di Roberto Marino
Spensieratezza, leggerezza, relax, divertimento. Sono queste le cose che l'estate porta con sé ed è per questo che tutti la ricercano e la aspettano con desiderio. L'estate di quest'anno però ha portato anche qualcosa in più, una forte tendenza alla riscoperta del passato che, con termine moderno e alla moda, chiamiamo Vintage.
In realtà, l'attrazione per ciò che appartiene ad un'altra epoca, lontana almeno vent'anni dalla propria - è questo il significato del termine - non spunta soltanto quest'anno come un fungo dopo qualche giorno di pioggia. Già da qualche tempo infatti si nota, nella nostra cultura, un certo atteggiamento nostalgico nei confronti del retrò, tuttavia ho notato, in questo periodo di vacanza, una certa accentuazione del fenomeno.
Cover band musicali di artisti o gruppi appartenenti a periodi storici ruggenti; note e parole di canzoni che hanno segnato epoche, formato giovani, diffuso idee e modelli comportamentali; stili di abbigliamento sbarazzini, che ripropongono (in cattività) la voglia di liberazione del corpo e dello spirito da gabbie di stoffa e concettuali, che non possono essere neppure un ricordo pallido nella memoria dei ragazzi d'oggi. Tutto questo abbiamo visto e continuiamo a vedere in giro per le strade, i locali, le discoteche, gli stabilimenti balneari, i mercatini, le fiere, le piazze delle piccole e grandi città italiane.
Visto il panorama culturale che ci circonda, è necessario almeno un tentativo di riflessione, giusto per capire cosa stia succedendo, che periodo stiamo vivendo. Ho l'impressione che ci troviamo, almeno in Italia, in un'epoca di stanchezza culturale, in cui manca quella forza propulsiva che ha caratterizzato periodi storici precedenti. E non è soltanto una convinzione razionale, ma anche la percezione di qualcosa che si avverte nell'aria.
Certo, in questi ultimi due decenni abbiamo conosciuto invenzioni, o in alcuni casi diffusioni su larga scala, di beni e servizi decisamente rivoluzionari come internet (utile per mille usi) e i social network che hanno modificato radicalmente il nostro modo di comunicare e di vivere in società. A parte questo però, non sembra che su altri fronti si possano riscontrare cambiamenti rivoluzionari, che consegneranno alla Storia la nostra epoca come un periodo di grande vitalità.
Eppure l'Italia è stata in passato la patria della modernità. Le grandi scoperte geografiche alla fine del Quattrocento, il Rinascimento nei primi decenni del Cinquecento, il Romanticismo a inizio Ottocento, la passione dei patrioti durante il XIX secolo e ancora la grande letteratura di Foscolo, Manzoni, Leopardi. Per il secolo appena trascorso, basterà citare l'esempio delle grandi rivoluzioni culturali degli anni '60-'70. Nuovi stili musicali, nuova tipologia di abbigliamento, nuovi ideali, valori, aspettative, stili di vita rispetto a quelli di una sola generazione precedente. Spesso d'importazione dai Paesi anglosassoni, ma comunque innovativi per il periodo. Persino nell'ambito socio-politico, in quegli anni, si sono teorizzate concezioni alternative rispetto ai modelli antitetici e unilaterali rappresentati dai regimi totalitari da una parte e dalle democrazie occidentali alle prese con qualche problema di coerenza interna dall'altra. E non era decisamente facile in un clima di trionfo delle ideologie, che si imponevano attraverso un'intensa opera di propaganda e di forte pressione mediatica!
Dopo di ciò ci siamo fermati. E' vero che è sempre molto facile cedere alla tentazione di criticare l'epoca in cui si vive, invece di cogliere ciò che c'è di positivo; soltanto gli uomini più lungimiranti sono in grado di leggere anche i piccoli segnali di cambiamento e trasformali in vere rivoluzioni. E' anche vero però che la situazione non lascia molto ben sperare. Ammetto di essere, probabilmente per indole, attratto dalla nostalgia del passato, ma preferirei avvertire nel mio tempo il profumo della Grande Storia e lasciare ai posteri la fortuna di assaporarne il gusto. Non voglio pensare che l'attuale generazione di uomini non abbia una propria spinta propulsiva in grado di portare in alto. Magari ci troviamo solamente in un periodo di transizione, uno dei tanti cicli storici che apre la strada ad un'epoca migliore; qualcosa di simile a ciò che avviene in economia e in demografia con i cicli di espansione e di contrazione.
Ciò detto, l'ammirazione per il passato va anche bene - in fondo c'è sempre stata nel corso della storia e spesso ha contribuito all'evoluzione - ciò che bisogna evitare è la caduta nel lassismo, che deriva da un atteggiamento di monumentalizzazione della storia e dei valori delle culture precedenti. E' necessario quindi cogliere lo spirito delle Opere delle generazioni che ci hanno preceduto e metterlo a frutto con coraggio e creatività. Nietzche e Winckelmann, seppure ciascuno a suo modo, lo avevano anticipato rispettivamente un secolo e mezzo e due secoli e mezzo fa. Una bella lezione proveniente dal passato!
