Sabato in Poesia: "Vendemmia" di Marino Moretti

Vendemmia di Marino Moretti è una poesia tratta dalla raccolta Sentimento: pensieri, poesie...

Roma capitale d'Italia

Chissà quanti studenti ed ex studenti liceali si sono trovati a tradurre la famosissima frase del De Oratore...

L'origine della crisi finanziaria statunitense

La crisi che ha interessato i mercati finanziari dei paesi maggiormente sviluppati, e che gli esperti...

Così cinque anni fa cominciava la crisi...

"Era una notte buia e tempestosa...", questo è l'incipit dell'interminabile romanzo che Snoopy...

Sabato in Poesia: Estratto di "Beppo, racconto veneziano" (George Gordon Lord Byron)

Beppo è un poemetto satirico in ottave ariostesche (secondo lo schema metrico ABABABCC), attraverso il quale Byron affronta...

29 aprile 2013

Disperazione atto I

di Roberto Marino

La sparatoria verificatasi ieri mattina in piazza Colonna a Roma, durante lo svolgimento della cerimonia di giuramento del nuovo governo, è un evento veramente drammatico. Testimonia sicuramente la situazione di una certa tensione, instabilità palpabile nell'aria. E' anche però un evento difficile da spiegare. E' infatti uno di quegli accadimenti non facilmente catalogabili e che sfuggono a qualsiasi categorizzazione unilaterale. 

Lo si può spiegare solo come gesto disperato individuale? Causato magari dal malessere esistenziale del nostro tempo e delle sue pressioni costanti e difficoltà? O come punto di non ritorno di una questione sociale aggravata dalla crisi economica, che acuisce sempre più altre fratture già presenti nel tessuto socio-culturale del nostro Paese, come quella secolare tra Nord e Sud, tra questione settentrionale e questione meridionale. 

Qualcuno ad esempio puntualizza con una certa ricorrenza, che ha il sapore di insistenza, la provenienza geografica (calabrese) dell'attentatore, mentre altri gridano già al razzismo mediatico. Ed ecco allora che si ripropone la spaccatura, la contrapposizione tra "qualcosa" e il suo contrario, tra una giusta razione - magari espressa in modi esagerati, come dicono i radicali più moderati - e il suo opposto.

L'Italia si trascina dietro la cultura dell'odio, del particolarismo e della lotta violenta dai tempi dell'età comunale, in pieno medioevo, e i secoli di storia susseguitisi non hanno fatto altro che ripresentare, in termini sempre nuovi, la contrapposizione ideologica. E' anche esagerato però scaricare tutta la responsabilità dell'accaduto sulla dialettica politica, tentazione che nasce quando si ascoltano dichiarazioni come quelle del sindaco di Roma Gianni Alemanno, il quale ritiene che un gesto del genere sia il frutto di «questa propaganda scellerata che indica sempre degli obiettivi». E continua aggiungendo che «Quando si dice: "Diamo l'assalto al Parlamento, Palazzo" a parole, certo, sempre con l'idea di dare un messaggio politico, un disperato, un pazzo che prende le armi in mano e spara esce fuori»

La situazione però è molto più grave di quanto si possa pensare. Se è vero infatti che un'azione simile ha origini lontane e non totalmente decifrabili, il contesto di difficoltà economico-sociale, unito a problemi di carattere familiare e, ragionevolmente parlando, a debolezza morale, non può non essere coinvolto nel tentativo di dare una spiegazione, come appare evidente agli occhi di qualsiasi osservatore. Ed è lo stesso attentatore che dichiara: «A 50 anni non si può tornare a vivere con i genitori perché non puoi mantenerti, mantenere i politici stanno bene e se la godono. A loro volevo arrivare, sognavo di fare un gesto eclatante. Volevo colpirne uno. Ma in fondo non volevo uccidere. Ero io che volevo morire»

Questo non significa ovviamente che il gesto compiuto o altri che si spera non accadranno mai, ma che potenzialmente potrebbero verificarsi, siano da giustificare. La violenza va ripudiata in ogni caso, senza se e senza ma. Tuttavia è necessario che ci si confronti con il malessere che la società sta vivendo. In questo senso, a dare delle risposte alla domanda disperata della gente che vive in condizioni ormai insostenibili deve essere la politica. Politica che invece fino ad ora ha dimostrato di non avere risposte e di essere rimasta piuttosto impantanata in un lungo immobilismo, alimentato dalla tutela di interessi partitici e di fazione, da inaccettabile senso di impunità.

Se non ci saranno quelle risposte adeguate ai problemi economici, fiscali, del lavoro che il Paese si aspetta, il gesto violento rischia di diventare soltanto il primo atto di una nuova e terribile stagione di violenza. E da questo punto di vista l'Italia in passato ha già dato.

28 aprile 2013

Finalmente è nato un governo!

di Roberto Marino

Dopo la bellezza di 61 giorni di stallo, finalmente abbiamo un governo. Era ora! La situazione era (ed è ancora adesso) in una condizione di drammaticità, aggravata ancora di più dal fatto che il Paese è rimasto acefalo per troppo tempo. Come si ricorderà, nei giorni scorsi si sono alzati inviti a far presto da tutte le parti. Dalla Confindustria, nella persona del suo presidente Giorgio Squinzi, fino al Capo dello Stato Napolitano e agli altri Paesi. Grazie alla determinazione e all'intervento celere del Presidente della Repubblica, l'italia è in grado di cominciare a lavorare per affrontare i problemi impellenti: economia, lavoro, stato sociale, riforme.

