06 settembre 2013

Classici da (A)mare: "Beppo, racconto veneziano" di George Gordon Byron

di Roberto Marino


Se si potesse tornare indietro nel tempo, se la teoria della reincarnazione fosse vera e ognuno potesse scegliere in quale epoca rivivere dopo la morte, mi piacerebbe tornare nell'Italia del Settecento, magari nella Venezia del grande Carnevale. Questa almeno è la prima sensazione che ho avuto dopo aver finito di leggere il poemetto satirico di Lord Byron, Beppo, racconto veneziano

Mettendo insieme varie esperienze letterarie già vissute da illustri predecessori inglesi (il gusto per il tratteggio paesaggistico di Defoe, il disincanto agrodolce e fiabesco di Swift, l'interesse insistente per il quadro di costume di Fielding e infine l'ironia distaccata e la grande eloquenza di Pope, come fa notare il traduttore e critico Franco Giovanelli) Byron riesce, in sole novantanove strofe di otto versi ciascuna, a mettere su un'operetta gradevolissima e scorrevole da leggere - in linea con l'atmosfera rilassata di questi ultimi scampoli di estate settembrina. 

La storia molto semplice è perfettamente armonizzata con il gusto, i costumi, le vicissitudini, le atmosfere leggere, scanzonate e licenziose della Venezia del Settecento, patria di Casanova e, logicamente, del carnevale. Proprio durante questa festa infatti, la «Né giovane né vecchia» ma sicuramente molto avvenente Laura - dama veneziana rimasta vedeva dopo la scomparsa in mare del marito Beppo, "sostituito" dopo molti anni con un nobile cicisbeo - si accorge di essere insistentemente e passionalmente osservata, durante il ballo in maschera, da un uomo dai costumi mediorientali. La gelosia garbata ma decisa del conte, che accompagna la signora, farà svelare all'uomo misterioso la sua vera identità: altri non è egli che Beppo. 

L'ironia, pacata ma facilmente percepibile, percorre tutta l'opera. Le frecciatine del poeta si rivolgono innanzitutto verso il conformismo benpensante dell'epoca. Fingendosi cristiano pio e uomo moralmente integerrimo, Byron mette in luce le contraddizioni della cultura occidentale, vissuta con spirito puritano. Può dunque togliersi qualche sassolino dalla propria scarpa letteraria, denunciando esplicitamente la presunzione convinta di alcuni scribacchini che si atteggiano a poeti e scrittori e che si dilettano ad introdurre le donne di buona società nel sacro mondo della cultura. Smaschera, infine, attraverso l'iperbole, i luoghi comuni di uomini e donne europei nei confronti di presunti costumi primitivi musulmani, pur non rinunciando ad evidenziare la realtà di alcune usanze arabe piuttosto strane. 

Tema centrale del poemetto è il continuo confronto tra la rigida e fredda cultura nordica - inglese in particolare - e la più sensuale e passionale cultura mediterranea italiana. I punti di divergenza sono diversi a detta del poeta, il quale non si esime dall'elencarli. Ne emerge così un quadro piuttosto lusinghiero del nostro Paese, patria di libertà, arte, bellezza, sensualità, passionalità, vita. Per indole personale, scelte di vita e sensibilità letteraria, Byron infatti è molto più legato ad una visione del mondo libera, che moralmente irreprensibile. Da questo quadro poi non rimane certamente estranea l'incoerenza che si registra nella cultura italiana tra la fede e morale cattoliche da una parte e alcuni liberi costumi dall'altra. Non certo una novità nella Storia.

Da registrare inoltre l'attrazione e la curiosità che il poeta sente per la cultura esotica, araba in particolare. Tematica appartenente con pieno diritto alla letteratura romantica - così come la vita avventurosa e raminga, la spiccata emotività - emerge in più occasioni, a volte marcando la profonda ignoranza e presunzione occidentali, anche se vissute con ingenuità e superficialità. Venezia è il palcoscenico migliore dove mettere in scena l'incontro tra le due diverse culture, proprio per la sua tradizionale vocazione di città di frontiera - come si può ancora notare dalla sua architettura storica. 

Un episodio che, a mio avviso, esemplifica al meglio questo tema - mostrando la grande genialità di Byron - è quello del caffè. Nella semplice scenetta - che passa d'emblée - di Beppo e il conte davanti ad una tazza di caffè, egli è riuscito a concentrare magistralmente (ben due secoli fa!) la necessità del confronto tra culture diverse, di cui ancora oggi si parla tanto e non se ne è ancora venuti a capo. 

Un'ultima annotazione prima di lasciare al piacere della lettura. Oltre che a teatro di  incontro tra culture diverse, Venezia, colta proprio nel periodo del carnevale, serve come ambientazione geografica a cui ancorare la propria ironia di poeta satirico. Il gioco della maschera, il vedo-non vedo, l'allusione che non afferma esplicitamente creano naturalmente quel clima di leggerezza sottilmente acuta, che fa scivolare via il testo senza troppi sospetti.

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