In realtà, l'attrazione per ciò che appartiene ad un'altra epoca, lontana almeno vent'anni dalla propria - è questo il significato del termine - non spunta soltanto quest'anno come un fungo dopo qualche giorno di pioggia. Già da qualche tempo infatti si nota, nella nostra cultura, un certo atteggiamento nostalgico nei confronti del retrò, tuttavia ho notato, in questo periodo di vacanza, una certa accentuazione del fenomeno.
Cover band musicali di artisti o gruppi appartenenti a periodi storici ruggenti; note e parole di canzoni che hanno segnato epoche, formato giovani, diffuso idee e modelli comportamentali; stili di abbigliamento sbarazzini, che ripropongono (in cattività) la voglia di liberazione del corpo e dello spirito da gabbie di stoffa e concettuali, che non possono essere neppure un ricordo pallido nella memoria dei ragazzi d'oggi. Tutto questo abbiamo visto e continuiamo a vedere in giro per le strade, i locali, le discoteche, gli stabilimenti balneari, i mercatini, le fiere, le piazze delle piccole e grandi città italiane.
Visto il panorama culturale che ci circonda, è necessario almeno un tentativo di riflessione, giusto per capire cosa stia succedendo, che periodo stiamo vivendo. Ho l'impressione che ci troviamo, almeno in Italia, in un'epoca di stanchezza culturale, in cui manca quella forza propulsiva che ha caratterizzato periodi storici precedenti. E non è soltanto una convinzione razionale, ma anche la percezione di qualcosa che si avverte nell'aria.
Certo, in questi ultimi due decenni abbiamo conosciuto invenzioni, o in alcuni casi diffusioni su larga scala, di beni e servizi decisamente rivoluzionari come internet (utile per mille usi) e i social network che hanno modificato radicalmente il nostro modo di comunicare e di vivere in società. A parte questo però, non sembra che su altri fronti si possano riscontrare cambiamenti rivoluzionari, che consegneranno alla Storia la nostra epoca come un periodo di grande vitalità.
Eppure l'Italia è stata in passato la patria della modernità. Le grandi scoperte geografiche alla fine del Quattrocento, il Rinascimento nei primi decenni del Cinquecento, il Romanticismo a inizio Ottocento, la passione dei patrioti durante il XIX secolo e ancora la grande letteratura di Foscolo, Manzoni, Leopardi. Per il secolo appena trascorso, basterà citare l'esempio delle grandi rivoluzioni culturali degli anni '60-'70. Nuovi stili musicali, nuova tipologia di abbigliamento, nuovi ideali, valori, aspettative, stili di vita rispetto a quelli di una sola generazione precedente. Spesso d'importazione dai Paesi anglosassoni, ma comunque innovativi per il periodo. Persino nell'ambito socio-politico, in quegli anni, si sono teorizzate concezioni alternative rispetto ai modelli antitetici e unilaterali rappresentati dai regimi totalitari da una parte e dalle democrazie occidentali alle prese con qualche problema di coerenza interna dall'altra. E non era decisamente facile in un clima di trionfo delle ideologie, che si imponevano attraverso un'intensa opera di propaganda e di forte pressione mediatica!
Dopo di ciò ci siamo fermati. E' vero che è sempre molto facile cedere alla tentazione di criticare l'epoca in cui si vive, invece di cogliere ciò che c'è di positivo; soltanto gli uomini più lungimiranti sono in grado di leggere anche i piccoli segnali di cambiamento e trasformali in vere rivoluzioni. E' anche vero però che la situazione non lascia molto ben sperare. Ammetto di essere, probabilmente per indole, attratto dalla nostalgia del passato, ma preferirei avvertire nel mio tempo il profumo della Grande Storia e lasciare ai posteri la fortuna di assaporarne il gusto. Non voglio pensare che l'attuale generazione di uomini non abbia una propria spinta propulsiva in grado di portare in alto. Magari ci troviamo solamente in un periodo di transizione, uno dei tanti cicli storici che apre la strada ad un'epoca migliore; qualcosa di simile a ciò che avviene in economia e in demografia con i cicli di espansione e di contrazione.
Ciò detto, l'ammirazione per il passato va anche bene - in fondo c'è sempre stata nel corso della storia e spesso ha contribuito all'evoluzione - ciò che bisogna evitare è la caduta nel lassismo, che deriva da un atteggiamento di monumentalizzazione della storia e dei valori delle culture precedenti. E' necessario quindi cogliere lo spirito delle Opere delle generazioni che ci hanno preceduto e metterlo a frutto con coraggio e creatività. Nietzche e Winckelmann, seppure ciascuno a suo modo, lo avevano anticipato rispettivamente un secolo e mezzo e due secoli e mezzo fa. Una bella lezione proveniente dal passato!
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