14 maggio 2013

Quando il sacro incontra il folklore. Analisi della celebrazione in onore di San Cataldo

di Roberto Marino


Il contatto con il sacro è sempre un'esperienza decisamente suggestiva. E' un'occasione per riflettere, contemplare l'ultraterreno (sia in senso laico che religioso), confrontarsi con la propria interiorità e farci ovviamente i conti. E' anche un modo per evadere dalla frenesia quotidiana, fermarsi un po' e prendersi del tempo, il proprio tempo. 

Quando poi il rapporto con il sacro passa per il filtro del folklore locale, allora l'esperienza si trasforma in cultura, in conoscenza delle tradizioni, in confronto con il passato, in occasione per sapere qualcosa di più su stessi, le proprie origini e per vivere diversamente il proprio futuro, magari arricchito di qualcosa in più. 

Nella cittadina di Cirò Marina - in provincia di Crotone, sulla costa ionica della Calabria - è da pochi giorni terminata la rituale festa in onore del patrono San Cataldo. Cataldo, vescovo cattolico irlandese del VII secolo, dopo un'esperienza in Terra Santa, si recò a Taranto, in seguito ad una visione mistica, allo scopo di rievangelizzare la città divenuta preda del paganesimo. La sua predicazione si diffuse in tutto il Mezzogiorno, accompagnata da una serie di miracoli. Secondo le fonti bibliografiche, il 10 maggio 1071, mentre si compivano gli scavi per la riedificazione delle fondamenta della cattedrale di Taranto, distrutta dai saraceni nel 927, fu ritrovata, grazie ad un profumo inebriante, la tomba del santo contenente una crocetta aurea, elemento abbastanza comune nei corredi funebri del periodo altomedioevale.

Ed è a questo punto che la storia-leggenda sulla vita del santo si intreccia con l'elemento culturale locale della cittadina di Cirò Marina, dove si svolgono una ricorrenza ed una celebrazione piuttosto pittoresche. Legata alla commemorazione del santo, c'è anche un tradizionale rituale che ricorda, ripercorrendolo in senso storico e geografico, l'antico e poi superato dissapore tra il comune di Cirò Marina e il limitrofo comune di Cirò. Secondo la tradizione, la statua del santo si trovava presso la chiesa di Cirò e l'allora frazione di Cirò Marina, a quel tempo in grande espansione, chiedeva la possibilità di possederla. Negatagliela, gli abitanti del luogo decisero di sottrarre la statua nottetempo, facendole percorrere una traversata via mare attraverso l'ausilio di una barca, per depositarla poi nel santuario di Madonna di Mare, detto anche Mercati Saraceni, in un'apposita chiesetta. 

Da allora, ritualmente, si ripercorre parzialmente questa traversata - oggi solo simbolica - cui si aggiunge un intenso programma di festeggiamenti, fatto di pellegrinaggio presso il santuario di Madonna di Mare, di processione per le vie del paese con una sentita partecipazione popolare. 

Il cerimoniale religioso è da sempre un modo per esorcizzare le proprie paure di fronte ad una realtà incontrollabile. Su questo tema sono state spese miliardi di parole e pagine ad opera di fini analisi condotte da antropologi, storici delle religioni, filosofi, sociologi. Autori illuminanti sono: Marcel Mauss, Émile Durkheim, Rudolph Otto, Nathan Söderblom, Gerardus van der Leeuv, Mircea Eliade, ma anche filosofi del calibro di Ludwig Feuerbach, Friedrich Nietzsche e teorici della psicanalisi come Sigmund Frued. 

La ritualizzazione del sacro è avvenuta però in modo sempre nuovo e diverso nel tempo. La religione greca concepiva il cerimoniale sacro come uno strumento per conoscere la volontà del dio su questioni militari, politiche, attraverso la consultazione di oracoli. La religione romana invece considerava il rituale come formula in grado di esorcizzare qualcosa che poteva essere ostile e che andava placato (sacer significa in origine maledetto, oltre che sacro) ottenendo così non tanto la volontà del dio rispetto ad una azione da intraprendere quanto il suo beneplacito. Per questa ragione, veniva compiuto in maniera ossessivamente precisa riducendolo tutto alla sua corretta esecuzione, tanto da suscitare la critica e l'ironia dei Greci. Il rituale cristiano è invece prima di tutto orientato ad onorare la divinità, ridimensionando drasticamente l'immagine dell'uomo, e successivamente, attraverso la preghiera, ad ottenere miglioramenti personali per la propria condizione, in una dimensione decisamente più privata. 

Qual è dunque il significato di una partecipazione così intensa ad una cerimonia religiosa, in un periodo storico segnato da profonda secolarizzazione? Sicuramente il motivo culturale di tipo tradizionale riveste un carattere importante. La festività religiosa si mescola profondamente con l'elemento etnico, tipico di una certa cultura locale votata alla identificazione con la tradizione e alla sua conservazione. Non si può trascurare poi la componente superstiziosa, che porta a temere l'ira del santo e che si traduce in chiave moderna come rispetto dell'impegno preso in seguito all'ottenimento della grazia. Infine, l'aspetto psicologicamente consolatorio che il sacro porta con sé, il quale diventa particolarmente efficace in periodi di grande instabilità e insoddisfazione esistenziali e culturali. 

Tutti questi elementi sono altamente presenti nella celebrazione della festività del Divus Cataldo, tanto che una convinzione popolare attribuisce al santo un carattere particolarmente vendicativo, da portarlo a punire severamente i fedeli che non rispettassero gli impegni presi. E la devozione popolare spinge il credente a compiere voti e persino a vestire i propri bambini - tendenza che è ritornata in voga dopo un periodo di parziale abbandono - con i paramenti sacri del santo Cataldo, allo scopo di allontanare da sé malattie ed infermità (pratica evidentemente legata storicamente alla piaga, molto diffusa in passato, dell'alta mortalità infantile), come una mostra sui "Vestitini di S. Cataldo" ha quest'anno fedelmente testimoniato e spiegato. 

Qualunque sia il movente, l'esperienza del sacro è importante, oserei dire fondamentale, per collegare l'uomo alla sua dimensione meta-fisica. Una realtà che gli antichi conoscevano certamente meglio di noi e che noi tendiamo troppo spesso a sottovalutare, presi come siamo da mille impegni quotidiani.

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