di Roberto Marino
No, non sono smemorato, né ritardatario e neppure folle. So benissimo che il mondo ha festeggiato ieri la ricorrenza in nome della donna, ma io preferisco ricordare le donne in un giorno non consueto. Non è anti-convenzionalismo chic il mio, ma sono sinceramente convinto del fatto che l'immagine (e non solo quella) della donna vada rispettata, ricordata, difesa, tutelata, tutti i giorni dell'anno ed è per questo che ho pensato che un buon modo, sicuramente simbolico, per cominciare a farlo potrebbe essere quello di scrivere due righe il giorno dopo in cui il mondo generalmente festeggia.
Si potrebbe erroneamente pensare che nel mondo occidentale la festa della donna abbia ormai un valore quasi esclusivamente simbolico, più consumistico che reale, eppure i casi di violenza sulle donne sono ancora tanti, troppi. Una realtà vergognosa. Per rendersene conto, non serve andare molto lontano; basta leggere i dati che l'Osservatorio del Telefono Rosa ha pubblicato quest'anno nell'annuale rapporto "Le voci segrete della violenza". Secondo lo studio, che analizza i dati di 1562 vittime di violenza che si sono rivolte Telefono Rosa, risulta che nel 2012 siano state uccise 124 donne. I casi di violenza avvengono maggiormente tra le mura domestiche, infatti nel 60% dei casi a praticare la violenza è il marito o il partner convivente, mentre nel 23% è l'ex partner. Un altro dato sconcertante è che soltanto nel 2% dei casi la violenza avviene per mano di sconosciuti, dimostrando come questo fenomeno così deplorevole sia un mero "fatto privato" e "affettivo".
Spostandoci in ambito internazionale, si nota come esistano pratiche culturali legate a tradizioni religiose arcaiche e violente. La più nota tra queste, avente una dimensione sia fisica che psicologica, è l'infibulazione. Questa pratica barbara comporta l'asportazione chirurgica del clitoride, delle piccole labbra e di parte delle grandi labbra dell'apparato vaginale, cui segue poi la cucitura della vulva, lasciando aperto soltanto un foro per consentire la fuoriuscita dell'urina e del liquido mestruale. Viene praticata in molte zone dell'Africa, nella penisola araba e nel sud-est asiatico. La motivazione di questa operazione consiste nella necessità di preservare l'illibatezza e la castità della donna fino al giorno del matrimonio, attraverso l'impossibilità di consumare l'atto sessuale e l'annullamento del piacere. Nel giorno del matrimonio, il marito effettua direttamente la scucitura della vulva, per poter consumare il rapporto sessuale. Fino al giorno del parto la vulva della rimane aperta, in seguito viene ricucita e scucita ogni volta che si ha necessità di procreare. Oltre a non provare piacere, la donna infibulata avverte persino dolore durante il rapporto, in seguito all'insorgenza di cistiti, ritenzione urinaria e infezioni vaginali.
E ancora, sempre in contesto internazionale, si verifica l'orrendo fenomeno delle spose bambine. Secondo i dati forniti dall'ong Plan International e diffusi da Radio Vaticana attraverso un'intervista a Tiziana Fattori, direttore nazionale di Plan International Italia, nel gennaio di quest'anno, risulta che 10 milioni di ragazze e bambine contraggono regolarmente matrimonio prima dei 18 anni. In molti casi, in alcuni Paesi africani come il Niger, il Chad, il Bangladesh, il Mali, l'Etiopia, la Guinea, accade che ad essere costrette a sposarsi siano bambine al di sotto dei 15 anni. O, peggio ancora, si verificano casi in cui le famiglie diano in sposa le proprie bambine di 8-10 anni a uomini di 50, allo scopo di ripagare un debito, e togliere dalle proprie spalle le spese di mantenimento alimentare e scolastico delle figlie. Contrariamente a quanto si possa pensare, il fenomeno prescinde dalla religione - in questi Paesi la religione musulmana è decisamente prevalente - tanto è vero che è diffuso anche presso comunità cristiane.
Ritornando in Italia e sfiorando la quotidianità di contesti cosiddetti normali, notiamo che la nostra società è ancora pervasa da una cultura poco evoluta in fatto di parità di diritti. Molte donne vengono discriminate sui posti di lavoro perché madri attuali o potenziali tali, attraverso la pratica delle dimissioni in bianco. In questo senso il legislatore - con la riforma Fornero - ha fatto qualche passo avanti, inserendo un articolo nella normativa, che tutela la lavoratrice costretta o "vivamente consigliata" a firmare un foglio di dimissioni in bianco appena assunta dal datore di lavoro, sospendendo le dimissioni fino a verifica ed avvenuta approvazione del servizio ispettivo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. L'elenco delle discriminazioni è ancora molto lungo. La mancanza di presenza femminile nei ruoli chiave della nostra società è ancora troppo grande. Non abbiamo mai avuto un Presidente della Repubblica donna, un Primo Ministro donna (l'Inghilterra lo avuto 30 anni fa). Le parlamentari donna sono ancora poche rispetto agli uomini, i top manager donna nelle aziende e società varie sono quasi inesistenti. E' un problema culturale che va affrontato e risolto.
Per ultimo, vorrei focalizzare l'attenzione sui comportamenti e atteggiamenti quotidiani tenuti da noi uomini "normali" e rispettosi nei confronti delle nostre donne. Anche noi commettiamo a volte degli errori, quando trattiamo le nostre mogli, compagne, madri, sorelle, soltanto come mogli, compagne, madri, sorelle e poco come donne. Dovremmo prendere di più in considerazione le loro esigenze di donne ed impegnarci a far sì che si sentano appagate e realizzate come esseri umani e non solo per il ruolo che affettivo o sociale che svolgono. Come ha ribadito ieri sera Serena Dandini - ospite nella trasmissione Otto e Mezzo condotta da Lilli Gruber - è necessario collaborare tutti insieme, uomini e donne, affinché si possa ristabilire un equilibrio vero tra i sessi, portando a rispettare, far emergere e quindi valorizzare - aggiungo io - i diritti, i bisogni, le capacità, i meriti delle donne in quanto esseri umani, che hanno pari dignità rispetto agli uomini, pur nelle diversità individuali e di genere.
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