Questa la composizione della squadra di governo, scelta dal premier Enrico Letta:

Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: Filippo Patroni Griffi
Ministero degli Interni e vicepremier: Angelino Alfano
Ministero della Difesa: Mario Mauro
Ministero degli Esteri: Emma Bonino 
Ministero della Giustizia: Anna Maria Cancellieri  
Ministero dell'Economia: Fabrizio Saccomanni 
Ministero delle Riforme Istituzionali: Gaetano Quagliariello 
Ministero dello Sviluppo: Flavio Zonato
Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture: Maurizio Lupi
Ministero delle Politiche Agricole: Nunzia Di Girolamo
Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca: Maria Chiara Carrozza
Ministero della Salute: Beatrice Lorenzin
Ministero del Lavoro e Politiche sociali: Enrico Giovannini
Ministero dell'Ambiente: Andrea Orlando 
Ministero dei Beni culturali e Turismo: Massimo Bray 
Ministero della Coesione territoriale: Carlo Trigilia 
Ministero degli Affari europei: Enzo Moavero Milanesi 
Ministero degli Affari regionali: Graziano Delrio
Ministero delle Pari opportunità, sport, politiche giovanili: Josefa Idem
Ministero dei Rapporti con il Parlamento: Dario Franceschini 
Ministero dell'Integrazione: Cecile Kyenge 
Ministero della Pubblica Amministrazione: Giampiero D'Alia 

In questa lista figurano nomi interessanti, in alcuni casi di primo piano, come Enrico Giovannini - uno che conosce molto bene l'economia, visti i ruoli di altissimo prestigio e responsabilità ricoperti durante la sua carriera - o come Anna Maria Cancellieri, riconfermata come ministro, seppure con delega alla Giustizia piuttosto che agli Interni. O ancora Fabrizio Saccomanni, Direttore Generale della Banca d'Italia. Tre nomi, giusto per citare qualche esempio illustre.

Non manca però anche qualche nome un tantino fuori luogo. Affidare ad esempio la responsabilità di un ministero importante come quello della Sanità ad un politico puro, che non possieda specifiche competenze in materia, risulta un po' azzardato. Si potrà obiettare che il ministro della Sanità non dovrà certo compiere operazioni chirurgiche, oltre al fatto che sarà circondato da esperti in materia, e questo è ovvio, tuttavia ritengo sia necessaria anche una consolidata competenza ed esperienza (non necessariamente legata all'età anagrafica) nel l'ambito sanitario nazionale. Solo in questo modo si può tentare di rimettere in carreggiata un settore così disastrato. Nulla contro la persona, qualcosa in più contro la scelta "strategica". 

Ormai si sa, le larghe intese all'italiana - in particolare questa - tentano di comporre in maniera artificiale una convivenza tra forze politiche diverse - o almeno che si dichiarano tali e fanno di tutto per sembrarlo - le quali durante la campagna elettorale si accusano reciprocamente di tutto e di più. Certo, a questo punto della situazione un passo del genere è stato necessario, tuttavia adesso ci si aspetta un lavoro utile e immediato. Perdere altro tempo in beghe di palazzo, lotte, accordi, contrattazioni sottobanco non solo è inutile, ma anche dannoso. 

Che quello appena nato sia un governo di scopo o fatto per durare, è poco importante nel senso accademico dei termini. Ciò che conta davvero è che abbia le idee chiare su ciò che vuole fare e lo faccia. Questo significa azioni immediate, ma significa anche decidere razionalmente, strategicamente, nel senso nobile della parola, e fin da ora se la legislatura è stata pensata per portare avanti pochi obiettivi e poi votare o per fare riforme strutturali corpose. E su questo impostare il proprio lavoro. 

Fino ad ora celerità è stata parola d'ordine delle operazioni di formazione di questo esecutivo, speriamo lo sia anche in seguito. Anche perché gli italiani osservano. Alle prossime elezioni tireranno le somme.

27 aprile 2013

Sabato in Poesia: "Ti amo come... " (Nazim Hikmet)




Ti amo come se mangiassi il pane
spruzzandolo di sale
come se alzandomi la notte bruciante di febbre
bevessi l'acqua con le labbra sul rubinetto
ti amo come guardo il pesante sacco della posta
non so che cosa contenga e da chi pieno di gioia
pieno di sospetto agitato
ti amo come se sorvolassi il mare per la prima volta in aereo
ti amo come qualche cosa che si muove in me quando il
crepuscolo scende su Istanbul poco a poco
ti amo come se dicessi Dio sia lodato son vivo.

Nazim Hikmet 
(Mosca, 1959)

26 aprile 2013

Libri da leggere: "Il tennis come esperienza religiosa" di David Foster Wallace

di Tommaso Andreoli


Roger Federer è uno di quei rarissimi campioni testimoni che qualcosa di divino, di ultraterreno c'è, esiste. E David Foster Wallace, compianto scrittore e saggista americano di quelli grandi, per i quali la penna era il mezzo di traduzione di mirabile raffinatezza e di sinuosa eleganza, il genio l'aveva visto, osservato, descritto, al pari di come solo la mente è in grado di percepirlo. Nell'armonia di quei gesti intrisi di bellezza, le parole – quelle giuste, quelle davvero appropriate   in noi spettatori non riescono a trovare lo spazio per emergere e, anzi, si fermano come estasiate dalla contemplazione del sublime.

«La spiegazione metafisica è che Roger Federer è uno di quei rari atleti preternaturali che sembrano essere esenti, almeno in parte, da certe leggi fisiche. Validi equivalenti sono Michael Jordan, che non solo saltava a un'altezza sovraumana ma restava a mezz'aria un paio di istanti in più di quelli consentiti dalla gravità, e Muhammad Ali, che sapeva davvero "aleggiare" sul ring e sferrare due o tre jam nel tempo richiesto da uno solo. Dal 1960 in qua ci saranno altri cinque o sei esempi. E Federer rientra nel novero: nel novero di quelli che si potrebbero definire geni, mutanti o avatar. Non è mai in affanno né sbilanciato. La palla che gli va incontro rimane a mezz'aria, per lui, una frazione di secondo più del dovuto. I suoi movimenti sono flessuosi più che atletici. Come Ali, Jordan, Maradona e Gretzky, pare allo stesso tempo più e meno concreto dei suoi avversari. Specie nel completo tutto bianco che Wimbledon ancora si diverte impunemente a imporre, sembra quello che (secondo me) potrebbe benissimo essere: una creatura con il corpo fatto sia di carne sia, in un certo senso, di luce».

