di Roberto Marino
Il periodo in cui in guerra si facevano battaglie campali corpo a corpo è passato da un pezzo. Ormai la guerra è diventata, da almeno un secolo a questa parte, un evento che si svolge sempre più a distanza. La stessa cosa vale, nell'era digitale, per i confronti tra personaggi che ricoprono cariche pubbliche o che svolgono ruoli sociali, divenuti sempre più battaglie o addirittura vere e proprie guerre. Questo è sicuramente il dato più evidente che emerge dal confronto-scontro che si è verificato in questi giorni tra il giornalista e vicedirettore di Il fatto quotidiano, Marco Travaglio, e il neo presidente del Senato, Pietro Grasso.
Lo scontro era stato aperto dal giornalista giovedì sera durante il suo consueto intervento all'interno della trasmissione Servizio Pubblico. In quel frangente, Travaglio aveva accusato Grasso di essere stato avvantaggiato dal potere politico (di centro-destra) attraverso alcune leggi contra personam - la persona in questione sarebbe Gian Carlo Caselli - che avrebbero impedito a Caselli di succedere a Piero Luigi Vigna alla guida della Procura Nazionale Antimafia, spianando invece la strada a Grasso. Travaglio ha continuato dicendo che, durante il suo mandato di capo della Procura di Palermo, Grasso avrebbe adottato alcuni comportamenti eccessivamente morbidi con indagati speciali come Andreotti, rifiutando di firmare l'appello per la riapertura del processo che aveva assolto il pluri presidente del Consiglio in primo grado. Infine, il vicedirettore di Il fatto ha sostenuto che Grasso ha ricevuto plausi dal centro-destra berlusconiano, basando anche su questa presunta vicinanza le sue accuse di collusione e contiguità col potere politico.
Durante la trasmissione di Santoro, ad un certo punto, è intervenuto il neo presidente Grasso, che ha definito infamanti le dichiarazioni di Travaglio - oltre che per gli argomenti delle questioni anche e soprattutto perché fatte senza contraddittorio - invitando il giornalista in una trasmissione terza per confrontarsi, ed eventualmente scontrarsi, con dati alla mano. Travaglio ha accettato, ma poi, quando si è presentata l'occasione, ha dichiarato alla trasmissione di Radio2 Un giorno da pecora di non volersi recare nella trasmissione televisiva Piazza Pulita di Corrado Formigli, in onda ieri sera sempre su La7, perché il conduttore e Grasso si sarebbero messi d'accordo alle sue spalle nottetempo. «Se uno vuole rettificare una cosa su un giornale, la rettifica si fa su quel giornale. Lo stesso vale per una trasmissione televisiva. [...] Questo è l'ABC delle regole del giornalismo, evidentemente qualcuno non le conosce: peggio per lui». Queste le dichiarazioni del giornalista, che si schermisce dal partecipare per «motivi igienici».
Ieri sera l'epilogo della difesa di Grasso, che ha risposto alle questioni sollevate da Travaglio, anche sulla base delle sollecitazioni da parte delle domande del conduttore. A parte le risposte, che possono essere più o meno convincenti (tutto è interpretabile e ciascuno crea la propria opinione sulla base dei fatti riportati) il punto su cui focalizzare l'attenzione potrebbe essere anche un altro: l'uso sempre più strumentale dei mezzi comunicativi. Visto il grande potere di attrazione che possiedono i mass media, sia di nuova che di consolidata generazione, si tende sempre più a servirsene per dichiarazioni shock, spesso fatte per attirare l'attenzione, per suscitare una reazione, per raggiungere comunque un obiettivo.
