Sempre di più l'Italia sembra sconvolta da una violenza inarrestabile. Su uomini, su donne, su sconosciuti e inermi passanti di strada cittadina, su immigrati sfruttati come bestie nei faticosi lavori dei campi, senza una paga che possa dirsi dignitosa e un posto dove dormire degno di chiamarsi tale. Non c'è neppure differenza geografica nella violenza, che coinvolge il Nord, il Centro e il Sud.
L'episodio più eclatante dell'intera settimana è quello che riguarda il ferimento e l'uccisione di passanti, avvenuto ieri mattina tra le 5.30 e le 6.30 circa nel quartiere di Niguarda, a nord di Milano, ad opera di un immigrato ghanese di 31 anni. L'uomo è sceso in strada brandendo un piccone ed ha cominciato ad inseguire le persone che si trovavano a tiro, colpendone cinque. Di questi, un uomo di 40 anni è morto per le ferite riportate; gli altri sono feriti, di cui qualcuno in modo grave.
E ancora, nei giorni scorsi si sono verificati altri atti di violenza come il ferimento con soda caustica della donna di 32 anni, compiuto a Vicenza ad opera di due uomini che l'avrebbero obbligata a versarsi addosso il liquido urticante. O come il caso dell'avvocatessa di Pesaro, aggredita anche lei con l'acido probabilmente dal suo ex compagno ritenuto mandante del gesto. Ed infine non bisogna dimenticare i casi dell'infermiere sfregiato a Roma il 30 aprile - forse dall'ex fidanzata - mentre aspettava il treno alla stazione di Tor Pignattara e della donna 36enne incinta, colpita anch'essa da un getto di acido a Milano.
Un altro grave episodio di violenza, magari non direttamente fisica, è quello che riguarda lo sfruttamento degli immigrati africani a Rosarno, in provincia di Reggio Calabria. Proprio ieri i carabinieri hanno arrestato tre italiani e un immigrato del Burkina Faso, accusati di violazione della Legge 148 del 2011 (art. 603 bis del codice penale) che riguarda il reato di «Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro». I quattro avrebbero cioè reclutato illecitamente, attraverso lo strumento del caporalato, e fatto lavorare in condizioni disumane alcuni immigrati africani come braccianti agricoli. La storia si ripete, sia di lungo che di breve corso. La prima ricorda quella della vecchia servitù della gleba, ripresentata in forme nuove; la seconda è la stessa di 3 anni fa con gli stessi episodi di sfruttamento disumano che accaddero proprio a Rosarno.
Riuscire a trovare un filo conduttore unico tra fatti simili nella forma, ma diversi nella sostanza è sciocco oltre che vano. Nel calderone delle cause si potrebbe infilare qualsiasi cosa: dalla follia omicida latente alla rabbia per una condizione esistenziale difficile, dalla gelosia incontenibile, che smette di essere passione per diventare bisogno esclusivo di possesso, al desiderio di incunearsi nei meccanismi di controllo e potere di certe aree depresse del Mezzogiorno italiano. Eppure qualcosa che, in fondo, deve legare tutta questa violenza c'è. Ci deve essere.
Sarà che forse stiamo pagando lo scotto di una società stressante e dinamica, dannatamente opulenta e piena di opportunità, scintillante, ammaliante, effimera, evoluta, ma ancora ricca di contraddizioni evidenti e spesso di retaggi culturali arcaici. Sarà che forse ci siamo spinti troppo in là con le nostre forze e ciò ha provocato una grande illusione, una bolla fiabesca che adesso rischia di scoppiare e lasciare solo l'amarezza di una disillusione cui non si riesce a far fronte. Sarà questo, forse. O sarà semplicemente che noi uomini d'oggi non siamo all'altezza di un mondo costruito da chi ci ha preceduto. O che forse questo mondo è sempre rimasto solo nella nostra testa o nel nostro cuore. O ancora che i mezzi di comunicazione danno eccessivo risalto - oggi più che mai, in cui tutto fa notizia e in particolar modo eventi seriali di violenza che nutrono un certo gusto sensazionalistico portato al sadismo - a episodi comuni, normali in una grande comunità civile, quasi fisiologici. Sarà questo o sarà altro, chissà...
