di Roberto Marino
Potrebbe essere questo l'imperativo che la società italiana deve darsi, per liberarsi dal problema enorme della criminalità organizzata di stampo mafioso. Questo può accadere soltanto se si comprende fino in fondo che la mafia - che la si chiami "cosa nostra", 'ndrangheta o camorra - è un morbo inizialmente endemico, che si è trasformato sempre di più in pandemico nel corso del tempo. La mafia infatti distrugge una società non soltanto dal punto di vista fisico, uccidendo le persone, ma anche dal punto di vista morale, uccidendo la libertà degli individui, la democrazia, uccidendo l'uguaglianza di fronte alla legge, e dal punto di vista economico, uccidendo la concorrenza.
E' questo il senso delle parole di don Luigi Ciotti, il quale ieri, in occasione della XVIII giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie, ha ribadito che bisogna chiamare «la mafia con questo nome, quello di peste». Il fondatore di Libera ha invitato tutti a non uccidere le vittime di mafia «una seconda volta con il silenzio, con la delega, con la rassegnazione e con l'indifferenza, [...] con la memoria rituale, celebrativa, fine a se stessa. La memoria deve sempre diventare impegno». E l'impegno non può essere altro che la lotta quotidiana di tutti, in qualsiasi occasione, contro il potere della criminalità organizzata.
La risposta più forte deve ovviamente arrivare da parte delle istituzioni. Queste non possono lasciare i cittadini in balia delle organizzazioni criminali e neppure soli a combattere un mostro dalle cento teste e dalle mille braccia, che continuamente si espande. Eppure esistono luoghi fisici e non in Italia in cui le istituzioni purtroppo sono poco presenti o non sono in grado di contrastare questo fenomeno dilagante. Ciò accade a causa della connivenza e continuità troppo spesso esistente tra pezzi dello Stato e criminali per i motivi più disparati: dalla convenienza negli "affari" (piccoli o grandi che siano) al timore individuale di ricevere atti intimidatori o, peggio ancora, veri e propri atti di ritorsione. Non bisogna dimenticare infatti che le istituzioni non sono organismi sovrumani, bensì organizzazioni composte da uomini e, come tali, dirette dall'azioni di esseri umani soggetti alle stesse debolezze, timori, paure, velleità di tutti gli altri.
Tutto ciò non deve però spaventare né bloccare. E neppure, come spesso accade - anche se questo più frequentemente tra la gente comune - rilegare il fenomeno in un regionalismo deresponsabilizzante. Il fenomeno della criminalità organizzata di tipo mafioso è ormai divenuto da anni di carattere nazionale ed anche internazionale. Per restare in ambito italiano, si possono ricordare tutte le inchieste portate avanti dai nuclei investigativi nelle varie regioni del centro-nord Italia (disponibili sul sito del Ministero dell'Interno) e, ancor di più, il caso dell'arresto dell'assessore lombardo Domenico Zambetti, accusato di aver acquistato un pacchetto di circa 4000 voti dalla 'ndrangheta. Questo episodio, non certo unico nel suo genere, è particolarmente grave, perché dimostra - fermo restando il garantismo nei confronti della persona fino alla conclusione definitiva del processo - che la mentalità mafiosa si è radicata anche nelle istituzioni, mentre queste avrebbero il compito di combattere il male piuttosto che alimentarlo.
Tutto ciò non deve però spaventare né bloccare. E neppure, come spesso accade - anche se questo più frequentemente tra la gente comune - rilegare il fenomeno in un regionalismo deresponsabilizzante. Il fenomeno della criminalità organizzata di tipo mafioso è ormai divenuto da anni di carattere nazionale ed anche internazionale. Per restare in ambito italiano, si possono ricordare tutte le inchieste portate avanti dai nuclei investigativi nelle varie regioni del centro-nord Italia (disponibili sul sito del Ministero dell'Interno) e, ancor di più, il caso dell'arresto dell'assessore lombardo Domenico Zambetti, accusato di aver acquistato un pacchetto di circa 4000 voti dalla 'ndrangheta. Questo episodio, non certo unico nel suo genere, è particolarmente grave, perché dimostra - fermo restando il garantismo nei confronti della persona fino alla conclusione definitiva del processo - che la mentalità mafiosa si è radicata anche nelle istituzioni, mentre queste avrebbero il compito di combattere il male piuttosto che alimentarlo.