Travaglio, si sa, è espressione di un certo giornalismo militante e decisamente radicale (che sempre più spesso ricorda un certo grillismo, ma che non per questo dovrebbe tacere), provocatorio, anche se in questo caso poco onorevole. Avrebbe potuto e anzi dovuto presentarsi in studio a suffragare le proprie tesi invece di sottrarsi al contraddittorio. Esprimere timori nei confronti di un presunto modo poco pulito di gestire un dibattito non può risultare giustificante. Così come preferire il confrontarsi in un luogo "amico", favorevole e familiare, in cui si può contare sul sostegno-intervento del conduttore, sul "calore" del pubblico. Rispondere per iscritto su un giornale, dove si può essere facilitati dalla tranquillità e dalla solitudine che conferiscono maggiore efficacia alle risposte, è un po' diverso dal trovarsi in televisione, sottoposti ad una serie di pressioni. Persino Berlusconi durante la campagna elettorale - certamente facendo i propri calcoli a dovere - ha avuto il coraggio o l'arditezza di presentarsi come ospite nel programma di Santoro nonostante avrebbe potuto uscirne malconcio, evento che si è tutt'altro che verificato. In questo caso invece, i telespettatori sono stati costretti ad assistere ad un confronto a distanza, in cui a dibattere sono stati un personaggio contro il quale sono state fatte delle dichiarazioni e l'eco, la memoria, il riepilogo delle affermazioni di un altro.
E' vero che a partire dalla campagna elettorale appena trascorsa abbiamo cominciato a familiarizzare, grazie al Movimento cinque stelle, con i confronti con contraddittorio assente - decisamente innovativi nella storia politica italiana - ma almeno in questo, personalmente parlando, preferirei che si tornasse alla tradizione. Del resto, il metodo dialettico di dibattito dura dai tempi di Socrate. Ci sarà un motivo, no?
Ieri sera l'epilogo della difesa di Grasso, che ha risposto alle questioni sollevate da Travaglio, anche sulla base delle sollecitazioni da parte delle domande del conduttore. A parte le risposte, che possono essere più o meno convincenti (tutto è interpretabile e ciascuno crea la propria opinione sulla base dei fatti riportati) il punto su cui focalizzare l'attenzione potrebbe essere anche un altro: l'uso sempre più strumentale dei mezzi comunicativi. Visto il grande potere di attrazione che possiedono i mass media, sia di nuova che di consolidata generazione, si tende sempre più a servirsene per dichiarazioni shock, spesso fatte per attirare l'attenzione, per suscitare una reazione, per raggiungere comunque un obiettivo.
Travaglio, si sa, è espressione di un certo giornalismo militante e decisamente radicale (che sempre più spesso ricorda un certo grillismo, ma che non per questo dovrebbe tacere), provocatorio, anche se in questo caso poco onorevole. Avrebbe potuto e anzi dovuto presentarsi in studio a suffragare le proprie tesi invece di sottrarsi al contraddittorio. Esprimere timori nei confronti di un presunto modo poco pulito di gestire un dibattito non può risultare giustificante. Così come preferire il confrontarsi in un luogo "amico", favorevole e familiare, in cui si può contare sul sostegno-intervento del conduttore, sul "calore" del pubblico. Rispondere per iscritto su un giornale, dove si può essere facilitati dalla tranquillità e dalla solitudine che conferiscono maggiore efficacia alle risposte, è un po' diverso dal trovarsi in televisione, sottoposti ad una serie di pressioni. Persino Berlusconi durante la campagna elettorale - certamente facendo i propri calcoli a dovere - ha avuto il coraggio o l'arditezza di presentarsi come ospite nel programma di Santoro nonostante avrebbe potuto uscirne malconcio, evento che si è tutt'altro che verificato. In questo caso invece, i telespettatori sono stati costretti ad assistere ad un confronto a distanza, in cui a dibattere sono stati un personaggio contro il quale sono state fatte delle dichiarazioni e l'eco, la memoria, il riepilogo delle affermazioni di un altro.
E' vero che a partire dalla campagna elettorale appena trascorsa abbiamo cominciato a familiarizzare, grazie al Movimento cinque stelle, con i confronti con contraddittorio assente - decisamente innovativi nella storia politica italiana - ma almeno in questo, personalmente parlando, preferirei che si tornasse alla tradizione. Del resto, il metodo dialettico di dibattito dura dai tempi di Socrate. Ci sarà un motivo, no?
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