17 agosto 2013

Classici da (A)mare: "Laelius de amicitia" di M. T. Cicerone

di Roberto Marino

L'amicizia, quella autentica, è un sentimento nobilissimo, forse il più bello che possa esserci tra gli uomini. Pari o, in alcuni casi, persino superiore all'amore perché, mentre questo può finire nonostante sia stato vero e profondo (a volte proprio per quello), l'amicizia dura in eterno. Marco Tullio Cicerone infatti, nel libello Laelius de amicitia, ritiene che amore ed amicizia siano sentimenti molto affini sia linguisticamente - entrambi derivano dalla stessa radice am - sia dal punto di vista sostanziale, entrambi presuppongono il «volere bene a colui che si ama, senza pensare ad alcun bisogno da soddisfare, ad alcuna utilità da ricevere in cambio». 

E' sulla base di questa concezione che viene costruito il dialogo - già a partire dal nome - in cui si affronta il problema dell'amicizia, nella sua versione romana, dalla prospettiva di Gaio Lelio, amico di Scipione l'Emiliano e console nel 140 a. C. L'opera è costruita su tre piani temporali diversi e racconta di un dialogo tenutosi nel 129 a. C., - anno della morte di Scipione - tra lo stesso Lelio, ancora triste per la morte del grande amico di una vita, e i suoi due generi Quinto Mucio Scevola e Gaio Fannio. Cicerone però apprende del dialogo tra i tre personaggi nell'88 a. C. quando, giovane apprendista avvocato, viene inviato dal padre nella casa di Scevola, per imparare l'arte retorica e completare i propri studi giuridici. L'anno della stesura dell'opera è invece il 44 a. C. , poco dopo le Idi di marzo e dunque la morte di Cesare.

L'alternanza di piani temporali diversi permette all'autore di affiancare il proprio discorso teorico a validi esempi concreti, tratti dalla vita politica e sociale del proprio tempo, per imbastire così un discorso di carattere politico, culturale, filosofico, sociale, racchiuso dal termine "amicizia". Nella cultura romana infatti il concetto di amicizia è decisamente più vasto che nella nostra. Indica non soltanto un rapporto affettivo tra due persone, ma anche una comune appartenenza politica, culturale e sociale, una visione del mondo similare, valori morali e comportamenti pubblici affini. 

Proprio per questo suo carattere così vasto, l'amicizia a Roma, in particolar modo tra individui appartenenti a classi sociali elevate, era diventata strumento di affermazione personale in ambito politico ed economico. In questo modo però, il valore del mos maiorum - l'antico patrimonio di valori, di cui Cicerone si professa strenuo difensore - era stato tradito e la cultura romana aveva subito un degrado difficilmente sanabile. Degrado che aveva trasformato il nobile sentimento di amicizia in occasione da sfruttare strumentalmente per i propri scopi e che si era concretizzato nell'epoca delle lotte tra Mario e Silla, tra Cesare e Pompeo, tra aristocratici, equites e popolari. 

Dentro questo semplice libello c'è tutta la critica della società del tempo - fatta sapientemente da chi conosce e maneggia molto bene l'arte della parola - così come si trova la nostalgia per quelli che oggi chiameremmo "i bei tempi andati". Bei tempi ormai andati anche per il sopraggiungere a Roma di concezioni culturali provenienti dalla Grecia, che hanno inquinato l'antico costume romano diffondendo i valori della mollezza morale, della cupidigia, del desiderio di beni terreni e del soddisfacimento di piaceri. Ecco dunque che l'analisi del concetto di amicizia non può fare a meno di passare attraverso l'accenno alle concezioni filosofiche greche ormai note a Roma. 

Epicureismo e stoicismo sono le dottrine filosofiche greche più diffuse a Roma. Cicerone le spiega attraverso la cartina di tornasole del concetto di amicizia e, seppure critica la concezione stoica dell'uomo superiore bastante a se stesso e che quindi non necessita dell'amico, alla fine finisce per essere molto più indulgente con la filosofia della Stoà che con l'epicureismo. Quest'ultimo individua nel piacere il principio che guida le azioni degli uomini e di conseguenza l'amicizia viene inquinata da ambizioni personali e desiderio di soddisfare i propri bisogni. 

L'immagine di uomo e di amico che risalta da questa descrizione è quella di un individuo leale, onesto, sincero, non invadente, che rispetta la vita privata degli altri uomini, che non obbliga l'amico a compiere un illecito per essere favorito, che non lo accusa di tradimento qualora egli privilegi la propria moralità rispetto ad una versione depravata del sentimento di amicizia. Tutte virtù queste che appartenevano ai due amici per eccellenza, Lelio e Scipione. 

Infine, Cicerone conclude con un consiglio, espresso da una metafora molto efficace. Mai scegliere un amico lasciandosi prendere da un entusiasmo eccessivo, perché si rischia di compiere scelte frettolose e sbagliate. Esattamente come si fa nelle corse di cavalli, è conveniente puntare su quelli che hanno già dato prova di capacità, piuttosto che su chi non ha ancora dimostrato ai nostri occhi il proprio valore. Un consiglio valido sempre, classico nel senso più antico e profondo del termine, non c'è che dire.

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