14 aprile 2013

La crisi dei partiti

di Roberto Marino


I partiti politici italiani sono ormai in crisi. Questo è abbastanza evidente. La crisi di un partito però non si misura tanto dal calo dei consensi che riceve in termini di voti, che pure in questa tornata elettorale è stato piuttosto pesante. Quella semmai è una conseguenza. La crisi di un partito si dimostra dalla sua incapacità di dare risposte concrete ai problemi che si verificano in un Paese, di rigenerarsi nella sua classe dirigente, ma soprattutto nelle idee e nelle logiche che lo animano, sia nell'affrontare situazioni di ordinaria amministrazione che nello scontro politico. E i periodi di crisi sono il banco di prova per verificare tutto questo. 

I partiti storici, Pd e Pdl, stanno dimostrando di non riuscire a raccogliere queste sfide, perché propongono le stesse logiche oltre che le stesse persone. Per quanto riguarda il primo aspetto, il partito di centro-sinistra ripropone ormai da vent'anni - per essere magnanimi - lo stesso schema di opposizione al nemico centro-destra berlusconiano, interpretato come il diavolo, il diverso, il perverso. Dimenticando o volendo far dimenticare due cose: che gli scandali morali e finanziari e la corruzione interna sono fenomeni, ahimè, bi-partisan (caso Penati, caso Lusi, caso Montepaschi) e che la gente non ne può più di chiacchiere inconcludenti (mancata riforma della legge elettorale tanto ripudiata e così ben accettata, per esempio). 

E' assolutamente inconcepibile, a 50 giorni dal voto, non avere ancora un governo. Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi lancia l'allarme su quanto sta costando, secondo i propri calcoli, l'operazione di temporeggiamento: più di un punto di Pil. E' un dato preoccupante, per non dire drammatico. 

Allo stesso modo è assolutamente inconcepibile, preoccupante e drammatico presentarsi come i campioni della moralità e chiedere poi finanziamenti privati - come è accaduto alle primarie per eleggere il candidato premier, prima delle ultime elezioni, o alle recentissime primarie per eleggere il candidato sindaco alle elezioni per la carica di primo cittadino per la città di Roma - nonostante si riceva già il rimborso elettorale pubblico. Significa frugare due volte nelle povere tasche dei cittadini. Altrettanto di cattivo gusto è poi fare una manifestazione contro la povertà - come quella di ieri - con tutto questo retroterra alle spalle.

Stesso discorso si può fare per la riproposizione degli stessi uomini e la marginalizzazione delle novità - quelle vere e di qualità come Renzi - di fronte al potere di un apparato sempre pesante, che non molla la presa sul potere decisionale.

Il Pdl, dal canto suo, coglie la provocazione e la sfida perenne per tenere sempre aperta la campagna elettorale, glissando le vere difficoltà italiane e trasformando tutto in slogan per galvanizzare la propria base elettorale e, evidentemente, per cercare di rosicchiare populisticamente qualcosa all'avversario. Un magro bottino per quella che si presentava come una legislatura costituente. 

Identica cosa accade per la mancanza di rinnovamento degli uomini leader (meglio dell'uomo leader) sempre all'interno del centrodestra. Ieri da Bari, infatti, Berlusconi ha dichiarato: «Se ci saranno elezioni a giugno, io mi candiderò a leader della coalizione della libertà e presidente del Consiglio: non posso sottrarmi». Vere o presunte che siano queste dichiarazioni-minacce - il cavaliere ci ha abituato a sparizioni e ritorni trionfali, così come a mosse strategiche - non preannunciano nulla di buono per quanto riguarda il vero rinnovamento. 

In tutto ciò chi ci guadagna è il Movimento cinque stelle. Checché se ne dica, questo schieramento è forse l'unico che sta dimostrando novità. Che sia bene o male accetta, essa si configura innanzitutto come un nuovo modo di reimpostare il patto sociale tra elettori ed eletti, in direzione della controllabilità continua dell'operato dei primi a favore dei secondi e della rendicontazione dei secondi agli occhi dei primi. E' una prima forma di attuazione della cosiddetta democrazia diretta che, se per alcuni aspetti può essere deleteria (referendum su qualsiasi cosa come la permanenza nell'euro e altri temi delicati), tuttavia può rappresentare un tentativo per uscire dall'impasse politico in cui ci troviamo. Chiedere ad esempio ai cittadini italiani chi pensano sia la personalità più rappresentativa per ricoprire il ruolo di Capo dello Stato è un'ottima idea. Altro esempio di buona ed efficace politica può essere l'idea di "occupare" il Parlamento, per costringere la formazione delle commissioni affinché inizino al più presto i lavori. 

I vecchi partiti devono imparare dunque dai nuovi e tirare fuori proposte innovative ed efficaci perché, se è vero che sono stati essi stessi a determinare la propria crisi, è anche vero che rischiano di essere travolti dall'incapacità di uscirne e soprattutto dalle soluzioni presentate da chi è invece in grado trarsi fuori dallo stallo o di non entrarvi neppure.

0 commenti :

Posta un commento