12 ottobre 2013

Sabato in Poesia: Estratti di "La scoperta dell'America" di Cesare Pascarella

Ognuno racconta gli avvenimenti accaduti nel tempo a modo proprio e dal proprio particolare punto di vista. E' anche questo il bello della storia, nonostante l'oggettività che sembra contraddistinguerla. In questi versi, tratti dal poemetto in sonetti La scoperta dell'America (1894), Pascarella narra con ironia popolaresca e briosa l'avvenimento più rivoluzionario e grandioso dell'età moderna. Da qualcuno (Carducci) considerata lirica epica, da qualcun altro (Pietro Mastri) semplice cronaca in romanesco, la sua poesia ha la caratteristica di riuscire ad attualizzare i fatti lontani nel tempo, rendendoli vicini e quotidiani, e a levare loro quell'aura di idealità che si portano dietro. I sonetti scelti, attraverso un ritmo decisamente incalzante - tipico del dialetto romanesco e favorito dallo schema metrico a rima incrociata - ritraggono il particolare momento del viaggio di Colombo e dei suoi marinai, lo scoramento provato dall'equipaggio dopo mesi di navigazione in mezzo ai pericoli del mare senza vedere nient'altro che distesa d'acqua, l'annuncio dell'avvistamento della terra. 



[...]

XIII
Passa un giorno… due… tre… ‘na settimana…
Passa un mese che già staveno a mollo…
Guarda… riguarda… Hai voja a slungà er collo,
l’America era sempre più lontana. 

E ‘gni tanto veniva ‘na buriana:
Lampi, furmini, giù a rotta de collo,
da dì: qui se va tutti a scapicollo.
E dopo? Dopo ‘na giornata sana

De tempesta, schiariva a poco a poco,
l’aria scottava che pareva un forno,
a respirà se respirava er foco,

E come che riarzaveno la testa,
quelli, avanti! Passava un antro giorno,
patapùnfete! giù, n’antra tempesta.

XIV

E l’hai da sentì dì da chi c’è stato
si ched’è la tempesta! So’ momenti,
che, caro amico, quanno che li senti,
rimani a bocca aperta senza fiato.

Ché lì, quanno che er mare s’è infuriato,

tramezzo a la battaja de li venti,
si lui te pò agguantà li bastimenti
te li spacca accusì, com’un granato.

Eh!, cor mare ce s’ha da rugà poco…
Già, poi, dico, non serve a dubitallo,
ma l'aqua è peggio, assai peggio der foco.

Perché cor foco tu, si te ce sforzi
co’ le pompe, ce ‘rivi tu a smorzallo;
ma l’acqua, dimme un po’, co’ che la smorzi?


[...]

XVIII
- Eh… je fecero, dice, ce dispiace;
ce dispiace de dijelo davanti,
ma qui, chi più chi meno, a tutti quanti
‘sta buggiarata qui poco ce piace.

Così lei pure, fatevi capace,
qui nun ce so’ né angeli né santi,
qui ‘gni giorno de più che se va avanti
se va da la padella ne la brace.

«Avanti, avanti!» So’ parole belle;
ma qui, non ce so’ tanti sagramenti,
caro lei, qui se tratta de la pelle!

Già, speramo che lei sia persuasa;
si no, dice, nun facci complimenti,
vadi pure… Ma noi tornamo a casa.

[...]

XXII
Ma lui che, quanto sia, già c’era avvezzo
a parlà pe convince le persone,
je fece, dice: – Annamo co’ le bone,
venite qua, spaccamo er male in mezzo. 

È vero, si, se tribola da un pezzo;

percui, per arisorve sta quistione
non c’è antro che fà ‘na convenzione
che a me me pare sia l’unico mezzo;

che noi p’antri du’ giorni annamo avanti,
e poi si proprio proprio nun c’è gnente
se ritrocede indietro tutti quanti.

Ve capacita? Quelli ce pensorno;
be’, dice, sò du’ giorni solamente…
Be’, je fecero: annamo! e seguitorno.
XXIII
Ma lui, capischi, lui la pensò fina!
Lui s’era fatto già l’esperimenti,
e dar modo ch’agiveno li venti,
lui capì che la terra era vicina;

Percui, lui fece: intanto se cammina,
be’, dunque, dice, fàmoli contenti,
ché tanto qui se tratta de momenti…
Defatti, come venne la matina,

Terra… Terra…! Percristo!… E tutti quanti
ridevano, piagneveno, zompaveno…
Terra… Terra…! Percristo!… Avanti… Avanti!

E lì, a li gran pericoli passati
chi ce pensava più? S’abbraccicaveno,
se baciaveno… E c’ereno arrivati!
[...]

Cesare Pascarella

Cesare Pascarella (1858-1940) nacque a Roma il 28 aprile. Poeta dialettale e pittore italiano, lo contraddistinse un carattere irrequieto e piuttosto avventuroso. Ragazzino, fuggì dal collegio religioso in cui era stato messo a studiare e, pur continuando gli studi all'Istituto delle Belle arti, si sentì molto più attratto dalla vita artistico-mondana, ricca di nuove idee, della Roma di fine secolo che dagli studi accademici. Conobbe gli intellettuali più illustri, mondani e innovatori dell'epoca e intrattenne con loro rapporti stretti di collaborazione e scambio culturale. Al 1882 risale un viaggio in Sardegna con D'Annunzio e Scarfoglio, volto alla ricerca di un mondo misterioso, arcaico e vivo. Terminata questa esperienza, Pascarella continuò a soddisfare la sua sete di conoscenza empirica del mondo (visitò l'India, la Cina, il Giappone, gli Stati Uniti, l'Uruguay, l'Argentina), sempre in compagnia dei suoi taccuini su cui annotava le proprie riflessioni e incideva i propri disegni. Erede artistico di Gioacchino Belli, cominciò a pubblicare i suoi sonetti ironici e pungenti, in vernacolo romanesco, agli inizi degli anni '80 del XIX secolo sulla rivista letteraria Capitan Fracassa, su cui esordirono anche D'Annunzio e Scarfoglio. Nella prefazione alla sua prima opera di rilievo, Villa Gloria, Carducci, che ne fu l'autore, scrisse: «Sonetti in dialetto romanesco, originali, - che dopo il Belli pare impossibile, - ha trovato modo di farne Cesare Pascarella [...] In questi versi di Villa Gloria il Pascarella solleva di botto con pungo fermo il dialetto alle altezze epiche». Il Novecento segnò il tramonto del poeta, colpito da sordità, da una endemica solitudine caratteriale e raggiunto dalla consapevolezza di essere un frutto tardo di un modo ormai troppo cambiato. Nel 1930, fu nominato Accademico d'Italia. Morì in solitudine l'8 di maggio, un mese prima dell'entrata in guerra dell'Italia fascista, e fu sepolto presso il Cimitero del Verano. 
Le sue opere principali sono: Er morto de campagna (poemetto 1881), La serenata (pometto 1883), Er fattaccio (poemetto 1884), Villa gloria (poemetto 1884), Cose der monno (sonetti 1887), La scoperta dell'America (poemetto 1894), I sonetti (raccolta sonetti 1904), Le prose (1920), Viaggio in Ciociaria (prosa 1920), Storia nostra (poema incompiuto pubblicato postumo 1941), Taccuini (resoconti di viaggi pubblicati postumi dall'Accademia dei Lincei 1961).                                                

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