Il saggio su Federer (Federer come esperienza religiosa), scritto per il NY Times in occasione della finale del torneo di Wimbledon 2006 contro il rivale di sempre Rafa Nadal, nel libro è preceduto dall'inedito Democrazia e commercio agli US Open
Con altrettanta bravura DFW sa farci immergere nell'americano rito tennistico dell'altro grande torneo dello Slam, in quel pomeriggio del 3 settembre 1995, nel Labor Day, dove a sfidarsi sul centrale di Flushing Meadows ci sono l'australiano Mark Philippoussis e l'idolo di casa Pete Sampras.

«Sembra brutale, Philippoussis, spartano, uno grosso e lento che gioca meccanicamente di potenza da fondocampo, con una cattiveria gelida negli occhi, e a paragone Sampras, che non è esattamente un pallettaro, appare quasi fragile, cerebrale, un poeta, saggio e triste allo stesso tempo, stanco come solo le democrazie sanno esserlo».



Il tennis come esperienza religiosa di David Foster Wallace

Einaudi Stile Libero Big
Pagine: 89
Prezzo: 10,00€


23 aprile 2013

Presidente di ferro

di Roberto Marino

Il Presidente Napolitano si è fatto sentire ieri nel discorso inaugurale di giuramento alle Camere, ed anche in modo molto fermo. Ha rimproverato duramente i partiti politici per non essere stati in grado di formare un governo in due mesi di tempo, per non aver fatto le riforme necessarie al Paese, per non essere riusciti (o non aver voluto) a trovare un accordo per cambiare la legge elettorale.

I più maliziosi potrebbero pensare ad un discorso di circostanza, pronunciato per dare l'impressione di ricoprire un ruolo super partes, come quei genitori troppo permissivi che rimproverano i figli indisciplinati in presenza di estranei, quando questi ultimi accusano i ragazzi di aver fatto qualche marachella. 

Secondo questa lettura - che pure viene fatta da qualcuno - il Presidente sarebbe stato già al corrente dell'incapacità dei partiti di eleggere un suo successore, così come della necessità di assumersi nuovamente la responsabilità della guida del Paese. Per questa ragione, quanto sta accadendo in questi giorni concitati sarebbe una sorta di rappresentazione teatrale melodrammatica per distogliere l'attenzione dai problemi reali o dalla mancanza di idee della politica.

Interpretazione complottista e anche un po' qualunquista, ma che, se non si condivide, se ne possono comprendere le motivazioni: il disgusto nei confronti di una politica autoreferenziale, la convinzione (decisamente confermata da tanta cattiva politica) della equivalenza tra politica e malaffare sempre e comunque e della impossibilità di un reale cambiamento. Tutte motivazioni che si sono palesate domenica e lunedì alle consultazioni per il rinnovo del consiglio in Friuli e che si sono trasformate in un 50% di astensione.

Malizia a parte però, pur non conoscendo i potenziali retroscena del dibattito politico, Napolitano ha avuto la durezza e il coraggio giusti e necessari per accusare chi ha sbagliato e mancato, mostrando anche una partecipazione emotiva - è arrivato al tremolio della voce quasi alle lacrime in alcuni passi del suo intervento - che testimonia sincerità. 

Il Capo dello Stato ha anche avvisato i partiti di «trarne le dovute conseguenze - scioglimento anticipato delle Camere? Sue dimissioni anticipate? (n.d.A.) - davanti al Paese» nel caso in cui - ha concluso - «mi troverò di nuovo davanti a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato»

Poco onorevoli e coerenti sono stati gli applausi scroscianti e continui provenuti da parte di coloro che sono stati i maggiori responsabili di una simile situazione bloccata, colpiti dagli strali del Capo dello Stato. Come se un figlio approvasse i rimproveri di suo padre, pur sapendo che sono stati i propri gesti irresponsabili ad essere la causa di quella paternale. Gesti compiuti in piena consapevolezza.

Adesso si attende soltanto la formazione dell'esecutivo, che sarà sicuramente molto rapida, come lo stesso Presidente sta dimostrando di voler fare attraverso un giro rapido di consultazioni. Il prossimo governo potrebbe vedere la luce entro la fine di questa settimana. Il problema per resta la scelta dei nomi dei suoi componenti. 

Per il posto di premier si vociferano diversi nomi. Giuliano Amato è il candidato più probabile. Egli ha già smentito prima con una battuta - ha chiesto ad un giornalista: «Lei quanti soldi ha in banca?» - poi con una dichiarazione secca l'ipotesi di potenziali e temibili prelievi forzosi sui contocorrenti - come già avvenuto nel '92 - o patrimoniali. La scelta di Amato sarebbe letta tuttavia come tecnica e come tendente al passato.

L'altro nome, proposto da frange del Partito Democratico, sarebbe quello di Renzi, fatto pubblicamente da Matteo Orfini e sostenuto da altri come Roberto Speranza, Matteo Ricchetti. Certo, con questa scelta il Pd, orfano ormai della sua dirigenza, dimostrerebbe per l'ennesima volta di giungere alle soluzioni dei propri problemi in maniera sempre troppo tardiva, non brillando per lungimiranza. Staremo a vedere se l'intero partito appoggerà la  candidatura del sindaco di Firenze, specie dopo la battuta della Presidente dimissionaria Rosy Bindi, che ha sottolineato che Renzi sarebbe più utile al partito che al governo. 

Infine, circola il nome, forse più probabile, di Enrico Letta, già vicesegretario del partito e uomo della dirigenza, che rappresenterebbe una continuità con la direzione Bersani. 

