29 ottobre 2013

Martedì 29 ottobre 1929: cominciava la Grande Crisi

di Roberto Marino

Il 29 ottobre 1929 era martedì e quella data segnò un momento tragico per gli Stati Uniti d'America, l'economia mondiale, il capitalismo, la tenuta dei regimi liberal-democratici. Quel giorno è passato alla storia come il martedì nero, preceduto dal giovedì nero, 24 ottobre, e il giorno prima, 28 ottobre, il lunedì nero. 

Una settimana a dir poco pesante l'ultima di quell'ottobre di 84 anni fa, nella quale si arrivò a stabilire record negativi difficilmente superabili in termini di denaro perso (30 miliardi di dollari in una settimana, di cui 14 nella sola giornata di martedì), di azioni scambiate (quasi 13 milioni il giovedì per arrivare a 16,4 milioni del martedì 29) e di percentuale di valore perso dell'indice Dow Jones (-17% ai primi di ottobre, -13% il lunedì 28 e un altro -12% del martedì). 

A poco valse la riunione fiume di venerdì 25 ottobre tenuta dai grandi banchieri Lamont, Wiggin e Mitchell, i quali provarono a gettare sul mercato, attraverso la direzione di Richard Whitney - vice presidente del maggiore mercato finanziario americano per volume di affari, l'Exchange - una enorme quantità di liquidi, acquistando ben sopra il valore di mercato grandi pacchetti azionari della U.S. Steel e di altre società. L'operazione stabilì una tregua, ma non la fine della tragedia. L'andamento dell'indice di borsa si mantenne altalenante, mostrando grande volatilità per il resto dell'anno e per l'anno successivo. Iniziò così la Grande Depressione, che costò agli Stati Uniti gran parte della crescita che avevano sviluppato nel corso dei decenni precedenti e all'Europa, la Germania in particolare, l'estremizzarsi del panorama politico fino alla vittoria dei fascismi con le tutte le conseguenze che sappiamo. 

Il sistema democratico liberale ottocentesco dimostrò con la crisi di non essere in grado di saper affrontare forti criticità e di riformarsi. Il liberismo economico classico, con il sistema del laissez-faire, aveva creato forti guadagni speculativi negli anni successivi alla Grande Guerra. Gli Stati Uniti beneficiarono fortemente della grande crescita legata al treno degli investimenti per la ricostruzione in Europa, mentre questa aveva perso enormemente la leadership internazionale e le sue potenze (Gran Bretagna, Francia, Germania), sia dal punto di vista politico che economico, erano ormai state declassate o addirittura enormemente impoverite. Basti pensare che il tasso medio di disoccupazione nei paesi europei tra il 1924 e il 1929 (periodo in cui la ricostruzione andava a pieno regime) si aggirava intorno al 14%, mentre oltreoceano era al 4. 

La crescita post guerra era in realtà un fenomeno aleatorio. Dai dati di cui si dispone (W. W. Rostow, The World Economy: History and prospect p. 669) risulta che il commercio mondiale alla fine degli anni Venti era tornato ad un livello pressoché simile a quello del 1913 prima di capitombolare negli anni Trenta. Tra il 1927 e il 1933 il prestito internazionale si ridusse del 90%. Questi dati fanno capire che era in atto in realtà un fenomeno di stagnazione dell'economia mondiale, che non riusciva ad elevarsi oltre i limiti toccati prima della guerra. Causa principale: l'isolazionismo americano e la politica protezionistica sui propri prodotti, attraverso l'imposizioni di dazi sulle importazioni, che innescò un effetto domino. 

Tappa importante per proseguire il viaggio all'interno della realtà che portò alla crisi è il crollo del sistema monetario in Germania. Il paese era stato fortemente penalizzato dalle riparazioni di guerra imposte dalle potenze vincitrici, in particolare la Francia che voleva un ridimensionamento drastico e duraturo del potente e insidioso vicino e che impose il risarcimento in denaro anziché in beni. Ciò comportò la necessità di un ingente flusso di capitali provenienti dal solo paese che poteva permettersi una vasta elargizione creditizia, gli Stati Uniti. Il flusso ci fu, tanto che l'America accrebbe la propria potenza finanziaria, mentre la Germania si indebitò fortemente e fu esposta ad una grande vulnerabilità che sfociò nel crollo del valore della moneta. 

Intanto nel resto d'Europa, con una disoccupazione cresciuta a livelli record e una capacità produttiva enormemente cresciuta, soprattutto ad opera degli Stati Uniti che nel 1929 producevano circa il 42% del totale mondiale contro il 28 di Gran Bretagna, Francia e Germania insieme, il mercato non poteva assorbire la produzione, generando un tragico crollo dei prezzi. Crollo dei prezzi, impossibilità di assorbire la produzione accentuarono maggiormente la disoccupazione, che nel periodo peggiore della crisi (1932-1933) raggiunse il 22-23% in Inghilterra e Belgio, il 24% in Svezia, il 27% in America, il 29% in Austria, il 31% in Norvegia e il 44% in Germania (fonte dati Hobsbawm, Il secolo breve). 

Non si può capire però la grande crisi e il malfunzionamento del sistema economico mondiale senza analizzare il funzionamento del sistema economico americano e il suo modello di consumo interno. Abbiamo già detto che gli Stati Uniti uscirono fortemente arricchiti dalla guerra. Essi non avevano subito distruzioni sul proprio territorio, avevano aumentato la propria produzione e il volume di affari dei crediti prestati alle nazioni europee sia durante la guerra ma soprattutto dopo. Anche la prosperità americana però aveva radici deboli. I salari non crescevano e l'agricoltura era in difficoltà. La crescita rapida generò così effetti distorsivi. La domanda, essendo bassi i salari, era molto lenta rispetto alla produttività galoppante del sistema industriale e si generarono fenomeni di sovrapproduzione e speculazione finanziaria, che a loro volta alimentarono il crollo. 

Negli Stati Uniti poi il collasso del sistema fu ancora più duro, perché per alimentare una domanda fiacca rispetto alla crescita le banche concessero iniezioni di credito ai consumatori, portando avanti pericolose politiche speculative. I consumatori, entusiasti del credito concesso a buon mercato, lo usarono in maniera sregolata, acquistando beni di consumo durevoli propri di una moderna e compiuta società di consumi come automobili, immobili, senza avere redditi tali da sopportarne il carico e soprattutto bloccando ben presto il mercato. I beni durevoli sono tali proprio perché hanno una durata lunga nel tempo e una volta acquistati non si esauriscono nel breve periodo. I beni di consumo immediati (cibo, vestiario, etc.) sono invece di continuo ricambio, perché finiscono velocemente. Costruire una crescita su beni considerati elastici, la cui domanda si contrae con l'imperversare di una crisi, invece che su consumi anelastici significa rendere il sistema fortemente vulnerabile. Infatti tra il 1929 e il 1931 la produzione di automobili dimezzò.

Con la fine della crisi, che arrivò dal 1933 in poi, e con il varo del New Deal da parte del presidente Roosevelt qualcosa cambiò, le gravi difficoltà per le fasce sociali più deboli furono parzialmente attenuate, ma il decollo non ci fu. Soltanto con la nuova e terribile guerra mondiale l'economia si riprese. 

Il sistema economico mondiale e i governi dei paesi occidentali impararono dai propri errori. Un sistema di crescita senza controllo era illusorio; erano necessarie regole, accordi ed interventi di natura economica e politica, seppure non turbativi del libero gioco economico, per indirizzare l'economia verso una crescita sostenibile. Che cosa invece stiamo imparando noi dalla crisi attuale?

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