14 ottobre 2013

Storie di ordinaria follia calabrese

di Roberto Marino

La vita è davvero strana e imprevedibile. E’ una frase fatta, di circostanza, un abito buono per ogni occasione, ma in alcuni casi è l’unico commento possibile per eventi che accadono inaspettati, nel senso di non voluti. Come quello capitato lo scorso anno ad alcuni - da qualche anno ormai ex - studenti dell’Università della Calabria, tra cui il sottoscritto. 

Era esattamente il 17 settembre 2012, quando poco prima di mezzogiorno, nella calda mattinata di quel giorno di scampolo d’estate in cui veniva voglia di fare un tuffo in mare, mi vedo recapitare un avviso di conclusione indagini preliminari, per una questione riguardante il presunto – rivelatosi poi infondatissimo – superamento illecito di alcuni esami, risalente a 7 anni prima. Lo sgomento fu indicibile da parte di chi ha sempre studiato con dedizione, ritenendo lo studio non soltanto un impegno nei confronti di se stesso per costruirsi il proprio futuro – piuttosto carente in Italia - o della propria famiglia come ricompensa morale per i sacrifici sostenuti, quanto più che altro una passione, un vero e proprio modo di vivere: uno stile di vita. 

Come ormai è noto, perché riferito da molte testate giornalistiche locali, il presunto illecito aveva riguardato e riguarda ancora molti laureati e laureandi, alcuni impiegati di segreteria, nonché una tutor didattica, della facoltà di Lettere e Filosofia all’Unical di Arcavacata. Scoperta, nel lontano 2010, una irregolarità, da parte di un docente titolare dell’insegnamento di Storia del pensiero scientifico, sul cursus studii di una laureanda a qualche giorno dal raggiungimento del traguardo – sostanzialmente il professore non riconosceva come propria la firma apposta sullo statino, che avrebbe dovuto comprovare il regolare superamento di dell’esame – il caso è passato nelle mani della magistrature di Cosenza e Catanzaro in seguito alla denuncia da parte dello stesso docente, del preside della facoltà, Raffaele Perrelli, dell’allora rettore dell’ateneo, Giovanni Latorre. 

La magistratura ha fatto giustamente il proprio lavoro, coinvolgendo nelle sue indagini, durate ben due anni e mezzo, oltre settanta utenti ed ex utenti dell’Unical. Il problema è che nelle indagini sono state coinvolte persone completamente estranee, nonché inconsapevoli dei fatti. Ma tant’è; non ci si scandalizza per situazioni simili, possono anche accadere. Ciò che non può accadere e per cui invece ci si deve scandalizzare è il motivo per cui si può venire investiti da simili vortici giudiziari: lo smarrimento della documentazione ufficiale attestante l’intera carriera di studenti ed ex studenti (statini) e la successiva - ancora presunta visto che ci sono state circa 60 richieste di rinvio a giudizio - ricompilazione illecita inter nos, ad insaputa delle persone coinvolte, da parte di chi svolge lavoro pubblico. 

Le responsabilità penali sono ancora tutte da accertare e la magistratura, meglio la giustizia, – perché di questo c’è bisogno in Italia – farà il proprio corso, attribuendo ad ognuno il suo. C’è un però. Se il reato è stato commesso e nelle modalità che si ritengono, la responsabilità materiale spetta sicuramente a chi lo ha concretamente compiuto, con o senza la eventuale complicità dei beneficiari dell’atto. La responsabilità morale tocca però a tutto un sistema di disfunzione amministrativa, cattiva gestione, disorganizzazione burocratica, che fa capo alla rete Unical e che chi ha frequentato l'ateneo conosce bene. 

Quello che tutte le testate giornalistiche, che si sono occupate del caso, hanno riportato è infatti la notizia della tempestività con cui l'Università, nelle figure competenti, ha immediatamente messo a disposizione degli inquirenti il proprio materiale per l’accertamento della verità. Vero in parte. Ciò che non si è detto è che dopo la ricezione della notifica di conclusioni indagini preliminari, laureati e laureandi coinvolti hanno insistentemente richiesto alla Università copie di una quantità di atti, sempre ufficiali, dimostranti la propria estraneità alla vicenda e non consegnati in prima istanza – per dimenticanza, difficile reperimento si può supporre – a chi aveva indagato fino ad allora. Successivamente, la solerzia del personale amministrativo ha fatto sì che altro materiale, originale e di prima mano, giungesse nelle mani della magistratura, facendo ottenere a 13 ex indagati - tra cui chi scrive - prima, la richiesta di archiviazione da parte dei pubblici ministeri al giudice per le indagini preliminari e, successivamente, la firma del decreto, di meno di un mese fa, da parte dello stesso magistrato con la motivazione di estraneità al reato. 

Certo, il rapporto scientifico causa-conseguenza dei due fatti – la richiesta insistente di documentazione da parte delle persone coinvolte e il successivo, in ordine temporale, riaffiorare di quella parte fondamentale dei documenti originali per la conclusione della vicenda – non è scientificamente dimostrabile, tuttavia proprio la scienza, da Galilei a Popper, insegna che le ipotesi sono il punto d'avvio del processo conoscitivo. 

La storia appena raccontata non vuole essere uno sfogo personale. Non è questa la sede opportuna per operazioni del genere. Molto più appropriate sarebbero infatti le conversazioni con familiari e amici. L’obiettivo che invece ho voluto raggiungere è innanzitutto l’analisi più o meno approfondita di una triste vicenda, ma soprattutto la rappresentazione di una dimensione culturale degradata come quella calabrese, a cui serve un cambio di passo, uno scatto di reni individuale e sociale per allinearsi agli standard più evoluti di quell’Europa che sempre più cerca di richiamarci a sé. 

Questa storia passerà come passano tutte le storie umane; i protagonisti stessi passeranno, come è normale che sia, come accade a tutti, ma ciò che resterà sarà il senso di giustizia, la voglia di cambiamento da parte dei giovani che si sentono frustrati in una regione sterile - perché in questo modo ridotta - il bisogno di riscatto, l'impegno attivo di tutti coloro che quotidianamente si adoperano, con lavoro instancabile e senso di abnegazione, per cercare di migliorare le cose. In una parola: ideali. Del resto, qualcuno di decisamente più saggio, intelligente, profondo, illustre di me disse, in tempi non sospetti, che gli uomini passo, ma le idee restano. Se è vero che lui come uomo è passato quel 23 maggio 1992, è altrettanto vero che le sue idee stanno ancora, fortunatamente, circolando sulle gambe delle donne e degli uomini coraggiosi ed onesti. 

0 commenti :

Posta un commento