A questo punto, non resta altro da fare che aspettare la decisione del Presidente Napolitano, sperando che arrivi davvero in fretta. Non possiamo sprecare davvero altro tempo prezioso.

20 aprile 2013

Napolitano bis

di Roberto Marino


E' Giorgio Napolitano il nuovo/vecchio Presidente della Repubblica italiana. Alla fine, i principali partiti hanno ammesso la propria incapacità - risuonano sempre più vicini gli altolà di Grillo ad arrendersi - nel trovare un'intesa. I partiti politici italiani sono allo sbando più completo, non essendo stati in grado di fare riforme strutturali, di cambiare la legge elettorale, di fare fronte alla crisi economica, di rinunciare ai propri privilegi, di accordarsi per formare un governo, di scegliere un Capo dello Stato condiviso. 

Siamo ormai all'epilogo della tragedia - abbiamo ormai superato l'ultimo atto già da un pezzo - se non proprio della politica, quanto meno di certe personalità e di una partitocrazia che adotta logiche vetuste. La presa d'atto si è consumata questa mattina, quando le delegazioni di Pd, Pdl, Scelta Civica e Lega si sono presentate supplici dinanzi al Presidente Napolitano, scongiurandolo di accettare la ricandidatura. Come rende noto una nota del Quirinale di stamattina, infatti, da parte delle forze politiche citate è emersa «la convinzione che - nella grave situazione venutasi a determinare - sia altamente necessario e urgente che il Parlamento possa dar luogo a una manifestazione di unità e coesione nazionale attraverso la rielezione del Presidente Napolitano»

Chi ha fallito più di tutti è logicamente il Pd. Era il partito guidato da Bersani che aveva la responsabilità di indicare strade ragionevolmente praticabili per formare un governo prima e per presentare candidature che non si potevano rifiutare poi. Invece non solo non è stato in grado di fare questo, ma non ha neppure saputo né voluto accettare le soluzioni servite su un piatto d'argento dal Pdl e dal Movimento cinque stelle.

Il Pd sembra quasi avvinto da una legge "provvidenziale" al contrario che, dopo brevi e illusori momenti di euforia, successo (vedi primarie), riporta la situazione nella "giusta" direzione di disfatta, sconfitta. Un ricorso storico in negativo, per dirla con Giambattista Vico.

Se la bocciatura - sia numerica che politica - di Marini è stata una sconfitta, quella di Prodi una vera Caporetto, che ha portato alla spaccatura completa del partito. o meglio al palesarsi di una frantumazione già esistente. Tutto ciò chiaramente peserà alle prossime elezioni, con un aumento dei consensi per il Pdl e la sua campagna elettorale populistica e verosimilmente un aumento altrettanto vasto dei voti per i Cinque stelle. Non bisogna però mai dimenticare che l'elettorato italiano è affetto dalla cronica patologia di memoria brevis. 

Cosa accadrà però nel futuro più immediato? Sicuramente un governo di larghe intese, come già annunciato dallo stesso Napolitano, in cambio del ripensamento circa la propria ricandidatura. L'annuncio è stato fatto in via ufficiale intorno alle 14,30 con una nota in cui si dice: «Sono disponibile, non posso sottrarmi. Ora però serve un'assunzione collettiva di responsabilità». Se il finale dunque è questo, era proprio necessario attendere due mesi per raggiungere uno stesso risultato che si sarebbe potuto ottenere molto tempo prima? E' responsabile sprecare 60 preziosi giorni per conseguire un identico obiettivo, mentre l'Italia sprofonda, le aziende chiudono, la disoccupazione cresce e la gente si uccide perché divorata dai debiti? Ma si sa, il consenso elettorale verso il nocciolo duro del proprio elettorato è il vitello d'oro presso cui ogni partito si genuflette. Ora le larghe intese ci saranno, ma con le mani e la coscienza pulite. 

Due parole su questa rielezione, o meglio sul candidato scelto. Pur evidenziando i meriti e le grandi e indiscusse capacità di Giorgio Napolitano nello svolgere il suo ruolo di garante della Costituzione e delle istituzioni, di acuto osservatore del lavoro dei partiti politici, di coraggioso uomo di stato che prende decisioni risolutive in momenti di crisi, dimostrate in questi sette anni, sarebbe stato preferibile non tanto cambiare strada, anzi, quanto piuttosto riuscire a trovare un altro candidato condiviso, altrettanto capace e rappresentativo e magari più giovane. La logica dell'estrema ratio suona il requiem della politica italiana. 

In ogni caso, ciò che è fatto, è fatto. Il demerito non è del Presidente, bensì dei partiti. Oggi Napolitano è il Presidente di tutti, per tanto non si può che concludere con un augurio: «Buon lavoro, Presidente!». Ce n'è davvero bisogno.

18 aprile 2013

Via alla votazione. Un presidente per un governo.

di Roberto Marino


Tra poche ore sapremo se la prima votazione per l'elezione del Presidente della Repubblica andrà in porto o se dovremo aspettare ancora. E sapremo anche se l'accordo Pd-Pdl è saldo e funziona. Roba non da poco in questo momento storico-politico così instabile per il nostro Paese.  

Alla fine, dopo tante incertezze, smentite, mal di pancia, l'accordo è arrivato. Bersani ha sempre sottolineato come la questione della Presidenza della Repubblica e la formazione del governo fossero separate, ma non è poi tanto facile da credere. Il nuovo Presidente eletto avrebbe pieni poteri, dunque la facoltà di sciogliere le Camere e indire nuove elezioni, ma anche quella di varare un cosiddetto "governo del Presidente", magari partendo dal lavoro della commissione dei "saggi". Questo significa che le intese tra i due grandi partiti sarebbero più strette di quello che appare o si crede, nonostante i distinguo e i rifiuti dei giorni scorsi.

