di Roberto Marino
L'occasione per sviluppare la riflessione sul tema viene colta dalla terribile notizia di cronaca pervenuta qualche giorno fa, riguardante la crudele e barbara esecuzione della piccola Fabiana Luzzi a Corigliano Calabro. Fatto gravissimo per la violenza consumatasi, l'età delle persone coinvolte, la modalità di esecuzione, la reazione dell'omicida post mortem. Morte che per tutte queste cose merita rispetto e anche qualcosa di più e che va tenuta distinta da una riflessione su un tema così scottante e delicato, che pure va affrontata.
Gli articoli che stanno circolando in rete ritraggono una situazione culturale in Calabria piuttosto retrograda, arcaica, che non lascia alla donna libertà di scelta in nessun ambito della propria vita. Vi si dice infatti che la donna calabrese non è libera, fin da piccola, di scegliere la scuola che preferisce - laddove le fosse concesso di poter crearsi una forma di istruzione superiore - di scegliere liberamente il proprio fidanzato, di scegliere cosa fare da grande. Vi si aggiunge poi che le donne vengono zittite, spiegando loro molto concisamente che non possono capire perché donne, dunque inferiori, e che spesso, quando le parole non fossero sufficientemente chiare, vengono accompagnate da qualche sganassone che vale più di mille discorsi.
Il problema delle letture generaliste e semplicistiche non è tanto che sono false, quello sì, ma in un secondo momento; il vero problema è che tendono a semplificare in modo troppo sbrigativo la realtà, trasformando situazioni marginali in verità valide per tutti. Ora, attribuire atteggiamenti di padronanza spietata ad un intero spaccato sociale come il sesso maschile calabrese o alla stessa società di quella regione è una semplificazione troppo a buon mercato. Sarebbe come dire che il popolo americano è composto da soli serial killer soltanto perché sono accaduti diversi fatti gravissimi di uccisioni seriali o di stragi inspiegabili. E l'elenco potrebbe continuare.
Servirsi poi della propria provenienza regionale come garanzia della conoscenza di una realtà di fatto non è sufficiente. Non basta aver vissuto in una determinata cittadina per impostare un discorso più vasto, di carattere regionale. Non basta aver avuto tragiche esperienze personali, dirette o indirette, per descrivere un fenomeno come reale. Bisognerebbe aver vissuto in tutte le cittadine calabresi per crearsi una immagine più fedele alla realtà dei fatti. E comunque non sarebbe ancora sufficiente. Sarebbe necessario aggiungere a ciò analisi di dati statistici, ricerche, sondaggi e comunque tutto questo non basterebbe per rendere realmente giustizia di un tema così delicato e spesso scivoloso, perché anche i dati scientifici, le ricerche tengono conto di campioni pur sempre parziali e di risposte soggettive. La secolare questione di cosa è scienza (nel senso più profondo e antico di questo termine, ovvero episteme, conoscenza vera) sarebbe in discussione anche in questo caso.
Ciò detto non significa che la questione della condizione femminile non esista. In Calabria e non solo. Innanzitutto, gli ultimi fatti di cronaca ci stanno parlando di un problema di emergenza violenza, fisica e psicologica, sulla donna ahimè a tiratura nazionale. Il suicidio di Carolina a Novara per atti di cyberbullismo, il ferimento con soda caustica ai danni di una donna di 32 avvenuto a Vicenza, l'aggressione, sempre con acido, contro un'avvocatessa di Pesaro da parte del suo ex compagno, ritenuto il mandante del gesto, il ferimento a Milano di una 36 enne incinta sono campanelli d'allarme non certo di carattere regionale.
Episodi del genere affondano le radici nella cultura della oggettualizzazione della figura della donna, che è un problema non certo da poco. E non serve andare a scomodare i programmi televisivi o le riviste scandalistiche per capire che la donna è ancora considerato un oggetto. Basta dare uno sguardo alla vita quotidiana delle nostre famiglie, laddove alla donna viene attribuito ancora un ruolo sociale ben definito - quello di angelo del focolare che deve occuparsi delle faccende di casa - sia casalinga o lavoratrice, perché così va da sempre e così deve andare. Come se ci fosse una certa naturalità nella distribuzione rigida dei compiti sociali.
