29 aprile 2013

Disperazione atto I

di Roberto Marino

La sparatoria verificatasi ieri mattina in piazza Colonna a Roma, durante lo svolgimento della cerimonia di giuramento del nuovo governo, è un evento veramente drammatico. Testimonia sicuramente la situazione di una certa tensione, instabilità palpabile nell'aria. E' anche però un evento difficile da spiegare. E' infatti uno di quegli accadimenti non facilmente catalogabili e che sfuggono a qualsiasi categorizzazione unilaterale. 

Lo si può spiegare solo come gesto disperato individuale? Causato magari dal malessere esistenziale del nostro tempo e delle sue pressioni costanti e difficoltà? O come punto di non ritorno di una questione sociale aggravata dalla crisi economica, che acuisce sempre più altre fratture già presenti nel tessuto socio-culturale del nostro Paese, come quella secolare tra Nord e Sud, tra questione settentrionale e questione meridionale. 

Qualcuno ad esempio puntualizza con una certa ricorrenza, che ha il sapore di insistenza, la provenienza geografica (calabrese) dell'attentatore, mentre altri gridano già al razzismo mediatico. Ed ecco allora che si ripropone la spaccatura, la contrapposizione tra "qualcosa" e il suo contrario, tra una giusta razione - magari espressa in modi esagerati, come dicono i radicali più moderati - e il suo opposto.

L'Italia si trascina dietro la cultura dell'odio, del particolarismo e della lotta violenta dai tempi dell'età comunale, in pieno medioevo, e i secoli di storia susseguitisi non hanno fatto altro che ripresentare, in termini sempre nuovi, la contrapposizione ideologica. E' anche esagerato però scaricare tutta la responsabilità dell'accaduto sulla dialettica politica, tentazione che nasce quando si ascoltano dichiarazioni come quelle del sindaco di Roma Gianni Alemanno, il quale ritiene che un gesto del genere sia il frutto di «questa propaganda scellerata che indica sempre degli obiettivi». E continua aggiungendo che «Quando si dice: "Diamo l'assalto al Parlamento, Palazzo" a parole, certo, sempre con l'idea di dare un messaggio politico, un disperato, un pazzo che prende le armi in mano e spara esce fuori»

La situazione però è molto più grave di quanto si possa pensare. Se è vero infatti che un'azione simile ha origini lontane e non totalmente decifrabili, il contesto di difficoltà economico-sociale, unito a problemi di carattere familiare e, ragionevolmente parlando, a debolezza morale, non può non essere coinvolto nel tentativo di dare una spiegazione, come appare evidente agli occhi di qualsiasi osservatore. Ed è lo stesso attentatore che dichiara: «A 50 anni non si può tornare a vivere con i genitori perché non puoi mantenerti, mantenere i politici stanno bene e se la godono. A loro volevo arrivare, sognavo di fare un gesto eclatante. Volevo colpirne uno. Ma in fondo non volevo uccidere. Ero io che volevo morire»

Questo non significa ovviamente che il gesto compiuto o altri che si spera non accadranno mai, ma che potenzialmente potrebbero verificarsi, siano da giustificare. La violenza va ripudiata in ogni caso, senza se e senza ma. Tuttavia è necessario che ci si confronti con il malessere che la società sta vivendo. In questo senso, a dare delle risposte alla domanda disperata della gente che vive in condizioni ormai insostenibili deve essere la politica. Politica che invece fino ad ora ha dimostrato di non avere risposte e di essere rimasta piuttosto impantanata in un lungo immobilismo, alimentato dalla tutela di interessi partitici e di fazione, da inaccettabile senso di impunità.

Se non ci saranno quelle risposte adeguate ai problemi economici, fiscali, del lavoro che il Paese si aspetta, il gesto violento rischia di diventare soltanto il primo atto di una nuova e terribile stagione di violenza. E da questo punto di vista l'Italia in passato ha già dato.

2 commenti :

  1. perdonate... ma solo per me Preiti è un pazzo giocatore che si è speso tutto al poker ?

    davvero c'e' qualcuno che pensa che abbia fatto bene, in qualche modo, a sparare un carabiniere?

    l'odio che proviamo verso la classe politica marcia e corrotta, non giustifica alcuna forma di violenza. Ancora di meno verso un carabiniere, che è lì per fare il suo lavoro.

    piu' che andare in giro armati, dovremmo tutti rimboccarci le maniche e far partire il cambiamento da ognuno di noi.
    il tempo in cui un migliaio di persone si riunisce in un palazzo e decide per 60 milioni di italiani sta finendo... ciascuno di noi dovrebbe farsi promotore di una nuova societa' di democrazia partecipativa (e non piu' rappresentativa)

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    1. Mi fa piacere che tu abbia lasciato un tuo commento, perché lo scopo di questo blog è quello di suscitare riflessioni, idee, impressioni e dunque sviluppare dibattito.
      Per entrare nel merito della questione, sicuramente esprimo a titolo personale e dell'intero blog la piena solidarietà nei confronti dei due carabinieri feriti e in particolare verso Giuseppe Giangrande. Non è tollerabile scaricare rabbia, frustrazione, dissenso e nessun altra emozione attraverso forme di violenza. A maggior ragione se, da quello che risulta, la situazione economica e personale dell'uomo è stata aggravata da scelte anche di carattere privato, come quella del gioco, a cui tu facevi riferimento.
      Quello che ho tentato di fare in questo articolo è una analisi della situazione di esasperazione in cui si trova la gente, sia a causa di un tessuto sociale poco incline al senso della collettività (vedi corruzione dilagante, ruberie, frodi, evasione fiscale) e sia a causa di una classe politica che in vent'anni non è stata in grado di traghettare l'Italia verso una realtà nuova, mancando ad un appuntamento fondamentale con le riforme.
      La situazione di crisi economica e politica che stiamo vivendo, in particolare in Italia, rischia di trasformarsi in crisi sociale, basta vedere l'innalzamento spaventoso del tasso di suicidi per cause di natura economico-finanziaria.
      Io spero che il gesto di Preiti sia veramente un caso isolato, legato solo a dinamiche personali, altrimenti per noi italiani le cose si metteranno veramente male.

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