E' in questa logica che si potrebbe leggere dunque l'accordo sul nome di Franco Marini. Con l'elezione di un candidato condiviso, Bersani potrebbe avere l'incarico per formare un nuovo governo con l'appoggio implicito del Pdl oppure - scenario forse ancora più credibile - il nuovo  Capo dello Stato potrebbe scegliere una rosa di nomi bipartisan per la formazione del nuovo esecutivo. In questo modo, il Pd raggiungerebbe il proprio scopo di un governo (di larghe intese) senza sporcarsi le mani di fronte allo sguardo intransigente del proprio elettorato, giustificando il tutto come atto di responsabilità voluto dal Presidente. Una ipotesi indubbiamente. 

Se le due maggiori forze politiche hanno raggiunto un'intesa, la stessa cosa non si può dire in in casa Pd. Proprio ieri sera, al teatro Capranica a Roma, si è tenuta l'assemblea di deputati, senatori e grandi elettori di Pd e Sel, che ha sancito però una spaccatura netta all'interno del Partito Democratico e nell'asse di centro-sinistra, composto dal partito guidato da Bersani e da quello guidato da Nichi Vendola. 

Per quanto riguarda il primo, sono venuti fuori molti dissensi. Se la candidatura di Marini ha visto 222 parlamentari favorevoli, 90 sono stati stati i contrari e 21 gli astenuti. Tra questi, il gruppo più numeroso è quello dei renziani, tanto che in parallelo, proprio ieri sera, Matteo Renzi prendeva le distanze da Marini nella trasmissione Le Invasioni barbariche, condotta da Daria Bignardi, dove si trovava ospite non certo per puro caso. Parole molto nette quelle del sindaco di Firenze, che ha definito la votazione di Marini come un «dispetto al Paese, perché si sceglie una persona più per le esigenze degli addetti ai lavori che per la scommessa sull'Italia». Renzi ha proseguito dicendo che «Marini è stato bocciato un mese fa alle elezioni» essendo candidato come senatore in Abruzzo - e che per questo non può essere rappresentativo dell'unità nazionale. 

Anche i vendoliani hanno preferito cambiare strada, lasciandosi tentare dalla candidatura espressa dal Movimento cinque stelle e dichiarando, dopo aver abbandonato l'assemblea, che sono contrari all'elezione di Marini e che si riuniranno stamane per decidere sulla candidatura di Stefano Rodotà. 

Berlusconi intanto, per compensare le defezioni interne al Pd e al centro-sinistra, ha invitato molto calorosamente i suoi ad essere presenti e a votare compatti. Ed è da ritenere, molto ragionevolmente, che anche questa volta i parlamentari non tradiranno l'appello del capo. Del resto, se non dovesse passare la linea Marini, si dovrebbe convergere in poco tempo su un altro nome - sempre che Marini non sia un candidato "usato" come parafulmine contro i commenti dell'opinione pubblica in vista di un altro nome già pronto - oppure ci sarebbe il pericolo, tanto temuto da Berlusconi, dell'elezione a maggioranza semplice (504 voti al quarto scrutinio contro 630 di primi tre) dello spauracchio Prodi, che potrebbe ottenersi con i voti di Pd e Scelta civica.

La scelta dei Cinque stelle è di certo molto strategica e pericolosa per le altre forze politiche. Rifiutare o non prendere seriamente in considerazione un candidato con una più che buona credibilità internazionale, con una immagine trasparente e con un grande senso delle istituzioni simili,  può rappresentare un problema.  

Elucubrazioni a parte, ci toccherà aspettare almeno le dodici di oggi per avere i primi risultati. La speranza è quella di avere un Presidente, oltre che nel più breve tempo possibile (abbiamo aspettato già troppo per avere un governo che ancora non c'è), che sia rappresentativo di tutte le forze politiche e i cittadini italiani, di alto profilo nazionale ed internazionale e che sappia fare scelte coraggiose. Qualcosa di simile alla triade Pertini, Ciampi, Napolitano. 

17 aprile 2013

L'America trema ancora. L'incubo continua.

di Roberto Marino


Ci sono eventi, in particolare quelli traumatici, che non possono essere compresi né tanto meno descritti dall'esterno. Per quanto si possa avere a disposizione una tavolozza ricca e articolata di parole ed espressioni, certe situazioni possono solo essere vissute. E spesso non basta neppure questo. E' necessario infatti avere il tempo per metabolizzare, razionalizzare certi accadimenti che appaiono inspiegabili. 

In questi giorni, la città di Boston e gli Stati Uniti per intero tremano ancora per l'orribile attentato terroristico (perché chi piazza degli ordigni in un centro abitato, durante una manifestazione che accoglie centinaia e centinaia di persone con il solo scopo di uccidere, non può essere altri che un terrorista) che ha sconvolto le vite di migliaia di persone direttamente e di milioni in modo indiretto, avvenuto sul percorso della storica maratona di Boston.

Il riferimento immediato va ovviamente all'attentato terroristico di matrice islamica dell'11 settembre 2001, ancora vivo nella mente sconvolta degli americani, ma questa volta, almeno per ora, sembra che al Qaeda non sia responsabile. Il segretario alla Sicurezza interna, Janet Napolitano, ha spiegato in un'intervista alla Cnn che per il momento non c'è nessun indizio di «un collegamento straniero o di una reazione di al Qaeda». Eppure, come riporta l'agenzia di stampa Agi, la tipologia di bombe utilizzate per portare a compimento l'attentato - ordigni realizzati in maniera artigianale, inserendo dell'esplosivo in pentole a pressione per ampliare il potenziale distruttivo, il tutto posto all'interno di due borse, in aggiunta a pezzi di metallo, chiodi e sferette d'acciaio - sarebbe la stessa che in un articolo del 2010, intitolato "Una bomba nella cucina di mamma", la rivista Inspire, legata proprio ad al Qaeda, invitava ad utilizzare, dando istruzioni su come realizzarla.  Del resto, non bisogna dimenticare che un pentola a pressione fu utilizzata nell'attentato poi fallito di Times Square a New York nel 2010, così come negli attacchi terroristici in Iraq e Afghanistan.