Che poi esista un problema donna in Calabria e in generale nelle regioni italiane a cultura mediterranea non si può negare, anche se va considerato più come accentuazione di un problema dalla dimensione nazionale. Sicuramente la cultura calabrese appare più chiusa rispetto a determinati valori di maggiore ascendenza nordica e tende a bollare come non idonei determinati comportamenti femminili più emancipati o "liberi", mentre contemporaneamente ne tollera, quando non ne esalta, la versione maschile. Prova ne è la categoria ancora valida di machismo o di reputazione da latin lover per i conquistatori uomini, di contro a quella di "poco di buono" utilizzata per etichettare le conquistatrici. La politica dei due pesi e due misure. Da qui però a descrivere una realtà primitiva, violenta, incivile, barbara ne passa.
Nessuno intende negare che modi di pensare retrogradi ai limiti della disumanità esistano ancora - non si spiegherebbero comportamenti come quello dell'assassino di Fabiana - ma devono essere ridimensionati nella loro limitatezza e singolarità e comunque confinati (non giustificati né tantomeno umanamente "compresi") in contesti particolari di degrado socio-culturale.
Le questioni macroscopiche ancora irrisolte che una regione come la Calabria vive in maniera peculiare sono economiche, sociali, culturali. Il dramma della criminalità organizzata, della mancanza di lavoro giovanile e non, dello spreco delle potenzialità di risorse umane, materiali e naturali, della mancanza di una classe dirigente seria e lungimirante, della mentalità omertosa e connivente con la 'ndrangheta, che coinvolge istituzioni e privati cittadini, del familismo amorale, che porta alla mancanza di una visione collegiale della società e all'aborto prematuro della formazione di un senso di rispetto profondo per la collettività. Questi problemi si intrecciano anche sicuramente con la questione femminile, accentuandone la drammaticità ed evidenziando l'inferiorità professionale, sociale, culturale della donna rispetto all'uomo.
La vera sfida diventa allora analizzare seriamente tutto questo e dargli una risposta ferma e decisa, anche valorizzando il contributo che le donne possono portare per la rinascita della regione calabrese innanzitutto e poi di tutta l'Italia. La crisi che stiamo vivendo può essere un'occasione per rilanciare le forze nuove e fresche, donne innanzitutto, che rappresentano una speranza. Parliamo di tutto questo e non creiamo rappresentazioni fantasiose poco aderenti con la realtà.
Che poi esista un problema donna in Calabria e in generale nelle regioni italiane a cultura mediterranea non si può negare, anche se va considerato più come accentuazione di un problema dalla dimensione nazionale. Sicuramente la cultura calabrese appare più chiusa rispetto a determinati valori di maggiore ascendenza nordica e tende a bollare come non idonei determinati comportamenti femminili più emancipati o "liberi", mentre contemporaneamente ne tollera, quando non ne esalta, la versione maschile. Prova ne è la categoria ancora valida di machismo o di reputazione da latin lover per i conquistatori uomini, di contro a quella di "poco di buono" utilizzata per etichettare le conquistatrici. La politica dei due pesi e due misure. Da qui però a descrivere una realtà primitiva, violenta, incivile, barbara ne passa.
Nessuno intende negare che modi di pensare retrogradi ai limiti della disumanità esistano ancora - non si spiegherebbero comportamenti come quello dell'assassino di Fabiana - ma devono essere ridimensionati nella loro limitatezza e singolarità e comunque confinati (non giustificati né tantomeno umanamente "compresi") in contesti particolari di degrado socio-culturale.
Le questioni macroscopiche ancora irrisolte che una regione come la Calabria vive in maniera peculiare sono economiche, sociali, culturali. Il dramma della criminalità organizzata, della mancanza di lavoro giovanile e non, dello spreco delle potenzialità di risorse umane, materiali e naturali, della mancanza di una classe dirigente seria e lungimirante, della mentalità omertosa e connivente con la 'ndrangheta, che coinvolge istituzioni e privati cittadini, del familismo amorale, che porta alla mancanza di una visione collegiale della società e all'aborto prematuro della formazione di un senso di rispetto profondo per la collettività. Questi problemi si intrecciano anche sicuramente con la questione femminile, accentuandone la drammaticità ed evidenziando l'inferiorità professionale, sociale, culturale della donna rispetto all'uomo.
La vera sfida diventa allora analizzare seriamente tutto questo e dargli una risposta ferma e decisa, anche valorizzando il contributo che le donne possono portare per la rinascita della regione calabrese innanzitutto e poi di tutta l'Italia. La crisi che stiamo vivendo può essere un'occasione per rilanciare le forze nuove e fresche, donne innanzitutto, che rappresentano una speranza. Parliamo di tutto questo e non creiamo rappresentazioni fantasiose poco aderenti con la realtà.
0 commenti :
Posta un commento