stimola sempre di più i giovani, in particolare, a scoprire il messaggio affascinante che la filosofia porta con sé e che è poi la condizione più naturale dell'essere umano: conoscere ed utilizzare la conoscenza acquisita. Per scopi personali d'accordo, ma pur sempre di uso e frequentazione con questo mondo si tratta. 

Gli accademici non storcano il naso, commentando altezzosamente che ciò non significa che tutti i consumatori e frequentatori di social network, di frasi celebri, citazioni diventeranno degli studiosi di Platone, Kant, Nietzsche o Heidegger. Nessuno pretende questo e non sarebbe neppure auspicabile. Ciò che conta davvero è che non ci sia il rifiuto aprioristico nei confronti della filosofia e della cultura in genere da parte dei "non professionisti", che potrebbero bollarla come qualcosa di inutile che non dà da mangiare o che costruisce soltanto bei castelli in aria ma inservibili. 

Se Socrate ci ha insegnato davvero qualcosa e se siamo in grado di comprenderlo, ovvero che la filosofia è conoscenza, ricerca e diffusione di questa, allora è necessario superare certe barriere culturali e favorire la sua circolazione con tutti i mezzi a disposizione, magari intervenendo anche a guidare, spiegare, indirizzare. Come dice Francesco De Gregori: «Se Van Gogh avesse cambiato pennello, sarebbe comunque rimasto un grande artista».

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