Effettivamente, ci sono state indagini nella direzione islamica da parte dell'Fbi, che nella giornata di ieri ha perquisito una casa sospetta a circa 10 chilometri da Boston, fermando un giovane studente saudita ritenuto inizialmente sospetto. Tuttavia, al momento, si ritiene che il giovane sarà discolpato. 

La tipologia rudimentale dell'ordigno e la facilità con cui è possibile costruirlo e renderlo altamente efficace fanno pensare alla possibilità di un'altra matrice terroristica. Quella interna legata a gruppi di fanatici, sostenitori delle idee di supremazia razziale. Lo stesso Obama infatti è stato cauto nel discorso alla nazione, assicurando che l'America troverà i colpevoli, anche se al momento non si dispone di notizie certe, e non facendo neppure accenno all'ipotesi islamica.

Resta comunque un fatto: nonostante le amministrazioni Bush prima e Obama poi - seppure con modi molto diversi - si siano date da fare per cercare di rendere l'America più sicura - il primo aprendo due campagne militari dispendiose e fallimentari, il secondo catturando Osama Bin Laden ed esibendo il suo cadavere come fosse un trofeo, che per altro è stato fatto sparire in modo piuttosto sospetto perché molto frettoloso - il loro obiettivo non è stato centrato. Gli USA risultano ancora molto vulnerabili sul proprio territorio e nei momenti più impensati come quello di una competizione sportiva, subendo tragiche morti e l'ironia beffarda e cinica di chi ha ucciso durante una corsa il cui ultimo tratto, dove si sono verificate le due esplosioni, era dedicato ai bambini e agli insegnati morti nella strage di Newtown dello scorso dicembre.  

Che bisogna dunque intervenire in modo drastico anche sul piano interno, rendendo più difficile il reperimento di armi, munizioni, ordigni e materiale esplosivo? Può essere una strada. Non risolutiva forse, ma sicuramente utile.

14 aprile 2013

La crisi dei partiti

di Roberto Marino


I partiti politici italiani sono ormai in crisi. Questo è abbastanza evidente. La crisi di un partito però non si misura tanto dal calo dei consensi che riceve in termini di voti, che pure in questa tornata elettorale è stato piuttosto pesante. Quella semmai è una conseguenza. La crisi di un partito si dimostra dalla sua incapacità di dare risposte concrete ai problemi che si verificano in un Paese, di rigenerarsi nella sua classe dirigente, ma soprattutto nelle idee e nelle logiche che lo animano, sia nell'affrontare situazioni di ordinaria amministrazione che nello scontro politico. E i periodi di crisi sono il banco di prova per verificare tutto questo. 

I partiti storici, Pd e Pdl, stanno dimostrando di non riuscire a raccogliere queste sfide, perché propongono le stesse logiche oltre che le stesse persone. Per quanto riguarda il primo aspetto, il partito di centro-sinistra ripropone ormai da vent'anni - per essere magnanimi - lo stesso schema di opposizione al nemico centro-destra berlusconiano, interpretato come il diavolo, il diverso, il perverso. Dimenticando o volendo far dimenticare due cose: che gli scandali morali e finanziari e la corruzione interna sono fenomeni, ahimè, bi-partisan (caso Penati, caso Lusi, caso Montepaschi) e che la gente non ne può più di chiacchiere inconcludenti (mancata riforma della legge elettorale tanto ripudiata e così ben accettata, per esempio). 

E' assolutamente inconcepibile, a 50 giorni dal voto, non avere ancora un governo. Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi lancia l'allarme su quanto sta costando, secondo i propri calcoli, l'operazione di temporeggiamento: più di un punto di Pil. E' un dato preoccupante, per non dire drammatico. 

Allo stesso modo è assolutamente inconcepibile, preoccupante e drammatico presentarsi come i campioni della moralità e chiedere poi finanziamenti privati - come è accaduto alle primarie per eleggere il candidato premier, prima delle ultime elezioni, o alle recentissime primarie per eleggere il candidato sindaco alle elezioni per la carica di primo cittadino per la città di Roma - nonostante si riceva già il rimborso elettorale pubblico. Significa frugare due volte nelle povere tasche dei cittadini. Altrettanto di cattivo gusto è poi fare una manifestazione contro la povertà - come quella di ieri - con tutto questo retroterra alle spalle.

Stesso discorso si può fare per la riproposizione degli stessi uomini e la marginalizzazione delle novità - quelle vere e di qualità come Renzi - di fronte al potere di un apparato sempre pesante, che non molla la presa sul potere decisionale.

Il Pdl, dal canto suo, coglie la provocazione e la sfida perenne per tenere sempre aperta la campagna elettorale, glissando le vere difficoltà italiane e trasformando tutto in slogan per galvanizzare la propria base elettorale e, evidentemente, per cercare di rosicchiare populisticamente qualcosa all'avversario. Un magro bottino per quella che si presentava come una legislatura costituente. 

Identica cosa accade per la mancanza di rinnovamento degli uomini leader (meglio dell'uomo leader) sempre all'interno del centrodestra. Ieri da Bari, infatti, Berlusconi ha dichiarato: «Se ci saranno elezioni a giugno, io mi candiderò a leader della coalizione della libertà e presidente del Consiglio: non posso sottrarmi». Vere o presunte che siano queste dichiarazioni-minacce - il cavaliere ci ha abituato a sparizioni e ritorni trionfali, così come a mosse strategiche - non preannunciano nulla di buono per quanto riguarda il vero rinnovamento. 

