Ognuno racconta gli avvenimenti accaduti nel tempo a modo proprio e dal proprio particolare punto di vista. E' anche questo il bello della storia, nonostante l'oggettività che sembra contraddistinguerla. In questi versi, tratti dal poemetto in sonetti La scoperta dell'America (1894), Pascarella narra con ironia popolaresca e briosa l'avvenimento più rivoluzionario e grandioso dell'età moderna. Da qualcuno (Carducci) considerata lirica epica, da qualcun altro (Pietro Mastri) semplice cronaca in romanesco, la sua poesia ha la caratteristica di riuscire ad attualizzare i fatti lontani nel tempo, rendendoli vicini e quotidiani, e a levare loro quell'aura di idealità che si portano dietro. I sonetti scelti, attraverso un ritmo decisamente incalzante - tipico del dialetto romanesco e favorito dallo schema metrico a rima incrociata - ritraggono il particolare momento del viaggio di Colombo e dei suoi marinai, lo scoramento provato dall'equipaggio dopo mesi di navigazione in mezzo ai pericoli del mare senza vedere nient'altro che distesa d'acqua, l'annuncio dell'avvistamento della terra.
[...]
XIII
Passa un giorno… due… tre…
‘na settimana…
Passa un mese che già staveno a mollo…
Guarda… riguarda… Hai voja a slungà er collo,
l’America era sempre più lontana.
E ‘gni tanto veniva ‘na buriana:
Lampi, furmini, giù a rotta de collo,
da dì: qui se va tutti a scapicollo.
E dopo? Dopo ‘na giornata sana
De tempesta, schiariva a poco a poco,
l’aria scottava che pareva un forno,
a respirà se respirava er foco,
E come che riarzaveno la testa,
quelli, avanti! Passava un antro giorno,
patapùnfete! giù, n’antra tempesta.
Passa un mese che già staveno a mollo…
Guarda… riguarda… Hai voja a slungà er collo,
l’America era sempre più lontana.
E ‘gni tanto veniva ‘na buriana:
Lampi, furmini, giù a rotta de collo,
da dì: qui se va tutti a scapicollo.
E dopo? Dopo ‘na giornata sana
De tempesta, schiariva a poco a poco,
l’aria scottava che pareva un forno,
a respirà se respirava er foco,
E come che riarzaveno la testa,
quelli, avanti! Passava un antro giorno,
patapùnfete! giù, n’antra tempesta.
XIV
E l’hai da sentì dì da chi c’è stato
si ched’è la tempesta! So’ momenti,
che, caro amico, quanno che li senti,
rimani a bocca aperta senza fiato.
Ché lì, quanno che er mare s’è infuriato,
tramezzo a la battaja de li venti,
si lui te pò agguantà li bastimenti
te li spacca accusì, com’un granato.
Eh!, cor mare ce s’ha da rugà poco…
Già, poi, dico, non serve a dubitallo,
ma l'aqua è peggio, assai peggio der foco.