22 maggio 2013

Come i giovani vivono la crisi

di Roberto Marino

La profonda crisi economica che stiamo vivendo contiene dei caratteri di novità che la rendono sui generis. E' la prima crisi del nuovo secolo, la prima del nuovo millennio, la prima dal dopoguerra, se si esclude la crisi petrolifera degli anni '70, la prima per l'Europa "unita". Motivazioni storiche queste, ma non mancano anche quelle più strettamente economiche e politiche. 

Nata come crisi finanziaria d'oltreoceano a causa dei mutui subprime e delle pericolose operazioni finanziarie attraverso le speculazioni sui titoli spazzatura, si è diffusa a macchia d'olio anche in Europa, intrecciandosi con i già latenti problemi che il Vecchio Continente aveva. Problemi legati alle diversità economico-finanziarie e di progettualità unitaria degli stati membri, alla debolezza politica e dei tessuti produttivi dei singoli stati, alla mancanza di politiche di crescita ed investimenti, alla carenza di un sistema bancario unificato. 

Questa crisi però porta con sé un'altra caratteristica peculiare, che è destinata a segnare non soltanto il presente, ma anche il futuro. Ovvero la percezione - che è più una consapevolezza ormai - per i giovani che il loro futuro sarà peggiore di quello dei propri padri. In particolare, il fenomeno è particolarmente accentuato in Italia. Secondo la ricerca "I giovani e la crisi", effettuata dalla Coldiretti/Swg e presentata all'Assemblea di Giovani Impresa Coldiretti, risulta che il 51% dei giovani sotto i 40 anni sarebbe pronto ad espatriare per trovare occasioni di miglioramento della propria condizione lavorativa, il 64% sarebbe pronto a cambiare città, il 71 è convinto che l'Italia non offra futuro e il 61% ritiene che in futuro la propria condizione economica sarà peggiore di quella dei propri genitori.

Quest'ultimo è un dato veramente allarmante, soprattutto perché dimostra un pessimismo giovanile che non si vedeva in Italia dal secondo dopoguerra. Anzi, guardando la storia europea, non soltanto italiana, l'ottimismo culturale delle nuove generazioni è una prospettiva che si colloca con l'affermazione del grande capitale industriale, intorno ai primi decenni dell'Ottocento. Con la grande Rivoluzione industriale e la formazione del sistema produttivo moderno, si innesca un processo di grande mobilità sociale ed economica, che porta a scommettere positivamente sul futuro. Poi sono arrivati il secondo grande conflitto mondiale e soprattutto la ricostruzione, resa possibile grazie ai programmi economico-finanziari americani, che ha innescato un grande processo di produzione e di miglioramento delle condizioni materiali degli europei - italiani compresi - che va sotto il nome di «boom economico». 

Ebbene, in tutto questo lasso di tempo gli italiani - che hanno avvertito la crescita economica in modo molto sensibile, viste le condizioni più svantaggiate di partenza rispetto agli altri Paesi europei - hanno mantenuto sempre un certo ottimismo di fondo, che oggi sembra scomparso o quantomeno sopito. Anche durante i periodi di grandi migrazioni, come quelle degli anni '50 e '60 - che non a caso erano sì esterne, ma anche rivolte verso l'interno - i giovani italiani di allora erano pieni di speranza nei confronti del futuro, mentre oggi serpeggia profonda sfiducia in primis verso il domani e successivamente nei confronti della possibilità che il proprio Paese possa garantire una vita dignitosa e, se non superiore, quantomeno pari a quella della generazione precedente. Sfiducia che li porta a ritenere che l'Italia non offra nulla, e che molto spesso li conduce - qualora non possano avere l'opportunità di lasciare la patria - di ritornare o rimanere a vivere in famiglia. 

Tutto ciò è drammatico per qualsiasi comunità civile. E' necessario invertire questa tendenza, innanzitutto attraverso politiche seriamente orientate al lavoro visto che, con una disoccupazione giovanile che si attesta intorno al 40%, fenomeni come quello appena analizzato sono ovviamente fisiologici. Al vaglio del governo, ci sono proposte per rilanciare l'occupazione - in particolare giovanile - come una possibile staffetta generazionale fondata sul part-time, revisione dell'apprendistato versione Fornero e revisione della formula di contratto a tempo determinato, con accorciamento dei tempi di pausa tra la stipula di un contratto e il successivo con lo stesso datore di lavoro. 

Questo non basta però, perché è necessario operare un buon piano di razionalizzazione e reperimento delle risorse, tagliando laddove non serve o si spende male sprecando. E' stato annunciato tante volte, ma non è mai stato fatto seriamente. Sarebbe finalmente ora, rinunciando anche alla tutela di qualche privilegio per pochi, per avere qualche diritto in più per molti. 

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