Come è ben comprensibile, il nucleo di potere della criminalità mafiosa è rappresentato dal denaro (proveniente dalle attività di spaccio di stupefacenti, di traffico internazionale di armi, di gestione del gioco d'azzardo e di speculazione sullo smaltimento illegale dei rifiuti) e dalla capacità di incunearsi nelle attività lecite sia di carattere economico (settore edilizio, produzione di energia ecologica) che finanziario. Per quanto riguarda la 'ndrangheta ad esempio, essa è riuscita ad inserirsi nel tessuto produttivo lombardo, controllando il mercato della produzione edilizia già da diversi anni, soprattutto grazie all'intellighenzia che è stata in grado di creare nel corso del tempo. I colletti bianchi sono infatti i veri mafiosi del XXI secolo. Gente istruita, con tanto di titoli universitari, liberi professionisti, che riescono, grazie al potere delle loro conoscenze e a quello della violenza vecchio stampo delle case-madri meridionali, a costringere o a convincere la classe dirigente politica ed economico-finanziaria a fare affari con loro.
Tutto ciò accade però dove il mercato è florido e già esistente. Nelle regioni meridionali poco sviluppate invece resiste ancora un modello culturale, morale ed economico immaturo e pressoché arcaico. Qui il potere viene gestito attraverso l'intimidazione, non necessariamente esibita, e lo sfruttamento della situazione di povertà e bisogno della parte più in difficoltà della popolazione. La criminalità mafiosa offre infatti lavoro alle persone disagiate, in forza del proprio potere economico e intimidatorio. In cambio chiede ovviamente omertà, "rispetto", sottomissione.
La risposta a tutto questo deve essere forte. Innanzitutto, da parte degli organi competenti di tipo legislativo, di tutela dell'ordine pubblico sia civile che militare. In secondo luogo, è necessaria l'azione culturale della scuola, delle organizzazioni no-profit come quella di don Ciotti, che ogni giorno si spendono per contrastare il potere mafioso e della diffusione delle storie di tutte le vittime di mafia: da quelle illustri come gli uomini che hanno lottato (Falcone, Borsellino, Chinnici, Impastato) ai morti casuali e "non previsti".
Per ritradurre le parole di don Ciotti con altro linguaggio, possiamo dire che soltanto quando non avremo più casi come quelli Falcone, Borsellino, Impastato e simili e quando non avremo più bisogno di trasformare tutti questi personaggi in miti, potremo dire di aver sanato la società dal male e di aver realizzato quel grande obiettivo che questi grandi uomini hanno perseguito durante la loro vita: la distruzione delle mafie.
Tutto ciò accade però dove il mercato è florido e già esistente. Nelle regioni meridionali poco sviluppate invece resiste ancora un modello culturale, morale ed economico immaturo e pressoché arcaico. Qui il potere viene gestito attraverso l'intimidazione, non necessariamente esibita, e lo sfruttamento della situazione di povertà e bisogno della parte più in difficoltà della popolazione. La criminalità mafiosa offre infatti lavoro alle persone disagiate, in forza del proprio potere economico e intimidatorio. In cambio chiede ovviamente omertà, "rispetto", sottomissione.
La risposta a tutto questo deve essere forte. Innanzitutto, da parte degli organi competenti di tipo legislativo, di tutela dell'ordine pubblico sia civile che militare. In secondo luogo, è necessaria l'azione culturale della scuola, delle organizzazioni no-profit come quella di don Ciotti, che ogni giorno si spendono per contrastare il potere mafioso e della diffusione delle storie di tutte le vittime di mafia: da quelle illustri come gli uomini che hanno lottato (Falcone, Borsellino, Chinnici, Impastato) ai morti casuali e "non previsti".
Per ritradurre le parole di don Ciotti con altro linguaggio, possiamo dire che soltanto quando non avremo più casi come quelli Falcone, Borsellino, Impastato e simili e quando non avremo più bisogno di trasformare tutti questi personaggi in miti, potremo dire di aver sanato la società dal male e di aver realizzato quel grande obiettivo che questi grandi uomini hanno perseguito durante la loro vita: la distruzione delle mafie.
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