Quello che invece è certo è che le nostre città, ma anche le nostre campagne, stanno diventando sempre più insicure, invivibili, violente al limite del sopportabile. E' una constatazione allarmante, ma purtroppo reale. Sinceramente parlando, non credo ci siano ricette precostituite o programmi da seguire per cercare di arginare il fenomeno e ci si trova davvero in una sensazione di impotenza dinnanzi ad episodi come quelli citati. Quell'impotenza che porta a guardarsi continuamente non soltanto più le spalle, ma anche la fronte. Non solo dall'estraneo, lo sconosciuto, il passante, ma anche dal conoscente, l'amico e persino dal familiare.
E' triste, decisamente troppo triste dover vivere continuamente con la paura, l'angoscia, la diffidenza nei confronti di tutti, in particolare in una società così orientata alla comunicazione, allo scambio, alla conoscenza, alla diversità come la nostra. La sensazione è quella che stiamo davvero sprecando un'opportunità. Una grande opportunità.
Riuscire a trovare un filo conduttore unico tra fatti simili nella forma, ma diversi nella sostanza è sciocco oltre che vano. Nel calderone delle cause si potrebbe infilare qualsiasi cosa: dalla follia omicida latente alla rabbia per una condizione esistenziale difficile, dalla gelosia incontenibile, che smette di essere passione per diventare bisogno esclusivo di possesso, al desiderio di incunearsi nei meccanismi di controllo e potere di certe aree depresse del Mezzogiorno italiano. Eppure qualcosa che, in fondo, deve legare tutta questa violenza c'è. Ci deve essere.
Sarà che forse stiamo pagando lo scotto di una società stressante e dinamica, dannatamente opulenta e piena di opportunità, scintillante, ammaliante, effimera, evoluta, ma ancora ricca di contraddizioni evidenti e spesso di retaggi culturali arcaici. Sarà che forse ci siamo spinti troppo in là con le nostre forze e ciò ha provocato una grande illusione, una bolla fiabesca che adesso rischia di scoppiare e lasciare solo l'amarezza di una disillusione cui non si riesce a far fronte. Sarà questo, forse. O sarà semplicemente che noi uomini d'oggi non siamo all'altezza di un mondo costruito da chi ci ha preceduto. O che forse questo mondo è sempre rimasto solo nella nostra testa o nel nostro cuore. O ancora che i mezzi di comunicazione danno eccessivo risalto - oggi più che mai, in cui tutto fa notizia e in particolar modo eventi seriali di violenza che nutrono un certo gusto sensazionalistico portato al sadismo - a episodi comuni, normali in una grande comunità civile, quasi fisiologici. Sarà questo o sarà altro, chissà...
Quello che invece è certo è che le nostre città, ma anche le nostre campagne, stanno diventando sempre più insicure, invivibili, violente al limite del sopportabile. E' una constatazione allarmante, ma purtroppo reale. Sinceramente parlando, non credo ci siano ricette precostituite o programmi da seguire per cercare di arginare il fenomeno e ci si trova davvero in una sensazione di impotenza dinnanzi ad episodi come quelli citati. Quell'impotenza che porta a guardarsi continuamente non soltanto più le spalle, ma anche la fronte. Non solo dall'estraneo, lo sconosciuto, il passante, ma anche dal conoscente, l'amico e persino dal familiare.
E' triste, decisamente troppo triste dover vivere continuamente con la paura, l'angoscia, la diffidenza nei confronti di tutti, in particolare in una società così orientata alla comunicazione, allo scambio, alla conoscenza, alla diversità come la nostra. La sensazione è quella che stiamo davvero sprecando un'opportunità. Una grande opportunità.
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