28 marzo 2013

La crisi cipriota: che diavolo è successo? (Parte I)

di Tommaso Andreoli

Alzi la mano chi fra voi è in grado di fare il resoconto, quantomeno per grandi linee, di ciò che sta accadendo da qualche settimana a questa parte in quella sperduta isola di nome Cipro, situata ai confini dell’Europa. “Lontana dagli occhi, lontana dal cuore” – qualcuno potrebbe dire. “Godetevi lo bello mare e stateve buoni” – qualchedun altro aggiungerebbe. E invece no. Di Cipro e della sorte dei suoi abitanti a noi ci importa. Eccome se ci importa, perbacco! Sapete perché? Anche loro fanno parte dell’Unione Europea. Pertanto, nel bene o nel male (in questo caso la seconda) i fattacci loro sono anche fattacci nostri.
In quel che segue, mi accingerò, cercando di non sbagliare (e se lo faccio, correggetemi), a fare il punto di quanto è successo in quella lontana – geograficamente ma non economicamente e finanziariamente – isola mediterranea. 

L’identikit cipriota 
Con i suoi 9.250 km2, Cipro è la terza isola per estensione fra quelle dell’azzurro Mediterraneo dopo le italiche Sicilia e Sardegna, e, secondo la leggenda, luogo di nascita di Afrodite, dea dell’amore e della bellezza. Insomma, una perla incastonata nel mare vicino al Medio Oriente, che però oggi si vede funestata dalle ire del dio Finanza, al quale – ahi lei – deve rendere conto per i peccatucci (poi mica tanto piccoli!) commessi dai suoi rappresentanti e dalle autorità di vigilanza in un passato non troppo lontano. 
Diciamo subito che la Repubblica cipriota (la parte sud dell’isola), ormai nel club dei Paesi dell’Unione Europea dal lontano maggio 2004, ha adottato come valuta l’euro cinque anni fa, a partire dal primo giorno del 2008. Nonostante il suo Pil (Prodotto interno lordo, ossia il valore dei beni e servizi finali prodotti nell’economia nel corso di un anno) pesi solamente lo 0,18% dell’Eurozona (dunque poco se riferito a quello greco che si attesta intorno al 3%), Cipro tiene in ansia tutte le altre economie di Eurolandia, perché, si sa, basta anche una piccolissima infezione per ammalarsi seriamente. 
Vediamo pertanto di capire come questa infezione è nata e i motivi che l’hanno indotta a ritenerla molto pericolosa. 

Segnali di pericolo 
Lo dicono i numeri: tanto più il sistema bancario risulta grande, tanto maggiore è il rischio per gli Stati di vedere crollare a picco la loro economia. Basta dare un’occhiata ai quattro casi di crisi precedenti a quella cipriota per capire le cose come stanno: 
• l’Irlanda ha banche più grandi 5,3 volte l’ammontare del Pil; 
• il Portogallo 3,7; 
• la Grecia 2,6; 
• la Spagna 4,3. 
In questa speciale classifica, tra i 17 membri dell’Eurozona Cipro si posiziona al terzo posto con un moltiplicatore di 7,8, dietro a Lussemburgo e Malta, il cui rapporto tra attivi bancari e Pil risulta rispettivamente pari a 19,8 e 8. Per ora in queste ultime la situazione sembra reggere per via della loro buona salute del sistema bancario e dei conti pubblici, tuttavia il Fondo monetario internazionale ha già segnalato un annetto fa alle autorità dei due Paesi la possibilità che la loro stabilità finanziaria possa essere minata dall’intensificarsi della crisi europea. La preoccupazione che quanto già avvenuto nell’isola cipriota possa ripetersi è grande: si vuole cioè evitare di incappare negli stessi errori per l’ennesima volta, evidenziando il fatto che un eventuale dissesto non sarebbe gestibile autonomamente, vista la sproporzione tra sistema bancario ed economia reale. Dunque occhio a non sottovalutare gli avvertimenti. 
E Cipro? Cosa diavolo è successo Cipro? Tu quoque, Cipro, come hai potuto cacciarti in guai così grossi? 

All’origine della crisi 
Cattiva supervisione bancaria. È con queste parole che si potrebbe sintetizzare quanto avvenuto. Le autorità dell’isola hanno infatti permesso alle loro banche di crescere fino a divenire giganti tali da non rendersi più conto che in caso di barcollamento non avrebbero potuto più trovare un appoggio stabile sul quale sorreggersi per continuare a farcela da sole. Si sono così concesse il lusso di prestare ingenti somme di denaro alla Grecia e di esporsi, inoltre, al rischio altissimo legato ai titoli di Stato greci (tramutatisi in junk bond), investendo malamente ampi pezzi dei loro patrimoni. Mosse finanziarie che sono costate ben l’80% di quanto impiegato. 
E come se tutto ciò non bastasse, per molto tempo le medesime banche cipriote hanno lasciato confluire nei loro forzieri i miliardi di euro di oligarchi russi e di ricchi investitori del vicino Medio Oriente, da sempre alla ricerca di paradisi (fiscali) come quello cipriota, senza porsi troppe domande sul cattivo odore di riciclaggio emanato da questi capitali. Sebbene con la crisi del debito gran parte di questi investitori (soprattutto russi) si siano decisi a far fare marcia indietro ai loro denari, Cipro e la Russia sono riuscite ad accordarsi su un finanziamento da 2,5 miliardi di euro, che non sono però bastati all’isola per ripianare il conto, tanto che si è stati costretti a rivolgersi più a oriente, in Cina, e chiedere un altro miliardo e mezzo. 
In realtà la situazione è risultata così grave che il governo cipriota non si è più potuto nascondere, tentare altri escamotage, o chiedere aiuti che non fossero quelli europei: il 15 e 16 giugno scorsi, Nicosia ha dovuto ufficialmente bussare alla porta dell’Ue e, dalle cronache dei quotidiani economici-finanziari, si apprende che oggi di miliardi di euro ne serviranno quasi 16.

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