01 ottobre 2013

Governo zoppo: è di nuovo crisi

di Roberto Marino


Il giocattolo si è rotto. O almeno seriamente danneggiato. Bisognerà armarsi di tanto impegno e buona volontà per ripararlo. E non è detto che questi elementi basteranno a rimetterlo a nuovo. Dopo le dimissioni da parte dei ministri del Pdl, il governo rimane zoppo, monco dei suoi arti e non è in grado di procedere senza urgenti interventi riparatori. Questo gesto ha ovviamente aperto la crisi istituzionale, accentuando l'instabilità in cui ci troviamo immersi da un paio d'anni a questa parte. 

L'introduzione di questo ulteriore tassello nel puzzle composito della difficile situazione politica attuale è facilmente ascrivibile all'acceso scontro in atto tra le due forze che abitano sotto lo stesso tetto politico, ma che non per questo smettono di darsele di santa ragione. Il gesto che ha formalizzato la crisi è stato compiuto dal Pdl e porta con sé logicamente la responsabilità materiale. L'inasprimento dello scontro tra componenti istituzionali di uno stato - una parte della politica contro la magistratura - ha portato ad una rottura del loro normale rapporto di rispetto, di cui ha risentito fortemente lo stesso governo formato sia da chi attacca l'operato dei giudici che da chi, politicamente, lo difende.  

Nessuno è mai stato lieto della convivenza forzata e innaturale tra Pd e Pdl. Non potevano esserlo i contraenti del patto, non lo sono stati i rispettivi elettorati, tuttavia una unione rimane pur sempre un impegno da rispettare, in particolar modo se in gioco ci sono le sorti di milioni di persone. Del resto, se dopo il non risultato delle urne si è arrivati ad una simile soluzione la colpa è anche dei partiti, che hanno perso credibilità, capacità di attrarre e fornire risposte ai problemi. Quegli stessi partiti che mesi fa si sono rivolti disperati al presidente della Repubblica, affinché trovasse una soluzione all'impasse, da loro stessi causata, a patto di impegnarsi nell'affrontare le questioni urgenti: riforma della legge elettorale, riforme strutturali, risanamento economico e finanziario. Promesse da marinaio. 

Che esista un rapporto squilibrato tra gli organi e i poteri dello stato è un fatto. Che la magistratura non sia efficiente è un altro fatto, così come lo è la necessità di una sua riforma. Ed è un ulteriore fatto che il centrosinistra abbia demonizzato pubblicamente Berlusconi nel corso di questi anni e lo abbia trattato come un nemico da abbattere piuttosto che come un avversario da battere. Tutto ciò non autorizza però a minare per settimane le gracili fondamenta di un governo partorito con grande fatica ed enormi stenti - per giunta nel bel mezzo di una situazione drammatica - per poi farle saltare sventolando le bandiere della persecuzione giudiziaria e della riduzione delle tasse. Sì, perché la questione dell'aumento dell'Iva e quella della persecuzione giudiziaria, di cui il leader del centrodestra si sente vittima, si legano indissolubilmente insieme nella strategia politica di sparigliare le carte di un Pd che infinitamente "discute", costringerlo a fare una mossa e andare così al più presto a nuove elezioni. 

I due moventi dell'azione dei pidiellini comportano conseguenze importanti e piuttosto serie. L'accusa di inattendibilità e di politicizzazione della sentenza emessa contro Berlusconi rischia di aprire un cortocircuito pericoloso tra la politica, l'autonomia e l'attendibilità del lavoro della magistratura. Ne deriva la creazione di un insano precedente, tale per cui qualunque cittadino potrebbe urlare al complotto e alla persecuzione giudiziaria, con grave danno per la certezza della pena e del diritto. L'argomento dell'aumento dell'Iva è invece pretestuoso nella forma, non certo nella sostanza. L'aumento di un punto percentuale dell'imposta sul costo di beni e servizi comporterà una ulteriore depressione dei consumi già molto bassi - l'Istat ci dice che il NIC (Indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività) a settembre di quest'anno è sceso dello O,3% rispetto al mese precedente e, come si sa, diminuzione dell'inflazione significa consumi in calo - innescando un ulteriore circolo economico perverso e recessivo. L'attribuzione però ad una parte di governo e maggioranza dell'intera responsabilità del mancato intervento sul blocco dell'aumento è però strumentale. I ministri del Pdl sapevano benissimo che ciò sarebbe accaduto, in quanto il rincaro era già presente nei saldi di bilancio. Inoltre, il precedente aumento dal 20 al 21% ci fu durante gli ultimi  mesi del governo Berlusconi nel settembre 2011. 

Rimangono poi aperte tutte le questioni che governo e parlamento avrebbero dovuto affrontare, discutere e trasformare in legge. Presentazione della legge di Stabilità, Imu, riduzione del cuneo fiscale, rifinanziamento della cassa integrazione in deroga, riforma della legge elettorale, riforme strutturali. Se per le questioni improrogabili e immediate, in caso di sfaldamento completo della maggioranza parlamentare, è possibile che parlamento e governo continuino ad operare, così non è per quelle di lungo periodo. Senza contare che in queste condizioni di instabilità e profonda incertezza i mercati stanno già dando segnali di irrequietezza e volatilità e che non sarà possibile affrontare la futura presidenza italiana dell'Unione europea, prevista per il secondo semestre del prossimo anno. 

E' stato utile dunque, ci si chiede a questo punto, aprire un'altra crisi? Per gli interessi strategico-elettorali di parte forse sì, per il Paese di certo un po' meno.

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