In tutto ciò chi ci guadagna è il Movimento cinque stelle. Checché se ne dica, questo schieramento è forse l'unico che sta dimostrando novità. Che sia bene o male accetta, essa si configura innanzitutto come un nuovo modo di reimpostare il patto sociale tra elettori ed eletti, in direzione della controllabilità continua dell'operato dei primi a favore dei secondi e della rendicontazione dei secondi agli occhi dei primi. E' una prima forma di attuazione della cosiddetta democrazia diretta che, se per alcuni aspetti può essere deleteria (referendum su qualsiasi cosa come la permanenza nell'euro e altri temi delicati), tuttavia può rappresentare un tentativo per uscire dall'impasse politico in cui ci troviamo. Chiedere ad esempio ai cittadini italiani chi pensano sia la personalità più rappresentativa per ricoprire il ruolo di Capo dello Stato è un'ottima idea. Altro esempio di buona ed efficace politica può essere l'idea di "occupare" il Parlamento, per costringere la formazione delle commissioni affinché inizino al più presto i lavori. 

I vecchi partiti devono imparare dunque dai nuovi e tirare fuori proposte innovative ed efficaci perché, se è vero che sono stati essi stessi a determinare la propria crisi, è anche vero che rischiano di essere travolti dall'incapacità di uscirne e soprattutto dalle soluzioni presentate da chi è invece in grado trarsi fuori dallo stallo o di non entrarvi neppure.

09 aprile 2013

Il tempo passa, tutto resta uguale

di Roberto Marino


Una vecchia lettura su un altrettanto vecchio libro che usavo alle scuole elementari diceva: "Il tempo passa e tutto cambia". Sembra che nella politica italiana questo non avvenga affatto. Ci troviamo in una situazione di stallo che dura ormai da 40 giorni, limitandoci al solo periodo post-elettorale. Questo perché? Irresponsabilità della classe politica, viene da rispondere in prima battuta e non si va molto distanti dal vero. 

Come i numeri ci hanno detto, da queste elezioni - complice una legge elettorale balorda - non è uscito un unico vero vincitore, tuttavia è venuto fuori un partito che, avendo preso una manciata di voti in più degli altri, ha ottenuto il legittimo diritto di provare a formare una maggioranza, un governo, tentando di cercare convergenze seppure improbabili. Il tentativo, almeno quello rivolto dalla parte del Movimento Cinque stelle, è fallito. Buon senso dice che si provi - anche se si sarebbe dovuto già provare - da un'altra parte, ma questo non è avvenuto, né tanto meno avviene ancora. 

Il Partito Democratico tende molto facilmente a scaricare la responsabilità sugli altri, per non essere riuscito a formare una maggioranza solida e, di conseguenza, un governo. Sui Cinque stelle innanzitutto. Ma, a torto o a ragione, il Movimento guidato da Grillo ha messo in chiaro fin dall'inizio che non avrebbe fatto alleanze con nessun partito della vecchia generazione, costruendo un'intera campagna elettorale sull'alternativa, anche dura, ad una classe politica ormai consunta ed incapace. A parte i spesso discutibili punti del programma a Cinque stelle (vedi la parte economica) e la mancanza di democrazia interna, al movimento bisogna riconoscere il merito della coerenza. I Cinque stelle hanno deciso di giocarsi questa carta e l'elettorato - almeno quello più deluso ed intransigente dal modo consueto di fare politica - potrebbe nuovamente premiarli alle prossime elezioni. 

Un'altra categoria su cui il Pd scarica le responsabilità è quella dell'elettorato. Indirettamente, sia chiaro, ma in modo altrettanto convinto. Ieri sera, il vice presidente del partito Enrico Letta, ospite a Otto e mezzo di Lilli Gruber, ha dichiarato che la legge elettorale e, di conseguenza, il voto hanno consegnato l'attuale situazione di stallo politico-istituzionale in cui ci troviamo. Questa dichiarazione è francamente intollerabile. Se è vero che il porcellum elettorale porta con sé una distorsione grave - ricordiamo però che il Pdl nel 2008 vinse le elezione con una larga maggioranza e la legge elettorale era la medesima - è ancora più vero poi che a sbloccare la situazione devono pensarci i partiti, gli eletti, coloro che hanno ricevuto il mandato popolare, attraverso capacità di dialogo, competenza, idee, coraggio. Scaricare sul risultato del voto la responsabilità dell'incapacità o della non volontà della politica di trovare un accordo, per tutelare interessi di parte attraverso una strategia partitica,  è irresponsabile due volte. Primo, perché non porta ad analizzare le proprie mancanze. Secondo, perché si accusa chi invece ha dato un segnale forte di cambiamento.

L'unico a non avere responsabilità agli occhi del Pd è proprio il Pd. Molto autoreferenziale come ragionamento, quasi surreale, ma le cose stanno proprio così. Eppure chi riceve l'incarico di formare una maggioranza, il pre-incarico o mandato esplorativo, o in qualsiasi modo lo si chiami, per provare a formare un governo deve poi mostrare senso di responsabilità e realismo politico, piuttosto che continuare a sbandierare una presunta superiorità morale, di cui ormai appare logora anche soltanto l'immagine. Del resto anche Franceschini, con tutti i suoi limiti, lo ha messo in evidenza neppure due giorni fa. 

Presunta superiorità morale che si manifesta in tutta la sua incoerenza anche e soprattutto attraverso la richiesta del contributo (veramente solo simbolico?) di due euro, che ormai accompagna tutte le primarie del Pd e che è stato presentato immancabilmente anche questa volta per le primarie a sindaco di Roma. E' inaccettabile che un partito, che per le ancora fresche elezioni politiche ha ricevuto quasi 50 milioni di euro di rimborsi elettorali (PUBBLICI!), chieda ancora denaro, questa volta privato, ai cittadini. Come sono stridenti le parole del segretario Bersani - che fanno appello all'uguaglianza delle possibilità per tutti di fare politica - con la situazione di grave crisi economico-finanziaria, con la pochezza delle risorse delle famiglie italiane stritolate dalla crisi, con la serietà che urge in questo periodo e persino con le tanto invocate riforme clisteniche dell'Atene degli ultimi anni del VI secolo a. C., che avevano ben altra caratura morale e politica.

Se questa è la situazione del primo partito italiano, e di conseguenza dell'iniziativa politica italiana, ben venga Matteo Renzi e ben venga anche la presunta spaccatura all'interno del Pd, di cui si vocifera da qualche giorno. Gli antichi Greci sapevano che la hybris (arroganza, presunzione, impunibilità, senso di superiorità e invincibilità che deriva all'uomo dai piccoli e grandi successi della vita) prima o poi viene spezzata dal destino. In questo caso, la presunzione di superiorità morale, l'incapacità di rinunciare ai propri privilegi verrebbero spezzate dall'interno, per mano umana. Del resto, il destino opera sempre per mano dell'uomo, anche nelle tragedie greche.

08 aprile 2013

Lo Stato ce l'ha fatta. Presto i primi soldi alle imprese

di Roberto Marino

Sembrava che il problema dello sblocco dei pagamenti dei debiti che la Pubblica Amministrazione deve alle imprese italiane fosse una bolla continuamente crescente. Bolla, perché una situazione del genere sembrava davvero surreale - come surreale appare una bolla di sapone - ; il perché di crescente, beh, lo si capisce da soli. Da ieri però si è messa la parola "fine" a questa storia infinita. Così pare, almeno a giudicare dal decreto varato dalla Presidenza del Consiglio in collaborazione con il Ministero dell'Economia e con quello dello Sviluppo Economico. 

Il Governo ha ormai presumibilmente compiuto una delle sue ultime azioni prima di venire sostituito dal seguente, qualunque esso sia. Azione che sicuramente doveva eseguita molto tempo prima, visto che non è tollerabile che uno stato contragga debiti per un ammontare così esoso (si parla di una cifra che oscilla tra i 90 e 130 miliardi di euro) e per un periodo così lungo (un anno circa) con imprese che hanno lavorato, erogando beni e servizi di cui proprio lo Stato ha beneficiato. Ciò non soltanto per una questione di principio e di comportamento onorevole - tanto più che lo Stato dovrebbe dare il buon esempio piuttosto che limitarsi a sollecitare, con una certa solerzia, i cittadini al pagamento delle imposte - ma anche e soprattutto per una necessità economico-finanziaria urgentissima in un periodo di paralisi economica come quella che stiamo attraversando. 

A parte le questioni di principio e di giustizia, che ormai in Italia lasciano il tempo che trovano, il decreto prevede lo sblocco immediato (o quasi) di un importo pari a «40 miliardi nei prossimi 12 mesi con meccanismi chiari, semplici e veloci, senza oneri o complicazioni inutili». Queste le parole del premier Monti, sabato in conferenza stampa, che non ha poi esitato a levare dalle proprie scarpe - diventate ormai troppo strette a causa dei risultati venuti fuori dalle elezioni, del fuoco incrociato della campagna elettorale - l'ultimo sassolino della denuncia dell'ipocrisia con cui le forze politiche hanno lanciato «tante espressioni di severa critica al governo, che ha impiegato due o tre giorni in più del previsto» per risolvere il problema, nonostante sarebbero state proprio loro a contribuire alla determinazione di simili distorsioni.  

Le modalità di smaltimento dei debiti saranno diverse e ovviamente si aspetta la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale per conoscerle nel dettaglio. A giudicare da quello che il ministro Passera ha annunciato e dal testo modificato che oggi il Corriere della Sera pubblica in anteprima, sembra che si utilizzeranno formule di «compensazione tra debiti e crediti», emissione di titoli di stato. 

Per l'estinzione dei debiti, viene istituito un fondo - denominato Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili - che ammonta a 26 miliardi di euro complessivi - dieci per l'anno 2013 e 16 per l'anno 2014 - ripartito in tre sezioni: 1) Sezione per assicurare la liquidità dei pagamenti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali, con una dotazione di 2 mld per il 2013 e 2 mld per il 2014; 2) Sezione per assicurare la liquidità alle regioni e province autonome per pagamenti di debiti certi, liquidi ed esigibili diversi da quelli finanziari e sanitari, con una dotazione di 3 mld per il 2013 e 5 mld per il 2014; 3) Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti di debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio Sanitario Nazionale, con una dotazione di 5 mld per il 2013 e 9 mld per il 2014. 

Entro la data del 30 aprile, gli enti locali dovranno richiedere l'autorizzazione al Ministero dell'Economia per lo smaltimento dei primi debiti, che sarà rilasciata entro il 15 maggio. Nel frattempo, comuni e province potranno cominciare a pagare i propri debiti immediatamente, utilizzando eventuali proprie disponibilità liquide. Nel caso in cui non abbiano in cassa denaro sufficiente per estinguere i debiti, potranno servirsi di anticipazioni fornite dalla Cassa depositi e prestiti entro il 15 maggio 2013 per i debiti contratti nel 2013 ed entro il 31 gennaio 2014 per quelli dell'anno successivo, restituibili entro un massimo di 30 anni. 

Per quello che riguarda la compensazione tra crediti e debiti fiscali, il limite è stato innalzato a 700 mila euro, dal vecchio tetto di 500 mila, ma questa sarà possibile soltanto a partire dal prossimo anno. Evidentemente, i problemi riguardanti la possibilità di sforamento del rapporto deficit/Pil per l'anno 2013 hanno pesato molto sulla scelta di posdatare la compensazione. 

Nella parte finale del decreto, si fa presente inoltre che lo Stato è autorizzato all'emissione di titoli per un massimo di 20 miliardi di euro per l'anno 2013 e 20 per l'anno successivo, al fine di assicurare le risorse finanziarie necessarie all'attuazione di tutti gli interventi precedentemente esaminati.